rapporto congiuntura ires cgil



da fdv settembre 2003

venerdi 26 settembre 2003

SINTESI

 La crisi che stiamo vivendo è la più grave degli ultimi 20 anni

? gli ultimi dati ISTAT  hanno confermato che l'economia italiana continua a girare attorno allo zero. Si spera ancora che l'economia USA decolli e che ci si possa agganciare ad essa, ma non ci sono ancora elementi che possano trasformare questa speranza in realtà.
Ad oggi, si può solo dire che la crisi è grave ed è la più lunga degli ultimi 20 anni:
? la produzione industriale è in calo da 30 mesi, mentre la crisi precedente più grave, quella  del 92, era durata 22 mesi; l'impercettibile aumento di Luglio (+0,4%) è dovuto al fatto che c'è stato un balzo del settore energia del + 6,3% dovuto a fattori climatici che hanno comportato un maggiore uso di condizionatori ed impianti di refrigerazione.
? il  Pil sta sotto l'1% da 24 mesi ed adesso si è fermato sul livello della fine del 2002.

Questa crisi ha investito solo le economie mature. 

E' vero che la crisi non è solo italiana:
? la produzione industriale negli Usa è in caduta libera da 30 mesi, dal febbraio 2001 (6 mesi prima dell'11 settembre) mentre la precedente crisi del 90 (cominciata anche essa prima della guerra) si era protratta complessivamente per 12 mesi;
? le più recenti previsioni sono  che il Pil crescerà solo del 2,4% negli Usa, dell'1,2% in Gran Bretagna, dell'1% in Francia, resterà fermo in Italia e Germania;
? i paesi emergenti, Cina in testa, invece stanno registrando tassi di crescita mediamente superiori al 7%.
                
Ma, tra i Paesi sviluppati in difficoltà, l'Italia va  più indietro

I dati che caratterizzano la congiuntura italiana mostrano una crisi più grave che negli Usa e nell'Area Euro:
? la produzione industriale flette più che in Europa; dal 97, in Francia, la produzione industriale è aumentata dell'11%, in Germania del 12%, in Italia del 3%;

? l'inflazione aumenta più che nel 2002 (malgrado l'effetto Euro che aveva inciso in quell'anno) e più che in l'Europa; si riapre, così, il divario con Francia  e Germania, nostri principali concorrenti;
? la forbice tra retribuzioni ed inflazione si è allargata;
? l'occupazione, che negli ultimi anni aveva cominciato a crescere, rallenta e, nelle grandi imprese, crolla;
 
? l'export diminuisce, l'import aumenta, si ricrea un forte deficit commerciale; la quota delle esportazioni italiane da 4 anni è in calo ed è tornata ai livelli degli anni 60, mentre Francia e Germania sono cresciute;
? nella graduatoria della competitività internazionale l'Italia è scesa dal 13° a 17° posto. 

 Le previsioni non indicano ancora la fuoriuscita dalla crisi

In Italia:

? le previsioni ISAE, trasformate a parità di giorni lavorativi, sono: Agosto       -0,3, Settembre -5,3, Ottobre -1,7;
? il modello previsionale CGIL segnala per il terzo trimestre una crescita zero;
? la fiducia dei consumatori scende e ad Agosto si è toccato il punto più basso da Gennaio, confermando un forte grado di incertezza;
? il clima di  fiducia delle imprese manifatturiere, dopo il crollo di Luglio a 86,7, è risalito ad Agosto a 95,0, ma il livello degli ordini continua ad essere negativo e le attese di produzione sono al di sotto di quelle di Giugno;
? gli ordinativi ISTAT a Giugno sono diminuiti del -2,7%;

In Europa:

? il clima di fiducia delle imprese manifatturiere rimane negativo;
? l'indice di acquisto, riferito a 2500 imprese europee, scende. 

Negli Usa:

? la ripresa di cui si parla non è ancora fondata su indicatori reali di produzione, ma solo sul miglioramento degli ordinativi e, in ogni caso, sarà fragile.

Le variazioni del superindice OCSE che misura le prospettive economiche sono: OCSE +5,5%, UE 15 +2,1%, Italia -2,8%.

Infine, né in Europa, né negli Usa, si hanno ancora segnali precisi di investimenti in capitale ed ordinativi di macchinari che, come ha ricordato il recente studio "Economics Indicators" sono i veri anticipatori della ripresa.

QUINDI, COME LA CGIL DICE DA TEMPO, CI SONO NON SOLO RISCHI, MA SEGNALI PRECISI DI UN DECLINO DEL RUOLO DELL'ECONOMIA ITALIANA TRA I PAESI INDUSTRIALIZZATI.

Dall'analisi svolta emergono alcuni temi sui quali è necessario fare chiarezza per affrontare seriamente la crisi.
Non si può, infatti, come ha fatto questo Governo, prima negare la gravità della crisi, poi dire sì c'è, però sta per finire, per poi dare la colpa agli altri ed evocare il nuovo pericolo cinese per riproporre dazi di antica memoria.
D'altra parte, mentre il governo italiano sembra incapace di indicare una prospettiva di sviluppo, Francia e Germania, perlomeno si pongono il problema di rivitalizzare l'economia e, consapevoli del rischio di declino e di deindustrializzazione, cercano di andare oltre  le misure di piccolo cabotaggio ponendosi obiettivi ambiziosi di un nuovo modello di crescita.
Occorre, invece, analizzare l'insieme di elementi del contesto mondiale e le nuove tendenze che si stanno manifestando: queste sono le condizioni per capire la crisi e la sua complessità e, quindi, per poter intervenire efficacemente.

Il Rapporto Congiunturale si sofferma soprattutto su alcuni temi.
  
La natura della crisi economica e la ripresa

? negli anni passati si è determinata una sovracapacità produttiva che ha creato un eccesso di offerta;
? i tassi di crescita elevati si sono spostati nell'area asiatica;
? si è, in parte, esaurita la spinta propulsiva dell'ondata di innovazioni nei settori dell'informatica e delle telecomunicazioni;
? per competere nel nuovo scenario mondiale occorrono innovazione, ricerca, investimenti per ricostruire un nuovo sistema industriale.

La locomotiva americana

? la struttura industriale USA è sovradimensionata rispetto al mercato e ciò determina un sottoutilizzo (75%) degli impianti;
? l'utilizzo congiunto e contemporaneo di protezionismo, svalutazione e deficit, mai avvenuto finora, sta dando la sensazione che l'economia USA stia per ripartire;
? ma la fuoriuscita da questa crisi non sarà facile:
? se non cresce l'occupazione la ripresa è destinata a non decollare
? il deficit è così grande da ipotecare la ripresa. Una ripresa con questo deficit è insostenibile e, ciò che è insostenibile, è destinato a finire.    

Il commercio mondiale e la competitività

? nella divisione internazionale del lavoro si sta riconfigurando un nuovo assetto degli scambi commerciali con una maggiore presenza dell'Asia orientale e dell'Europa orientale ed un ridimensionamento delle economie avanzate;
? il modello di specializzazione delle esportazioni italiane è orientato verso settori la cui richiesta nel Mondo cresce meno della media e verso i settori più insidiati dalla concorrenza dei paesi emergenti;
? la perdita di competitività dell'Italia è dovuta a scarsa innovazione di prodotto;
? l'accresciuto peso delle importazioni proviene principalmente dai paesi dell'area europea;
? nei primi mesi del 2003 il rapporto import-export è peggiorato in quasi tutti i settori e particolarmente nei prodotti energetici, mezzi di trasporto, chimiche e fibre.

Le dimensioni di impresa

? la dimensione media in Italia è troppo piccola per poter affrontare l'innovazione e la ricerca necessarie;
? occorre promuovere aggregazioni tra imprese dello stesso distretto per la gestione di servizi comuni e per raggiungere la massa critica di domanda di ricerca e innovazione;
? occorre favorire lo sviluppo di società di servizi.

La questione cinese e l'economia italiana ed europea

? la concorrenza cinese non si combatte col protezionismo: i dazi fanno male a chi li mette ed a chi li subisce ed innescano conflitti in cui tutti perdono;
? serve, invece, l'applicazione ed il rispetto degli accordi su contraffazione e proprietà industriale ed intellettuale;
? bisogna considerare il "problema Cina" come una opportunità e non come una minaccia, quindi non chiuderci e chiudere ai loro prodotti, ma garantirci l'apertura di quell'immenso mercato ed attrezzarci per sviluppare prodotti innovativi da esportarvi.

GLI INDICATORI CONGIUNTURALI

 L'inflazione in Italia ed in Europa

I primi otto mesi del 2003 sono stati caratterizzati, in Italia, da una progressiva crescita dell'inflazione.
Si era detto ad inizio anno che l'inflazione sarebbe diminuita perché nel 2002 c'era stato uno 0,5% di effetto euro, invece l'inflazione sta viaggiando ad un tasso superiore a quello dell'anno scorso.
Non solo, ma si sta progressivamente allargando la forbice tra l'inflazione in Italia e quella nei paesi dell'Unione Europea.
 
? In Italia abbiamo avuto un effetto euro più alto rispetto agli altri paesi d'Europa ed una crescita dei salari più bassa. Questo ha determinato minori consumi. A questa contrazione dei consumi, il terziario, nella totale assenza di politiche di sostegno e controllo e di "moral suasion", ha reagito aumentando i prezzi per mantenere i livelli di guadagno. Questo spiega perché siamo l'unico paese con una stagnazione della crescita ed un aumento dell'inflazione. E' chiaro che siamo in presenza di una spirale negativa  che va arrestata prima ed invertita dopo.

? In Italia abbiamo il maggior numero di punti vendita rispetto a qualsiasi altro paese d'Europa. E' una comodità, che si paga perché comporta una numero elevato di passaggi che contribuiscono a gonfiare il prezzo finale. Quindi, più che parlare di speculazione, occorre parlare di una  caratteristica strutturale che produce lievitazione dei prezzi. 

? Il prezzo del petrolio avrebbe dovuto, dopo la guerra in Iraq, scendere, secondo gli esperti, sui 22 dollari, ma ancora oggi si mantiene sui 30 dollari.

 Inflazione e retribuzioni

Malgrado la conclusione di alcuni rinnovi contrattuali, i lavoratori continuano a perdere potere d'acquisto.

? I prezzi al consumo continuano a crescere più delle retribuzioni.

? La forbice tra retribuzioni ed inflazione fa prevedere, per fine anno, una perdita di potere d'acquisto dei salari di un punto percentuale.

? Occorre anche ricordare che le retribuzioni orarie contrattuali non rispecchiano perfettamente le retribuzioni di fatto, che, in periodo di crisi, sono  aumentate sicuramente ancora di meno. 

? E' evidente che, in questi ultimi due anni, con tassi di inflazione programmata troppo distanti da quella reale (nel 2003 1,5% programmata e  2,6% reale e nel 2003 1,4% programmata e 2,7% reale) ed in assenza di interventi sui prezzi e sulle tariffe, si è determinata una perdita secca che, per una retribuzione contrattuale, è stimabile in 220 Euro per il 2003.

? Così, il governo sta facendo saltare la politica dei redditi.

? La maggior parte degli accordi contrattuali sono andati un pò oltre l'inflazione programmata: tutti sapevano che essa era irrealistica ed alla fine anche tra gli imprenditori è prevalsa la disponibilità a riconoscere aumenti in linea con l'inflazione reale facendo riferimento all'inflazione attesa. Sola eccezione i metalmeccanici. 

? Gli aumenti  medi a regime dei contratti rinnovati sono stati i seguenti: Ferrovie 115, Telecomunicazioni 91, Poste 80, Turismo 118, Assicurazioni 129, Alimentari 96, Scuola 140, Metalmeccanici 90, Enti pubblici 131, Ministeri 109 (dati in euro).  

? La ricerca presentata dall'IRES a Gennaio ha evidenziato come gli effetti dell'inflazione nel 2002 siano stati sensibilmente diversi per fasce di reddito e condizione del nucleo familiare.

? Rimane, perciò, l'esigenza allora prospettata che l'ISTAT produca alcuni indicatori per panieri differenziati.

La produzione industriale

La produzione industriale in Italia ristagna ed anche per i prossimi mesi le previsioni sono in diminuzione. Si accentua così il divario con l'Unione Europea.

? La produzione industriale continua a flettere (Maggio -4,5%, Giugno -2,1%) ed a Luglio ristagna (0,4).

? Le previsioni ISAE, trasformate a parità di giorni lavorativi, sono: Agosto       -0,3, Settembre -5,3, Ottobre -1,7.

? La produzione industriale è in caduta da 30 mesi, mentre la crisi precedente più grave, quella  del 92, era durata 21 mesi. 

? La produzione industriale in Italia flette  più che negli  altri paesi UE da inizio 2002.

? A Maggio e Giugno la flessione della produzione industriale italiana è risultata tanto più forte di quella europea da produrre il maggiore scarto degli ultimi due anni.

La crisi industriale ha investito sia i settori dell'auto e della meccanica, sia quelli del made in Italy come tessili ed abbigliamento e pelli e calzature.

? alimentare: il futuro di questo settore è incerto per la pesante crisi della Cirio e lo "shopping" dei colossi esteri del settore sul nostro mercato.

? tessile e calzature: forte calo nel settore tessile ed abbigliamento pilastro del made in Italy  E' il settore forse più colpito dall'apprezzamento dell'euro sul dollaro: il cambio sfavorevole ha scoraggiato molti compratori americani e giapponesi ed ha esposto il settore alla concorrenza sempre più agguerrita dell'est europeo e della Cina.

? mobili arredamento: il settore con 230 mila addetti e 38 mila aziende è penalizzato dalla forte caduta della domanda interna e dalla concorrenza dei produttori dei paesi emergenti. 

? chimica: stagnazione e previsione di una crescita nulla da parte di Federchimica per il calo della domanda interna. La chimica produce beni intermedi utilizzati da molti settori industriali e perciò il suo andamento funziona da termometro per l'andamento complessivo dell'economia.

? meccanica ed elettronica: la produzione meccanica e di apparecchi elettrici e di precisione ha subito una forte flessione.
 
 Gli scambi commerciali

Proseguendo la tendenza degli anni precedenti, gli scambi commerciali fino al 2002  sono stati contrassegnati da un volume di esportazioni superiore alle importazioni. Nel 2003, invece le importazioni hanno superato le esportazioni determinando dopo 10 anni un deficit commerciale. Il fenomeno si è manifestato sostanzialmente nell'area UE.

? Il saldo commerciale, pari nel 2002 a 8,5 miliardi di euro si attesta nel 1° semestre 2003 a -4,3 miliardi.  Se il 2003, come è probabile, dovesse chiudersi con un deficit di 8 miliardi, ciò significherebbe esattamente tornare indietro al '91. 
? Il deficit commerciale scaturisce da un aumento delle importazioni (pari al 2,2%)  ed un crollo delle esportazioni (-5,5%). 
? In quasi tutti i settori si è registrato un peggioramento del rapporto import/export.
? Ciò riguarda sia i settori che continuano, comunque, a registrare un avanzo commerciale, sia quelli in deficit strutturale.
? Tra i settori che pur manifestano un avanzo commerciale (industria tessile ed abbigliamento e cuoio e prodotti in cuoio), c'è stata una leggera diminuzione delle importazioni, ma una diminuzione  tre volte più alta delle esportazioni.
? Tra i settori che hanno portato un contributo negativo al deficit commerciale di questi primi sei mesi del 2003 emergono:
- prodotti energetici con un aumento delle importazioni del +15% che ha compensato un deficit di ben 13 miliardi.
- mezzi di trasporto con un deficit di 6 miliardi dovuto al fatto che mentre le esportazioni sono crollate (-5,5%), le importazioni  (+6,7%) sono cresciute notevolmente.     
- prodotti chimici e fibre con un deficit di circa 6 miliardi dovuto anch'esso ad una caduta dell'export (-4,0%) e ad un forte incremento dell'import (+4,3%).
? Per aree geografiche, nell'area UE le importazioni sono cresciute del +2,2%, mentre le esportazioni sono diminuite del -4,2%.
Il risultato è un deficit commerciale di 4,5 miliardi di euro.
Esso è peggiorato nel rapporto con la Germania, con la quale abbiamo registrato un aumento delle importazioni dell'1% ed una caduta delle esportazioni del -2% e con la Francia (paese con il quale comunque abbiamo un avanzo commerciale), con la quale abbiamo registrato   un aumento delle importazioni del +3% ed una caduta delle esportazioni del -3%.
Anche con i Paesi Bassi, con i quali abbiamo registrato un deficit commerciale di 4,2 miliardi, c'è stato un forte deterioramento negli scambi; import -4,4% ed export  -11,0%.
 
L'occupazione

L'occupazione, fino ad Aprile, è aumentata per effetto delle politiche del lavoro degli anni passati che hanno favorito l'emersione e della maggiore permanenza dei lavoratori con oltre 50 anni.

? Dopo il rallentamento di Gennaio, ad Aprile, l'occupazione è tornata a crescere: 300 mila occupati in più rispetto ad aprile 2002.

? La metà di essi appartiene alla fascia di età compresa tra 50 e 59 anni e ben 250 mila sono dipendenti permanenti ed a tempo pieno.

? Analizzando i dati per settore, 200 mila  si trovano nei servizi ed oltre 100 mila nelle costruzioni.

? Analizzando i dati per area geografica, ben 200 mila sono collocati nel Nord, 100 mila al Centro, zero al Sud. Anche nel primo trimestre 2003 l'occupazione era aumentata prevalentemente nel Nord.

? Le prossime rilevazioni dovrebbero fornirci una chiave di lettura più precisa  di questa  crescita occupazionale.  Il fenomeno di una maggiore crescita dell'occupazione rispetto al Pil  si era manifestato  come conseguenza delle leggi sul lavoro del centro sinistra che avevano incentivato le assunzioni e favorito l'emersione.

? L'aumento nei servizi e nella fascia di età oltre i 50 anni lascia pensare ad una maggiore permanenza al lavoro.

? Resta, in ogni caso, ferma l 'anomalia di un tasso di occupazione che colloca l'Italia (56%) in coda non solo rispetto a Francia (63%) e Germania (70%), ma anche rispetto alla Spagna (60%).

? Nella grande industria crollano l'occupazione e soprattutto le ore di lavoro.
 
 Le previsioni CGIL

Per la prima volta la CGIL realizza una indagine congiunturale. La rilevazione viene eseguita presso le strutture territoriali alle quali viene chiesto, ogni tre mesi e successivamente ogni mese, quali tendenze si manifestano nel territorio di competenza per fenomeni quali cassa integrazione, mobilità, disoccupazione, utilizzo degli impianti, andamento della produzione, in ciascuno dei principali settori produttivi, e andamento del PIL.

I dati vengono elaborati ponderando le risposte con il valore aggiunto e con l'occupazione di ciascuna regione, e alla fine vengono calcolati i saldi tra previsioni di aumento e previsioni di diminuzione. Inoltre, attraverso l'applicazione di metodologie statistiche elaborate dal CER, i risultati dell'indagine vengono sintetizzati in una indicativa previsione delle evoluzione a breve termine di alcune variabili economiche, quali il valore aggiunto e l'occupazione. Le metodologie utilizzate sono descritte nell'Appendice di questo Rapporto. Naturalmente, dato il carattere ancora sperimentale dell'indagine, i risultati ottenuti devono essere interpretati con dovuta cautela. 

In particolare, dai dati che riguardano il mercato del lavoro emerge un quadro non perfettamente definito. Da un lato infatti la maggior parte degli intervistati si aspetta che nel terzo trimestre di quest'anno vi debba essere un minor ricorso agli strumenti di mobilità e di cassa integrazione (i cui saldi passerebbero rispettivamente da 20 a 14 e da 28 a 3). L'andamento è però di segno opposto per la disoccupazione che, per lo stesso trimestre, è attesa in aumento. 

L'apparente contraddittorietà di questi risultati può essere ricondotta ad un quadro di coerenza se si considera che il ricorso agli strumenti di mobilità e di cassa integrazione, che erano aumentati nel secondo trimestre, potrebbe aver generato tensioni sul mercato del lavoro che si scaricherebbero in un aumento della disoccupazione nell'ultimo trimestre dell'anno.

Peraltro, secondo le rilevazioni ufficiali, l'occupazione nel secondo trimestre è aumentata di tre decimi di punto, rivelando che le aspettative degli intervistati erano state eccessivamente pessimiste a questo riguardo (le previsioni secondo entrambe le metodologie erano di valori nulli o lievemente negativi). In questo senso la prevista riduzione dell'occupazione per il terzo trimestre (compresa fra il decimo di punto percentuale e gli oltre due decimi di punto) va interpretata con qualche cautela..

Pur non esistendo una definizione settoriale di disoccupazione, l'inchiesta raccoglie informazioni disaggregate sui flussi di uscita dal mercato del lavoro. I risultati mostrano che sarebbero in particolare i settori dell'industria in senso stretto e del commercio, che nel secondo trimestre avevano assorbito nuovi occupati, ad espellere lavoratori nel terzo.
Sono più certe le indicazioni che provengono dal lato della produzione. I giudizi degli intervistati colgono correttamente il segno della variazione del valore aggiunto che, nel secondo trimestre, è stata negativa per cinque centesimi di punto. Per il terzo trimestre, l'inchiesta segnala il possibile protrarsi di una situazione di stagnazione del prodotto, sia pur con qualche lieve cenno di miglioramento.

Ma il dato aggregato nasconde andamenti poco omogenei a livello settoriale. Mentre rimane negativo il contributo del valore aggiunto dell'industria in senso stretto, i settori dell'agricoltura e delle costruzioni, negativi nel secondo trimestre, dovrebbero far registrare nel terzo tassi di variazione in sensibile miglioramento.

 





L'ANALISI E LE PROPOSTE

 La natura della crisi economica e la ripresa

A) I dati della crisi

La crisi che stiamo vivendo è la più grave degli ultimi 20 anni

? gli ultimi dati ISTAT  hanno confermato che l'economia italiana continua a girare attorno allo zero. Si spera ancora che l'economia USA decolli e che ci si possa agganciare ad essa, ma non ci sono ancora elementi che possano trasformare questa speranza in realtà.
Ad oggi, si può solo dire che la crisi è grave ed è la più lunga degli ultimi 20 anni:
? la produzione industriale è in calo da 30 mesi, mentre la crisi precedente più grave, quella  del 92, era durata 22 mesi; l'impercettibile aumento di Luglio (+0,4%) è dovuto al fatto che c'è stato un balzo del settore energia del + 6,3% dovuto a fattori climatici che hanno comportato un maggiore uso di condizionatori ed impianti di refrigerazione.
? 
? il  Pil sta sotto l'1% da 24 mesi ed adesso si è fermato sul livello della fine del 2002

Questa crisi ha investito solo le economie mature. 

E' vero che la crisi non è solo italiana:
? la produzione industriale negli Usa è in caduta libera da 30 mesi, dal febbraio 2001 (6 mesi prima dell'11 settembre) mentre la precedente crisi del 90 (cominciata anche essa prima della guerra) si era protratta complessivamente per 12 mesi;
? le più recenti previsioni sono  che il Pil crescerà solo del 2,4% negli Usa, dell'1,2% in Gran Bretagna, dell'1% in Francia, resterà fermo in Italia e Germania;
? i paesi emergenti, Cina in testa, invece stanno registrando tassi di crescita mediamente superiori al 7%.
                
Ma, tra i Paesi sviluppati in difficoltà, l'Italia va  più indietro

I dati che caratterizzano la congiuntura italiana mostrano una crisi più grave che negli Usa e nell'Area Euro:
? la produzione industriale flette più che in Europa; dal 97, in Francia, la produzione industriale è aumentata dell'11%, in Germania del 12%, in Italia del 3%;
? l'inflazione aumenta più che nel 2002 (malgrado l'effetto Euro che aveva inciso in quell'anno) e più che in l'Europa; si riapre, così, il divario con Francia  e Germania, nostri principali concorrenti;
? la forbice tra retribuzioni ed inflazione si è allargata;
? l'occupazione, che negli ultimi anni aveva cominciato a crescere, rallenta e, nelle grandi imprese, crolla;
? l'export diminuisce, l'import aumenta, si ricrea un forte deficit commerciale; la quota delle esportazioni italiane da 4 anni è in calo ed è tornata ai livelli degli anni 60, mentre Francia e Germania sono cresciute;
? nella graduatoria della competitività internazionale l'Italia è scesa dal 13° a 17° posto. 

Le previsioni non indicano ancora la fuoriuscita dalla crisi

In Italia:

? le previsioni ISAE, trasformate a parità di giorni lavorativi, sono: Agosto       -0,3, Settembre -5,3, Ottobre -1,7;
? il modello previsionale CGIL segnala per il terzo trimestre una crescita zero;
? la fiducia dei consumatori scende e ad Agosto si è toccato il punto più basso da Gennaio, confermando un forte grado di incertezza;
? il clima di  fiducia delle imprese manifatturiere, dopo il crollo di Luglio a 86,7, è risalito ad Agosto a 95,0, ma il livello degli ordini continua ad essere negativo e le attese di produzione sono al di sotto di quelle di Giugno;
? gli ordinativi ISTAT a Giugno sono diminuiti del -2,7%;

In Europa:

? il clima di fiducia delle imprese manifatturiere rimane negativo;
? l'indice di acquisto, riferito a 2500 imprese europee, scende. 

Negli Usa:

? la ripresa di cui si parla non è ancora fondata su indicatori reali di produzione, ma solo sul miglioramento degli ordinativi e, in ogni caso, sarà fragile.
 
Le variazioni del superindice OCSE che misura le prospettive economiche sono: OCSE +5,5%, UE 15 +2,1%, Italia -2,8%.


B) Scenario, cause e caratteristiche

Lo scenario descritto riguarda la crisi dei paesi sviluppati, ma è anche vero che di fronte a questo scenario ne esiste un altro: economie come quella cinese, vietnamita e della Corea del Nord marciano  a ritmi superiori al 7-8%, altre come quelle della Malesia e della Thailandia superano l'Italia nella graduatoria della competitività, l'India si candida a diventare quest'anno la seconda locomotiva asiatica.
Si è, quindi, consolidato un fenomeno che si può chiamare il "cambio di passo": le economie mature non riescono più a crescere sopra il 2-3%,  quelle emergenti crescono a tassi superiori al 7% che in passato furono delle economie occidentali .

Si sta delineando, così, un nuovo assetto economico del mondo con poche macro aree che hanno, grosso modo, lo stesso peso economico: gli Usa il cui Pil pesa per il 22%, i paesi europei il cui Pil pesa per il 21%,  la Cina e gli altri paesi asiatici, escluso il Giappone, che producono il  23% del Pil mondiale.

Lo sviluppo degli anni passati è stato trainato dalla locomotiva americana. Essa ha tirato, anche grazie al combustibile fornito da Europa e Giappone, risucchiando capitali da tutto il mondo e finanziando così consumi ed investimenti.

Questi  hanno generato anche  una domanda di importazioni che, a sua volta,  ha alimentato la crescita delle altre aree.
Si è, così,  costruita, negli anni 90, una grande sovracapacità produttiva e si è creata nel mondo  un eccesso di offerta.

Questa sovraofferta, però, oggi  non trova sbocchi perchè, i livelli elevati di crescita si sono spostati  verso altre aree, ed  i paesi emergenti, con la loro produzione, forniscono i paesi vicini facendo, così, ridurre la leva dell'export per le economie mature.

La fase di depressione dell'economia mondiale è iniziata con  l'esaurirsi della spinta propulsiva dell'ondata di innovazioni nei settori dell'informatica e delle telecomunicazioni. 
Gli scambi internazionali che in passato avevano sempre manifestato un dinamismo maggiore della produzione sono stati colpiti fortemente dalla crisi e si comincia a dubitare che il commercio mondiale possa svolgere oggi il ruolo di volano che esso aveva svolto nelle fasi di inversione del ciclo delle  crisi precedenti. 
Nella crisi del 92-93 il commercio crebbe a tassi cinque volte superiori a quelli della produzione, mentre negli ultimi tre anni il rapporto è stato soltanto di 1,2.

In questo panorama si colloca la crisi italiana con alcune peculiarità: inefficienza dello stato, scarsa dotazione infrastrutture, dimensione troppo piccola delle imprese, scarsa capacità di adattamento alla globalizzazione e di acquisizione di nuove specializzazioni in settori nuovi e più dinamici.

? Abbiamo un debito doppio rispetto a quello di Francia e Germania; possiamo spendere, quindi, ogni anno meno per sanità, scuola, ricerca.
? I debiti nascono prima degli anni 90 dall'evasione fiscale dei redditi d'impresa e da lavoro autonomo. I governi degli anni 90 hanno fatto di tutto per evitare crisi finanziaria ed onorare il debito . Si sono creati così posti di lavoro in presenza di una crescita debole.
? Ma così ci sono stati  soldi in meno ogni anno, la domanda interna è rimasta più bassa, c'è stata una minore dotazione di infrastrutture  e di  servizi importanti per lo sviluppo.
? La struttura delle imprese è molto piccola. Giustamente si evidenzia la dimensione media troppo piccola, esaltata quando piccolo era bello, quando c'era una forte presenza del pubblico ed una forte concentrazione in pochi gruppi con rapporti anomali con la politica e con Mediobanca. Dopo la prima repubblica questa anomalia è scomparsa, ma non si è creata una nuova classe imprenditoriale all'altezza della globalizzazione, anzi la grande impresa è uscita da settori decisivi come elettromeccanica, chimica, elettronica.
? Non si è fatto sviluppo. I governi di centro sinistra hanno avviato risanamento e stabilità. Dopo doveva venire lo sviluppo. Il governo di centro destra non ha saputo costruire sviluppo.


C)     Per la ripresa

Oggi siamo in mezzo al guado: tra un livello nazionale svuotato di contenuti ed un livello comunitario ancora dal realizzare.
Il governo avrebbe dovuto avviare una politica di sviluppo, ma è rimasto impantanato tra l'ancoraggio ad una politica di stabilità ed una predicazione di sviluppo e ripresa affidata solo a promesse e speranze, mentre concretamente utilizzava le poche risorse disponibili per agevolazioni a pioggia e per sgravi fiscali non coerenti con l'aumento dei consumi per favorire la ripresa . 

Ora che non ci sono più i vantaggi della svalutazione competitiva,  è l'ora degli investimenti, delle acquisizioni, degli insediamenti sui mercati strategici.
Ma questo respiro non emerge né nella classe politica di governo, né in quella imprenditoriale.

E' anche vero che, in Europa, fatta la moneta unica si è arrestata ogni convergenza nelle politiche economiche. 
Si è pensato che l'unica strategia possibile per uscire dalla crisi fosse quella di agire sui costi di sistema e del lavoro, su fisco e tasse, per ottenere un circolo virtuoso di qualificazione del sistema industriale. 
Tutto il contrario di ciò che oggi serve al nostro paese e cioè: la ricostruzione di un sistema industriale che guardi alle nuove tecnologie, a nuovi processi di concentrazione industriale invece del ricorso allo "spezzatino"; la riscoperta quantificata e qualificata del manifatturiero; il ruolo della grande impresa, ancorata ad una vocazione dei distretti industriali, ove il protagonismo produttivo delle piccole e medie imprese viene riqualificato ed innovato .

Il messaggio trasmesso è stato: se volete che le imprese restino in Italia create condizioni  simili a quelle dei paesi poveri e, se si vuole investire in ricerca ed innovazione, occorrono risorse pubbliche.

Negli ultimi giorni si parla della ripresa americana e di ritardo dell'Europa e dell'Italia.
La ripresa americana, come vedremo, oggi è più una speranza che una realtà. Ma la stagnazione dell'Europa, purtroppo, è solo una dura realtà.
Si è detto recentemente a Cernobbio che il problema non sono i capitali che mancano, ma la fiducia e, le riforme, dovrebbero servire a dare fiducia a imprenditori ed investitori.
Oggi, è vero che gli investitori non investono ed i consumatori non acquistano.
Ma,  il problema vero è la competitività.
Non si stanno facendo, infatti, le cose che si dovrebbero fare: investimenti, infrastrutture, ricerca, innovazione.
L'Italia continua ad oscillare  tra due modelli di crescita: quello americano basato su innovazione tecnologica e crescita demografica, quello cinese su costi del lavoro bassi e manodopera molto preparata.

Ci si dovrebbe convincere che bisogna puntare sull'innovazione e la ricerca, dare ai giovani certezza di futuro (condizione questa essenziale per una ripresa demografica), su una crescita anche da immigrazione. Ma, soprattutto, sono le imprese italiane che dovrebbero fare un salto di qualità: uscire dal piagnisteo per strappare qualcosa al governo e collocarsi all'altezza della nuova sfida globale, perché le nuove condizioni del mercato mondiale configurano una nuova fase che richiede il coraggio dell'innovazione non solo tecnologica,  ma anche di classe imprenditoriale.    


Le soluzioni debbono investire: 

- Finanza:  per rendere meno caro il capitale di rischio e più appetibili forme giuridiche ed assetti proprietari più trasparenti ed aperti anche riprendendo l'esperienza anglosassone di incentivare fiscalmente le operazioni di partnership temporanee.
- Etichette e marchi:  per informare il consumatore  e contrastare contraffazioni e concorrenza sleale, istituendo il marchio dei prodotti italiani di qualità realizzati nelle filiere dei distretti industriali o interamente in Italia. 
- Promozione di aggregazioni: tra imprese appartenenti allo stesso distretto per la gestione dei servizi comuni ed il raggiungimento di una massa critica di domanda, di ricerca ed innovazione con incentivi fiscali alla costituzione di apposite società di servizi e con crediti di imposta per le attività di ricerca ed innovazione.
- Detassazione delle attività di acquisizione e fusione fra piccole e media imprese.

La questione cinese e le risposte da dare: tra protezionismo e nuove sfide

Con la novità Cina si confrontano oggi protezionisti, mondialisti, liberoscambisti, nazionalisti. 
La Cina presenta oggi condizioni interne, dimensioni, tassi di crescita e modalità di export che non hanno precedenti nel commercio internazionale. 
La quota di export dalla Cina nel mondo è salita negli ultimi 6 anni dal 2,8% al 6,5% ed in parallelo è diminuita la quota di Usa, Giappone, Ue.
La moneta cinese è sottovalutata del 20-30%, ma è anche vero che un passaggio improvviso alla fluttuazione della yuan potrebbe compromettere l'economia cinese che rappresenta, pur sempre, un grande mercato di sbocco per le economie occidentali e per quella italiana. Non solo, ma non bisogna dimenticare che la moneta cinese è fortemente ancorata al dollaro e che, quindi, è la svalutazione del dollaro che tiene basso il valore dello yuan.
Da qui la concentrazione del dibattito su protezionismo sì e protezionismo no, sulla quale vorremmo esprimere le nostre valutazioni, dopo un breve, ma necessario inquadramento storico.

L'ingresso della Cina nel WTO è stato corredato da un pacchetto di regole. Dice qualcuno  che per la fretta si sono fatte troppe concessioni, che non si può competere con un paese che è solo parzialmente di mercato, che bisogna attaccare il protezionismo cinese, che il WTO ha fissato intese sul commercio, ma non ha fissato regole sui trattamenti salariali minimi e sulle condizioni di lavoro e che la Cina sta tenendo artificiosamente basso il corso della moneta favorendo così i propri prodotti. 

Come è stato ricordato recentemente , il protocollo di accesso della Cina al WTO ha previsto 12 anni durante i quali i paesi della WTO possono adottare misure di salvaguardia transitorie per difendere specifici settori economici che possono entrare in grave crisi a seguito dell'apertura alla concorrenza dei prodotti cinesi. 
L'Unione Europea ha approfittato di questa possibilità. E' stato ricordato in questi giorni che il Consiglio dell'UE ha approvato il 28 gennaio 2003 lo strumento di salvaguardia verso la Cina: il cosiddetto Tpssm (transitional product specific safeguard measure). Esso prevede che tutti i prodotti comunitari possono chiedere misure di salvaguardia (dazi, tariffe, quote) ad eccezione delle imprese del tessile, calzaturiero, vasellame, porcellana le cui importazioni sono già oggi soggette ad un regime di quote.

La procedura  per avviare misure di salvaguardia   può essere avviata se il mercato UE è in crisi per l'incremento delle importazioni dalla Cina di prodotti simili ai nostri. Perciò i nostri ministri se vogliono possono richiedere alla Commissione, dimostrandone la validità, di avviare le procedure di salvaguardia, naturalmente a livello europeo.

Un meccanismo analogo esiste per la tutela della proprietà industriale ed intellettuale per marchi, brevetti, design, denominazione d'origine, diritti d'autore. L'accordo si chiama Trips e fissa regole comuni per la protezione delle proprietà industriale ed intellettuale.
Il 22 luglio 2003 il Consiglio Europeo ha approvato un nuovo regolamento per consentire l'intervento dell'autorità doganale sulle merci sospettate di violazione di diritti di proprietà intellettuale.
I problemi ci sono, quindi, ma ci sono anche degli strumenti di protezione che occorre conoscere per applicarli.

Un aspetto particolare è, invece, costituito dalle  contraffazioni. 
Secondo la UE, la contraffazione rappresenta il 5-7% del commercio mondiale, rappresenta, cioè, circa 250 miliardi di euro l'anno.
L'Italia è tra le nazioni più colpite perché ci sono una ventina di prodotti  "esposti" in cui essa è leader .
L'indicazione obbligatoria del paese di provenienza, quindi, si impone.

Gli imprenditori del tessile ed abbigliamento in particolare lamentano la rigidità normative degli USA: noi quando esportiamo dobbiamo indicare il marchio con lo stato di provenienza della merce invece, chi esporta, in Europa no.

I dazi non sono certo il rimedio per questi problemi; fanno male a chi li mette ed a chi li subisce perché innescano conflitti in cui tutti perdono. Non si può poi parlare di de-tax per aiutare lo sviluppo dei paesi poveri e poi introdurre dazi né, tantomeno, parlare di sviluppo a casa loro  per contenere i flussi immigratori incontrollati  e poi proporre il protezionismo. 
Inoltre, la Cina è un grosso mercato per la meccanica strumentale italiana.

I problemi dei singoli settori sono i seguenti:
- Legno: è un settore fortemente toccato da fenomeni di contraffazione e plagio e che si basa su design, creatività, innovazione. 
- Piastrelle: la Cina è il più grande produttore al mondo di piastrelle di ceramica che produce a costi bassi e con una tecnologia  vicina agli standard occidentali avendo ricopiato le nostre macchine. 
- Moda: è uno dei settori più penalizzati, per il quale si impone un controllo alle dogane   per alcuni prodotti (esempio scarpe) che entrano col marchio made in Italy e l'apposizione del paese d'origine.

Per l'Italia, in particolare, poi il problema non è solo l'export verso la Cina: le esportazioni italiane stanno pagando un caro prezzo alla  rivalutazione del dollaro.

Il mercato statunitense dopo aver assicurato per anni all'Italia il maggior attivo in assoluto (nel 2002 ha assorbito il 9,7% dell'export italiano) sta franando. 

Gli europei hanno creato l'euro, anche per mettersi al riparo dalle fluttuazioni del dollaro, usato come una clava per recuperare equilibrio in un sistema che consuma più di quanto produce, ma oggi  l 'America lascia che il dollaro si svaluti fortemente.

La pressione statunitense sulle economie concorrenti prima si è rivolta verso l'Europa con la rivalutazione del dollaro sull'euro, adesso si indirizza verso la moneta cinese.
Il 20 % del deficit della bilancia commerciale americana si è prodotto con la Cina. 
La risposta a questo insieme di problemi non può essere il protezionismo: con esso si sussidia l'industria nazionale e si  tassano i consumatori nazionali.

Non bisogna inoltre dimenticare che il 54% dell'export cinese esce da industrie straniere delocalizzate in Cina per i minori costi.
Insomma non si può guadagnare in Italia e andare ad investire in Cina, poi da lì esportare in Italia e poi qui, in Italia, dire "la Cina ci invade, governo aiutaci". 

In conclusione, bisogna considerare il "problema Cina" come una opportunità e non come una minaccia, quindi non chiuderci e chiudere ai loro prodotti, ma garantirci l'apertura di quell'immenso mercato ed attrezzarci per sviluppare prodotti innovativi da esportarvi.

Questa è la sfida.