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felici e connessi
- Subject: felici e connessi
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 4 Dec 2003 06:52:51 +0100
da Boiler |giornale di scienza, innovazione e ambiente 15.11.2003 Felici e connessi Telefonini smart, pupazzi per bambini a sensori wireless, diffusione a macchia d'olio dei blog. La tecnologia - più che isolare l'individuo in una dimensione virtuale - può aiutare a creare legami reali, tra persone in carne e ossa. Ed entrare a far parte integrante delle nostre vite, al punto da rendersi invisibile agli occhi. La posta in gioco è capire dove ci porterà. Nel regno dell'informatica ubiqua di MARK BAARD SEATTLE - Intorno a istituti come il Mit e il Georgia Tech, spesso si aggirano da soli personaggi stravaganti: con in mano i loro portatili, sembrano annusare da vicino la presenza di possibili punti in cui installare dei nodi wireless. Molti di loro non sono fanatici del Wi-Fi impegnati in una missione di warchalking (detezione a scopi hacker delle reti non protette, n.d.t.), bensì studiosi di "informatica ubiqua", un settore scientifico che spera di riuscirci a liberare molto presto dai tristi e ingombranti elaboratori che usiamo ogni giorno, disseminando milioni di minuscoli nodi wireless in tutti gli spazi pubblici e privati. Gli ingegneri che hanno partecipato all'UbiComp 2003, conferenza in tema che si è tenuta in ottobre a Seattle, sono convinti che la tecnologia - invece di isolare l' individuo in una dimensione virtuale - possa aiutarci a stabilire connessioni reali tra persone in carne e ossa. Questi ricercatori sono tutti discepoli di Mark Weiser, tecnologo del centro di ricerca della Xerox di Palo Alto, secondo cui i computer dovrebbero diventare parte integrante di abitazioni private, uffici e spazi pubblici, assumendo la forma di minuscoli, pressoché invisibili, dispositivi Wi-Fi. Weiser, che è morto nel 1999, credeva anche che l'informatica dovesse essere un fattore di calma, e non di tensione (come lo squillo incessante dei telefonini e l'ossessionante richiamo dei cercapersone), e che dovesse essere presente «ovunque nel mobilio». Più vicini senza fili. Da quando Weiser ha coniato, quindici anni fa, il termine "informatica ubiqua", apparecchi del genere - portatili, cellulari, sensori wireless e radiotrasmittenti - sono diventati sempre più piccoli, economici e, in fin dei conti, diffusi. Anche il numero delle centrali Wi-Fi è molto aumentato. Ma siamo ancora agli inizi degli sforzi di progettazione di dispositivi informatici in grado di entrare a far parte integrante delle nostre esistenze quotidiane senza renderci loro schiavi. Le ambizioni originarie non si sono mai realizzate: i lavori sono stati rallentati dai problemi con lo standard Bluetooth, e l'idea è stata via via resa impopolare dai fanatici del marketing che non vedevano l'ora di avere a propria disposizione un' ulteriore arma per bombardare gli utenti con i messaggi pubblicitari via telefonino. «Se vogliamo portare le nuove tecnologie informatiche fuori dai laboratori», spiega William Griswold, ricercatore dell'Università della California di San Diego, «dobbiamo farne un'amica, non un'intrusa. Dobbiamo puntare ad applicazioni che accontentino i consumatori». Griswold e gli altri si stanno facendo ispirare dai servizi di messaggeria istantanea, dai blog e dai fanatici delle animazioni flash, che spesso usano la tecnologia come fonte di divertimento e per organizzare riunioni e attività di protesta negli spazi pubblici. Griswold sta attualmente lavorando al progetto ActiveCampus dell'Ucsd, un programma che mira al potenziamento dell'interazione umana con lo spazio e all'aumento di consapevolezza delle azioni compiute, fattori che molti ritengono di importanza cruciale per l'affermazione su larga scala dell'informatica ubiqua. L'Ucsd e la Northwestern University stanno sperimentando l' ActiveCampus Explorer, un client Im per portatili che classifica i compagni di chat a seconda della loro prossimità spaziale a un determinato utente. I partecipanti alla chat possono anche trasmettere informazioni su quello che stanno facendo e lasciare dei "graffiti digitali" su una mappa accessibile a tutti. Uno che si fermi al bar per un caffè, per esempio, potrebbe trovarci un messaggio lasciato da qualcuno che è già stato lì prima e che gli consiglia di provare i frollini. Griswold ha paradossalmente scoperto che gli utenti ActiveCampus sono particolarmente inclini a inviare messaggi a chi è loro vicino, magari per organizzare incontri di persona. «Il fenomeno sembra indicare che la collocazione spaziale è molto importante», spiega il ricercatore. «I meccanismi di relazione wireless tra individui sono mediati dalla vicinanza fisica». Una materia prima tutta da scoprire I partecipanti all'UbiComp hanno vissuto un'esperienza simile di interazione - reale ma potenziata a livello digitale - con il progetto di display proattivi Experience UbiComp dell'Intel Research. Ogni volta che qualcuno si avvicinava al microfono per fare una domanda, un lettore ne isolava il nome dalla targhetta Rfid e un server proiettava su un maxischermo un suo parziale profilo biografico. E un altro plasma mostrava diversi gruppi di utenti, riuniti per interessi personali e professionali. Incoraggiando gli incontri ad hoc in vari spazi fisici, sistemi come gli schermi proattivi - a detta di William Mitchell, docente di architettura, scienze e media art al Mit - renderanno obsoleti uffici e quartier generali. «Nell'arco dei prossimi dieci anni, le reti wireless trasformeranno radicalmente la tradizionale distinzione tra spazio lavorativo e spazio pubblico», ha commentato Mitchell alla presentazione del suo nuovo libro, Me++: The Cyborg Self and the Networked City. I giovani sono già abituati a muoversi nello spazio pubblico aspettandosi di poter rimanere connessi a Internet via Wi-Fi o in altro modo. «I network mobili attenuano il legame tra persone e luoghi, consentono l'occupazione nomadica dello spazio e creano l'esigenza di uno spazio multiuso». I nuovi nomadi del digitale rifiuteranno anche tastiere e Pc da scrivania. Ecco perché molti studiosi di informatica ubiqua dell'UbiComp stanno lavorando alla progettazione di nuove interfacce originali, punti di contatto facilissimi da usare e al tempo stesso svincolati da una collocazione fisica precisa. L'Interactive Institute, attraverso il progetto Play, sta studiando i bambini che giocano con gli Spooky - speciali pupazzi di peluche che comunicano tra di loro senza fili - a una versione speciale di nascondino. Chi ha uno Spooky può letteralmente "sentire" la presenza nelle vicinanze di chi ne ha uno uguale, fino a duecento metri di distanza. «Questi giocattoli catalizzano e aumentano le facoltà immaginative dei bambini, liberandole dai limiti del salotto o del computer su cui stanno giocando», spiega Peter Ljungstrand, ricercatore dell'istituto. Ljungstrand sottolinea come sia stato difficile, per gli ingegneri che hanno partecipato al progetto, lavorare - sulla base di topografie di rete ancora tutte da inventare e delle esistenti interfacce Microsoft Windows - a una concezione di tecnologia radicalmente innovativa. «Vediamo la tecnologia come materia prima, e non più come semplice strumento», conclude. «Ma al contrario del metallo o del legno, non sappiamo ancora con esattezza cosa potremmo costruirci».
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