energia il futuro nei piccoli impianti



dal manifesto

IL FUTURO NEI PICCOLI IMPIANTI

L'imbroglio pericoloso delle megacentrali
"Adesso si tratta di costruirle davvero, le nuove centrali" 
Antonio Marzano,ministro delleattività produttive

MAURIZIO PALLANTE

Escludere che la crescita in corso dei consumi di energia elettrica possa determinare una insufficienza della potenza attualmente installata, significa infilare la testa otto la sabbia per rifiutarsi di prendere atto della realtà. Ma nessuno che abbia anche una vaga idea dell'andamento giornaliero della richiesta di elettricità potrebbe mettere in relazione il blackout, iniziato dopo le 3 di notte di domenica 28 settembre e propagatosi a catena in tutta Italia, con un eccesso di domanda rispetto all'offerta. Una possibilità di questo genere potrebbe verificarsi soltanto nelle ore diurne, in cui le attività produttive girano a pieno regime, o nelle ore serali in cui sono a pieno regime l'illuminazione, le attività casalinghe e quelle d'intrattenimento, ma a notte fonda, quando la maggior parte delle persone non produce e non consuma ma dorme, la domanda di chilowattora cala verticalmente, determinando un eccesso strutturale di offerta. Pertanto la potenza erogata dalle grandi 
 centrali, che non può essere modulata tempestivamente, viene ridotta al minimo necessario e non può essere riattivata in tempi rapidi in caso di interruzioni o necessità improvvise. Nominalmente la potenza elettrica complessiva installata nel nostro paese ammonta a circa 65-75 mila Megawatt. Alle 3 della notte di domenica 28 settembre la potenza in funzione per far fronte al fabbisogno era di 23 mila Megawatt (un terzo della potenza totale), di cui 6 mila acquistati dalla Francia e dalla Svizzera (un'operazione economicamente molto vantaggiosa, perché l'eccesso di offerta notturna determinato in quei paesi dalla impossibilità di arretrare le centrali nucleari riduce al minimo il prezzo di vendita dei chilowattora). All'improvviso, una rapida successione eventi di carattere naturale ha provocato l'interruzione dei 6 mila Mw di potenza provenienti dall'estero. Ne è derivato un brusco abbassamento di tensione, da cui è stato innescato un effetto domino che ha messo fuori uso tutta la rete di trasmissione nazionale. La causa di questo blackout non è quindi imputabile a una insufficienza strutturale dell'offerta, ma a un deficit occasionale che, in conseguenza della centralizzazione della produzione, delle rigidità di funzionamento delle grandi centrali e della rigidità della rete, ha propagato i suoi effetti su tutto il sistema.

Sentir dedurre da un blackout notturno, quando la potenza installata è in grado di offrire una quantità di chilowattora tripla rispetto alla domanda, la necessità di costruire nuove centrali termoelettriche e nucleari per accrescere l'offerta, genera un profondo senso di sconforto sul futuro che ci attende. Non solo perché la soluzione proposta non ha attinenza alcuna con le cause del problema, ma perché contribuisce a rafforzarle e a creare altri problemi. Se i rischi di blackout non sono legati a una carenza strutturale di offerta, ma alla rigidità della rete e dei grandi impianti di generazione, non serve accrescere la potenza installata con la costruzione di nuovi grandi impianti, ma occorre incentivare l'installazione diffusa di una serie piccoli generatori in grado di riattivarsi tempestivamente subito dopo un'interruzione imprevista e improvvisa. Una serie di piccoli e medi impianti di cogenerazione, finalizzati all'autoproduzione e tarati sul fabbisogno medio del cons
 umatore-produtture, collegati alla rete in modo da potervi riversare le eccedenze quando l'autoproduzione supera il consumo e di attingervi quando il consumo supera l'autoproduzione, sono anche uno strumento formidabile per accrescere l'efficienza energetica e ridurre il consumo di fonti fossili a parità di servizi finali dell'energia. La loro diffusione può dare pertanto un contributo decisivo anche a soddisfare la crescente domanda di energia elettrica nelle ore di punta senza fare ricorso alla costruzione di nuove centrali. Il contestuale rendimento di energia termica, che mediante pompe di calore ad assorbimento d'estate può essere trasformata in refrigerazione, consentirebbe pertanto di diminuire, invece di accrescere le emissioni di C02 accrescendo nel contempo la quantità e la qualità dei servizi energetici erogati.