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uranio e turismo
- Subject: uranio e turismo
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 3 Dec 2003 06:56:37 +0100
dal corriere.it domenica 23 novembre 2003 Migliaia di tonnellate di sostanze atomiche da smaltire e un rapporto di odio-amore: vantaggi economici e rischi per la salute. Ma è anche un' attrazione Sellafield, il paese che vive di uranio. E di turisti SELLAFIELD - Il villaggio nucleare con 70 tonnellate di plutonio da smaltire (ma nessuno sa come e quando), con 3.336 tonnellate di uranio da riciclare e con quasi ottantamila metri cubi di altri «rifiuti» da fissione cementati e blindati in botti e container è in una bellissima parte di Inghilterra. La superbomba, la «bomba delle bombe» (dove mai lo si ritrova un arsenale del genere?) sta nella Cumbria a Nord, una sessantina di miglia dal confine con la Scozia, vicino al Vallo di Adriano, sulla costa che guarda Belfast e l' Irlanda. E' la regione dei laghi, delle colline, dei corsi d'acqua piccoli ma abbondanti e del salmone che purtroppo le ultime indagini di Greenpeace commissionate all'università di Southampton dicono presentare tracce di radioattività. Nessun allarme, sebbene il ministero dell'Ambiente si stia attivando per capire che cosa è accaduto e che cosa occorre fare, niente di che preoccuparsi sia chiaro - sarebbe necessario mangiare in un colpo solo un quintale di pesce per raggiungere i livelli di tecnezio99 (isotopo radioattivo) che segnano la soglia di attenzione in un individuo - ma tanto basta per riaccendere i fari sul «quartiere» di sua Maestà (fu Elisabetta a inaugurarlo) dove si trattano e si immagazzinano uranio e plutonio, dove ha preso corpo all'indomani della Seconda guerra mondiale il sogno britannico dell'alternativa al carbone e all'idrocarburo. Durante il conflitto, a Sellafield, si fabbricava esplosivo (tnt). Poi si pensò più in grande. Per un po' rimase un laboratorio militare, per diventare infine nel 1956 la «prima stazione di produzione della energia nucleare per fini commerciali». La prima al mondo. Un anno dopo ci fu un grave incidente. Sellafield nel tempo si è ingrandito, ingigantito, nonostante le proteste degli ambientalisti e nonostante le autorità di Irlanda e Scozia e persino di Norvegia si siano più volte rivolte a Londra per chiederne lo smantellamento. Vi lavorano 12 mila operai, colletti bianchi, ingegneri, fisici. Chiudere è impossibile, a meno di pensare a una riconversione, al momento altrettanto impossibile. Buona parte della gente di Cumbria ha un rapporto di amore e di odio con il suo villaggio nucleare, la sua cittadella del nucleare che si allarga venendo da est, da Newcastle, davanti alla coste su prati verdissimi. Amore perché porta impiego sicuro. Odio perché sollecita mille preoccupazioni sulla sicurezza, sulla salute, sulla contaminazione della flora e della fauna. Sellafield, per la sua storia, per quello che si produce qui dentro e per come lo si produce, per quello che nasconde e per quello che conserva a cielo aperto è diventato persino una attrazione turistica. Segnalato sulle pubblicazioni ai curiosi e agli ospiti che possono essere accolti in un «centro visitatori» e trattati con tutti i riguardi. Arrivano turisti, tanti giapponesi. Oggi ci sono scolaresche e un bel gruppo di poliziotti portati per un corso di aggiornamento. L'idea di non blindare il villaggio, di aprirlo alla comunità, l'idea di mettere dentro a un edificio a forma di grande palla da golf il «visitor center» è costata nove milioni di sterline (per la costruzione) e costa quattro milioni ogni anno (per la manutenzione ordinaria, per il personale). Però ha una sua validità e originalità. Le informazioni, più che a una propagandistica esaltazione delle ragioni del nucleare che magari ci si potrebbe pure aspettare, ti offrono invece un quadro abbastanza realistico e per nulla irresponsabile di questo settore dell'industria energetica che in Gran Bretagna copre quasi un terzo del fabbisogno, il 27 per cento. Si tenta con la politica del sorriso, con la politica delle attenzioni riservate ai movimenti ecologisti, con la politica della piena occupazione nella regione di far digerire il rospo. Ma che rospo. Perché a Sellafield non c'è un impianto, un solo impianto. A Sellafield, oltre ai reattori, ci sono sette produzioni o attività che trasformano quest'area in una superbomba. E pur con tutta la buona volontà, pur con tutte le garanzie di sicurezza, pur con il garbo di chi tenta di conciliare sviluppo industriale ed equilibrio dell'ecosistema, pur con il monitoraggio quotidiano delle coste, dei torrenti, dei prati, pur con tutto questo il villaggio nucleare della Cumbria è qualcosa che ti lascia sempre un dubbio pesante dentro. Era davvero questa la via giusta che andava presa per rispondere ai bisogni di energia, ai bisogni in crescita delle famiglie, delle imprese, della società? A Sellafield ti spiegano che, ragionando secondo schemi economici, la scelta nucleare è vantaggiosa: un chilo di uranio viene comperato a 25 dollari e produce tanta energia pari a quella che si ricava da 15 mila barili di petrolio, che in media costerebbero 300 mila dollari. Ma si possono dimenticare o tacere le ricadute ambientali? Il vero problema, nonostante la tecnologia sia in grado di creare nucleare più sicuro, è che riciclare, stoccare, blindare, conservare, spostare i residui di tale produzione è e resta un'attività ai massimi livelli di rischio e di danno potenziale. Non è un caso che lo stesso governo britannico si stia chiedendo come affrontare e risolvere la questione delle 70 tonnellate di plutonio, delle 3 mila tonnellate di uranio e degli 80 mila metri cubi di «rifiuti» accumulati a Sellafield. Sono stati spesi 4 mila miliardi in dieci anni dalla British Nuclear Fuel , la società a maggioranza pubblica, fondata nel 1971, che gestisce il business del settore (200 milioni di sterline di profitti) per ripulire la zona e per abbassare i picchi di radioattività nell'aria e nell'acqua raggiunti negli anni Settanta. Tali picchi erano stati causati dalle emissioni rilasciate da scorie impacchettate e gettate nel Mare d'Irlanda fra il '50 e il '60 (Londra ha sempre smentito, finché nel 1997 ha ammesso il misfatto e giurato di non provarci mai più) e da scorie accumulate a terra. Nel 1983 alla popolazione fu vietato di frequentare alcune spiagge. Oggi sotto questo profilo la situazione è decisamente diversa ed è migliorata. Lo riconoscono anche i verdi e gli antinuclearisti. La radioattività è stata abbattuta. Ma la domanda di fondo (che cosa fare di quelle enormi quantità di «rifiuti» che sono lì e che per giunta aumentano) continua a non ricevere risposta. Il governo la cerca, la sollecita: ma niente. La gestione del nucleare sarà pure più sicura nella fase di produzione, ma non è sicura la gestione del dopo, la gestione e la raccolta di ciò che il nucleare lascia in eredità. Come si possono eliminare le scorie assicurando alla popolazione della zona la certezza della salute? Un conto è l'impegno per la tutela dei dodicimila lavoratori, per i controlli costanti e rigorosi nelle zone attorno al villaggio, per la valutazione quotidiana del cosiddetto «impatto ambientale». E un conto è affermare con certezza che non vi sono e non vi saranno mai pericoli. Nessuno osa arrivare a tanto. Semplicemente perché anche per le autorità inglesi raccogliere le scorie e tenerle è pur sempre una attività ad alto rischio. A Sellafield, oltre ai reattori, sono in funzione sette impianti: due di riciclaggio e di rilavorazione del plutonio e dell'uranio, due di produzione del Mox, mixed oxide , una sorta di combustibile nucleare (esportato in Giappone e in Europa, principalmente in Svizzera e Germania), uno di vetrificazione, ossia di trasformazione delle scorie liquide in vetro. I rifiuti radioattivi sono stati classificati in tre categorie: basso livello di radioattività, per esempio i vestiti e le tute degli operai e dei tecnici o gli oggetti che vengono a contatto con materiale «vietato» (sono portati a Drigg, sei chilometri a Sud e qui piazzati dentro container); medio livello di radioattività, ciò che è irradiato nel reattore (è cementificato e chiuso in bidoni di acciaio, restano sempre a Sellafield); alto livello di radioattività, le scorie liquide (con procedimento di avanguardia sono fatte evaporare e immobilizzate attraverso la vetrificazione, tenute in raffreddamento per 50 anni, infine sotterrate, comunque non si muovono da Sellafield). Il villaggio è in pratica una superbomba. Forse la più potente che esiste al mondo. Il primo guaio è che cresce e crescerà ancora. Il secondo guaio è che nessuno, a partire dal governo inglese, sa proprio come prevedere, coordinare e gestire il futuro. C'è chi parla di possibile chiusura (nel 2010) di una parte degli impianti di Sellafield, quella dove si riciclano uranio e plutonio. Ma si torna sempre al punto di partenza: quale sarà la fine delle 70 tonnellate di plutonio, delle 3.336 tonnellate di uranio e degli 80 mila metri cubi di scorie che sono qui raccolti? Al «visitor center» un questionario chiede ai sudditi di sua Maestà quale sviluppo immaginano dell'industria energetica. Nove su dieci escludono il nucleare. Fabio Cavalera
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