riforma pensioni e domanda di lavoro



da lavoceinfo.it

venerdi 3 ottobre 2003
02-10-2003

Riforma delle pensioni e domanda di lavoro
Pietro Garibaldi

Nel dibattito in corso sulla riforma del sistema pensionistico, tutti
concordano sulla necessità di aumentare la permanenza sul mercato del lavoro
dei lavoratori più anziani. Le differenze di valutazione si manifestano sui
modi per raggiungere tale obiettivo. Taluni, e il Governo in particolare,
sostengono che sia sufficiente "incentivare" i lavoratori prossimi all'età
pensionabile con un forte aumento retributivo. Altri, ritengono invece che
per convincere i lavoratori a restare sul mercato sia necessario
penalizzarne un'eventuale uscita, attraverso una riduzione della pensione
tanto più alta quanto più bassa è la durata della carriera lavorativa.
In un caso o nell'altro, si tratta di interventi sul lato dell'offerta di
lavoro. Sorprendentemente, il dibattito sembra ignorare l'effetto dell'
aumento della vita lavorativa sulla domanda di lavoro. Concordo sul fatto
che la vita lavorativa vada comunque aumentata, ma ritengo sia utile
riflettere anche sugli effetti di questa politica sulla domanda di lavoro.

Lo schema retributivo tipico

Tutte le imprese, e quelle più grandi in particolare, devono spesso
risolvere il problema di come motivare i lavoratori più anziani.
Il problema è particolarmente serio per alcuni lavoratori cinquantenni,
spesso bloccati in una data posizione di carriera, e praticamente certi di
rimanere in quella posizione. Un modo molto usato per motivare i lavoratori
lungo la carriera, è semplicemente quello di legare gli aumenti retributivi
alla performance individuale precedente. In altre parole, le imprese trovano
spesso conveniente promettere un potenziale aumento salariale fino alla
pensione, in modo che i lavoratori siano incentivati a impegnarsi anche
quando le prospettive di carriera si siano ridotte.
Questi tipi di incentivi sono molto comuni nelle grandi imprese.
Conseguentemente, i lavoratori più anziani sono spesso pagati più dei
lavoratori più giovani, non tanto per la loro superiore abilità, quanto
piuttosto perché una retribuzione crescente è servita e continua a servire
da stimolo. Uno schema retributivo di questo tipo implica che i lavoratori
più anziani siano spesso pagati più di quanto producono all'azienda, mentre
i lavoratori più giovani accettano di essere pagati meno del loro valore,
con la speranza di rimanere in azienda fino alla pensione, ed essere poi
ricompensati da un salario più alto.
Questo schema retributivo necessita di un momento in cui i lavoratori più
anziani lascino l'azienda. È proprio questo il motivo per cui gli economisti
delle risorse umane sostengono la necessità di avere un'età legale e
obbligatoria di pensionamento.
Se infatti improvvisamente aumentiamo la permanenza in azienda dei
lavoratori più anziani, finiamo per obbligare le imprese a sopportare una
perdita, perché si troveranno ad avere in azienda per un periodo troppo
lungo lavoratori che costano più di quanto producano.
In altre parole, l'aumento della vita lavorativa determina un aumento del
costo del lavoro per le imprese. E quando il costo del lavoro aumenta, la
domanda di lavoro diminuisce.
Morale, vi è un serio rischio che la riforma delle pensioni produca una
diminuzione della domanda di lavoro. Paradossalmente, si rischia di
aumentare l'offerta di lavoro e simultaneamente diminuire la domanda di
lavoro. Se ciò avviene, ci potrebbe essere spiazzamento di lavoratori più
giovani e/o con contratti temporanei.

Un meccanismo delicato

Ma la riforma previdenziale si deve comunque fare e la vita lavorativa deve
necessariamente aumentare.
Quali soluzioni si possono adottare per fronteggiare la probabile
diminuzione di domanda di lavoro? Cosa si può fare se il Governo sceglierà
la strada degli incentivi e dei premi per i lavoratori che decideranno di
non usufruire delle pensioni di anzianità, come sembra probabile alla luce
dagli ultimi interventi?
Una soluzione sarebbe quella di destinare una parte del premio aggiuntivo
alle imprese, sotto forma di riduzione degli oneri sociali per i lavoratori
che decidono di rimanere più a lungo in azienda.
Ovviamente, questo sgravio fiscale sarebbe da destinare soltanto ai
lavoratori prossimi alla pensione di anzianità, mentre per quelli più
giovani spetterebbe alla contrattazione aziendale il compito di aggiustare
il profilo salariale in base ai nuovi vincoli pensionistici.

Indubbiamente, uno sgravio fiscale per le imprese diventa un ulteriore
sussidio al sistema imprenditoriale, un soggetto economico che forse assorbe
già troppe risorse pubbliche. È vero, ma il meccanismo degli incentivi
retributivi all'interno delle aziende è molto delicato, e quando si agisce
unilateralmente su una sua parte, si deve anche tenere conto degli effetti
dell'intervento sul resto degli ingranaggi.