riforma pensioni spartiacque fra generazioni



da lavoceinfo.it



02-10-2003
2008, spartiacque fra generazioni
Vincenzo Galasso


Le apparizioni televisive degli ultimi giorni hanno evidenziato, se mai ce
ne fosse stato bisogno, la natura politica delle scelte in materia
previdenziale. Il problema pensioni esiste. L'invecchiamento della
popolazione riduce la redditività dei nostri sistemi pensionistici a
ripartizione: a parità di aliquote contributive, non sarà più possibile
erogare le pensioni promesse. Le riforme pensionistiche vanno dunque fatte.
Ma come? Per esempio, aumentando le aliquote contributive, riducendo la
generosità delle pensioni oppure restringendo i criteri di quiescenza.

Scelte dolorose e transizione

Nessuna di queste strade è indolore, e la loro scelta è importante, poiché
determina vincitori e vinti. Un aumento delle aliquote contributive o un
irrigidimento dei criteri di accesso alle pensioni accolla i costi delle
riforme ai lavoratori; mentre una riduzione della generosità delle pensioni
chiama in causa i pensionati.
In realtà, la distribuzione dei costi delle riforme tra le diverse
generazioni dipende soprattutto dalla velocità con cui le misure sono
realizzate, e dunque dalla lunghezza della transizione. Evidentemente, il
teatro di questo scontro generazionale è la politica.
Non sorprende, dunque, che Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti abbiano
enfatizzato l'assoluta necessità di intervenire sul sistema pensionistico
per garantire la sua sostenibilità finanziaria, la valenza europea di tale
misura e la sua presunta equità, evitando ogni riferimento allo scontro
generazionale. Invece, questa manovra presenta diversi punti critici su
questo terreno (si veda Boeri-Brugiavini).
La riforma Berlusconi-Tremonti prevede l'aumento degli anni di contribuzione
da trentacinque a quaranta. L'incremento, così almeno sembra, avverrà in una
soluzione unica. L'effettiva applicazione della misura è però procrastinata
al 2008. Nel frattempo, i lavoratori potranno andare in pensione in base
alla normativa corrente o posticipare il pensionamento e godere degli
incentivi previsti dalla Berlusconi-Tremonti.

Prima e dopo il 31 dicembre 2007

Non si tratta evidentemente di una misura equa e graduale, giustificata
dalla necessità di consentire agli individui di aggiustare le proprie scelte
economiche, bensì di una decisione mirata, che apre un divario tra due
generazioni di persone: coloro che potranno andare in pensione fino al 31
dicembre del 2007 con 57 anni e trentacinque anni di contributi, e coloro
che tali requisiti li avranno "solo" nel 2008 e dunque dovranno aspettare i
quaranta anni di contributi, o i 65 anni.
Al primo gruppo, quello dei fortunati, appartengono molti dei lavoratori con
52 anni o più, ovvero gli stessi lavoratori che nel 1995 non sono stati
colpiti dalla riforma Dini (si veda Galasso).
La mancanza di equità di questa misura - il "gradino" del 2008 - rappresenta
dunque il prezzo politico da pagare agli interessi di una generazione di
lavoratori, difesi dai sindacati nel 1995 e dalla Lega oggi.
Anche la Germania si appresta ad affrontare una lunga transizione: la
commissione Rürup ha proposto infatti il graduale aumento dell'età di
pensionamento da 65 a 67 anni, ma solo a partire dal 2011. Eppure, i costi
della transizione potrebbero essere minori che in Italia, poiché il sistema
tedesco è più neutro dal punto di vista attuariale e gli incentivi alle
pensioni anticipate sono meno generosi.
In Italia, saranno sufficienti i continui appelli alla causa europea e la
fase di transizione per ottenere un aumento dell'età effettiva di
pensionamento, seppure nel 2008? La scelta di Berlusconi di rivolgersi
direttamente agli elettori, tramite gli schermi della televisione di Stato,
e l'impianto della riforma, che non coinvolge una parte politicamente
rilevante di lavoratori anziani, lascia credere che il Governo abbia
imparato dagli errori del 1994.
Ma molti interrogativi restano aperti per il 2008. Il Governo in carica in
quell'anno, con un elettorato ancor più anziano, sarà disposto ad aumentare
effettivamente l'età di pensionamento? Oppure cederà alla tentazione
politica di procrastinare ulteriormente tale misura?  A quanto pare il
Governo ha proposto una verifica ai Sindacati per il 2007, vale a dire
appena prima dell'introduzione delle misure più impopolari.
Una prima risposta potremo averla già nel 2005, quando il Parlamento sarà
chiamato a modificare il coefficiente nel calcolo dei benefici previsti
dalla riforma Dini, che tiene conto della longevità.