MARCO D'ERAMO: PER LA CRITICA DELLE ONG



MARCO D'ERAMO: PER LA CRITICA DELLE ONG

[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo luglio 2003.]

La scena del dopoguerra iracheno e' segnata da un'assenza, quella delle
Organizzazioni non governative (Ong). Non che siano proprio inattive, ma
certo non ricevono le luci della ribalta come invece in Kosovo o in
Afghanistan, per citare le due crisi piu' recenti. A Baghdad sembra si
avveri la profezia formulata da John Fawcett, che diresse i programmi
dell'International Rescue Comettee (Irc) a Sarajevo durante l'assedio
(1992-'95): "Nelle crisi a venire i governi finanziatori assolderanno
societa' private perche' facciano cio' che adesso fanno le Ong. Forse
saranno piu' efficienti, ma sara' comunque un guaio perche' societa' come la
Bechtel o la Siemens non possono gestire il problema dei diritti umani.
Possono solo fornire servizi". E i primi dollari stanziati dal governo Usa
per l'Iraq sono andati infatti non a Ong ma a Kellogg Brown & Root, filiale
di Halliburton (di cui il vicepresidente Usa Dick Cheney e' stato
amministratore delegato fino alla vigilia della sua candidatura).
Certo, poiche' l'Onu e l'Unione europea non hanno partecipato alla guerra, e
poiche' l'Onu e l'Ue sono i maggiori finanziatori di Ong, l'assenza delle
organizzazioni umanitarie era quasi scontata. Ma fino a oggi il governo
americano aveva sempre sbandierato scopi umanitari per le sue guerre, tanto
che per il Kosovo si era coniato un termine degno della "neolingua" di
Orwell: "guerra umanitaria". Negli anni '90 le accademie militari Usa
avevano prodotto tesi quali Le relazioni tra esercito degli Stati Uniti e
Ong negli interventi umanitari (1996) e L'interazione tra esercito degli
Stati Uniti e organizzazioni di soccorso umanitario nell'ambito di episodi
di portata limitata (1998). Il segretario di stato Usa Colin Powell aveva
detto il 26 ottobre 2001: "Le Ong sono per noi un enorme moltiplicatore di
forza, una parte importantissima della nostra squadra di combattimento".
Nello stesso periodo la sottosegretaria di stato agli affari globali, Paola
Dobriansky, aveva tenuto in Kazakistan un discorso intitolato Assistenza
umanitaria e battaglia contro il terrorismo vanno di pari passo, in cui
sosteneva che "la compassione e' una componente essenziale della politica
estera del presidente Bush". Dobriansky aveva ragione: nel 2000 lo slogan
del candidato Bush era stato il "conservatorismo compassionevole". E da
quando e' alla Casa Bianca, cerca di devolvere a charities, a enti privati
di beneficenza tutti i compiti di assistenza sociale. Affidarsi all'estero
all'azione delle Ong sembrava la naturale estrapolazione a livello
planetario del modello sociale propugnato negli Usa.
*
L'assenza delle Ong dall'Iraq e' dovuta quindi a ragioni piu' profonde,
rintracciabili in due libri, usciti nell'ultimo anno, che discutono genesi,
ideologia e crisi del movimento umanitario: Un giaciglio per la notte: il
paradosso umanitario, di David Rieff (Carocci, Roma 2003), da cui sono
tratte tutte le citazioni riportate fin qui, e L'altruista egoista. Analisi
critica degli interventi umanitari in situazioni di guerra e carestia, di
Tony Vaux (Edizioni Gruppo Abele, Torino 2002) . Sono due libri
complementari, perche' gettano uno sguardo critico sul mondo delle Ong l'uno
dall'esterno (David Rieff e' un inviato speciale), e uno dall'interno (Tony
Vaux e' stato per anni un dirigente di Oxfam, una delle piu' grandi Ong
internazionali).
Contrariamente a quel che si puu' pensare, "la giustificazione a intervenire
militarmente in alcuni paesi stranieri perche' vi si trovano innocenti che
soffrono, non e' cominciata in Somalia (1992), ma nella guerra
d'indipendenza greca contro i turchi (1821-1830), la causa per la quale
mori' Lord Byron. In breve, gia' all'inizio dell'Ottocento, la favola
edificante dell'intervento umanitario, in cui una popolazione di vittime
deve essere salvata dai saccheggi dei signori della guerra e dai tiranni di
turno, era stata compiutamente elaborata" (Rieff). Tutte le annessioni
coloniali furono invocate per ragioni umanitarie.
Nell'Ottocento sorsero i primi enti umanitari (la Croce rossa
internazionale, Cri, fu fondata nel 1863) che si moltiplicarono nel
Novecento: Save the Children vide la luce nel 1919, Oxfam (Oxford Committee
for Famine Relief) fu fondata nel 1942 per alleggerire il blocco navale
inglese che fece morire di fame 250.000 civili greci. Ma il vero boom
umanitario risale alla crisi del Biafra (1967): fu in base ai dissidi sul
comportamento tenuto dalla Croce rossa in quella circostanza che nel 1971 un
gruppo di dottori francesi si scisse dalla Cri e fondo' Medecins sans
frontieres (Msf). E l'eta' d'oro dell'aiuto umanitario risplendette negli
anni '80: nel 1984 Bob Geldof lancio' le collette di Band Aid e Live Aid e
la beneficenza fu illuminata dai riflettori delle bande rock.
Perfino il vocabolario ne e' stravolto, tanto che oggi si usa l'espressione
"disastro umanitario" chee'  un nonsenso: puo' una catastrofe essere
filantropica, una crisi benefattrice, un'epidemia caritatevole, una strage
benevola?
*
C'e' un mistero nel consenso e l'adulazione che da allora circondano
l'ideale umanitario, per cui i suoi attivisti vengono considerati santi
laici: e, come i divi promuovono l'umanitarismo, cosi' per ottenere fondi le
organizzazioni umanitarie hanno bisogno che i loro dirigenti siano un po'
divi (vedi Gino Strada o il suo equivalente sacerdotale Alex Zanotelli).
Infatti il progetto umanitario si autodefinisce in termini negativi. Alla
domanda "cosa e' un essere umano", l'umanitarismo risponde "qualcuno che non
e' fatto per soffrire" (cosi' dice un dei fondatori di Msf). E Rieff
osserva: "Che una speranza tanto cauta abbia potuto avvincere l'immaginario
degli europei e degli americani piu' eticamente avvertiti e' un fatto senza
precedenti".
Questo "ridimensionamento etico" e' dovuto in parte al crollo dell'Urss:
dopo che gli occidentali "avevano compreso che il comunismo era stato
effettivamente cosi' orribile quanto avevano sostenuto gli anticomunisti, la
versione umanitaria dell'utopia era la sola impresa in cui un pubblico
disilluso fosse disposto a farsi trascinare". Quindi il rifugio
nell'umanitarismo e' dovuto in primo luogo al disintegrarsi dell'ideale
socialista.
L'azione umanitaria e' stata avvalorata anche dal discredito in cui e'
caduto il terzomondismo e lo "sviluppismo" ("a un affamato non bisogna
offrire un pesce, ma insegnargli come pescarlo", e' l'esempio che fa Tony
Vaux).
Ma non e' casuale che il boom umanitario sia coinciso con thatcherismo e
reaganismo: negli anni '80 Reagan persegui' una politica spietata contro i
poveri, ma pose nello stesso tempo gli homeless al centro dell'attenzione
pubblica. Impersonata nella fatalita' disperata di un senzatetto assiderato
su un marciapiede, la poverta' non era piu' un problema strutturale e
quotidiano della societa' americana (come quello delle decine di milioni di
working poors), ma diveniva un'emergenza melodrammatica, operistica. Nello
stesso modo, l'ideale umanitario estendeva alle relazioni nord-sud la
cultura dell'emergency; e il problema del sottosviluppo si traduceva nella
foto ad effetto del bimbo africano denutrito.
*
Ma le Ong corrispondevano innanzitutto all'ideologia privatistica e
antistatalista, per cui la cooperazione statale era considerata
inefficiente, burocratica, scialacquatoria. Nel tradurre in italiano (o in
francese) l'espressione inglese "government" si genera un equivoco di fondo
che continua a pesare. In italiano, "non governativo" e' ammantato del
credito di chi dice "non partigiano, non fazioso, non asservito al partito
al governo". In americano invece, poiche' la parola "state" indica ognuna
delle cinquanta entita' intermedie che costituiscono gli Usa, il termine
government vuol dire "stato" nel senso in cui lo usiamo noi. Quindi una Ong
e' semplicemente qualcosa di "non statale", non di "non governativo".
La Ong e' il naturale recipiente e subappaltatore dell'assistenza sociale
privatizzata. Per Tony Vaux "le agenzie di aiuti oggi stanno diventando
appaltatori degli stati", ma e' gia' da molto che questo succede e si puo'
dire che senza il subappalto da parte degli stati le Ong scomparirebbero.
Nel caso del terzo mondo, la Ong s'integra perfettamente al regime
neocoloniale in cui il vecchio potere coloniale si e' "ritirato" ed e'
formalmente assente. Come ha detto un funzionario dell'Onu, "l'assistenza
umanitaria e' diventata il paradigma delle relazioni Nord-Sud dopo la guerra
fredda". In Africa, scrive Rieff, "al pari dei missionari di cui avevano
largamente soppiantato le funzioni di dispensatori di carita', gli operatori
umanitari sembravano rappresentare il lato conciliante del potere
occidentale. Che gli operatori umanitari avessero in genere una concezione
totalmente differente di quello che facevano non cambiava di molto la
situazione".
Ecco, la parola e' stata detta: missionari. Come molti missionari, gli
operatori umanitari si sacrificano, conducono una vita difficile, fanno
sforzi eroici: nell'immaginario collettivo, un Albert Schweitzer non e'
molto diverso da una Teresa di Calcutta. Ed e' questa una delle ragioni per
cui e' difficile criticare le Ong, visto che raccolgono la parte migliore e
piu' generosa della nostra gioventu' (e' stato detto che Msf ha mobilitato
molte delle energie della militanza smobilitata del dopo '68). Ma, come i
missionari, molto spesso la presenza di un operatore umanitario sta a
indicare che di li' e' passato o sta per passare un esercito occidentale. I
missionari erano al seguito degli eserciti coloniali per imporre l'ideologia
coloniale. Le Ong difendono "i diritti umani" e diffondono la "democrazia".
Ma, come mostrano Rieff e Vaux, proprio nell'epoca del loro massimo
splendore, in tre crisi cruciali, le Ong si sono trovate confrontate a tre
ambiguita', a tre aporie del loro progetto umanitario.
In Kosovo, l'umanitarismo e' stato arruolato dalla Nato, sic et simpliciter.
Che senso ha un'azione umanitaria che si limita solo a uno dei contendenti
(qui i kosovari) e non all'altro (i serbi)? Questo fa si' che i governi
considerino "l'azione umanitaria alla stregua di uno dei tanti elementi a
loro disposizione" per reagire alle crisi, e che vi sia un "procedimento di
assorbimento dell'ideale umanitario da parte dell'umanitarismo di stato".
Cosi' in Kosovo le Ong "tendevano a seguire lo stesso impianto ideologico
dei propri governi nazionali: le Ong americane o britanniche per lo piu' a
favore della guerra, quelle francesi su posizioni ambigue, e qualche gruppo,
specie le sezioni greche di Msf e Mdm (Medecins du monde), ferocemente
filoserbo" (Rieff).
In Congo si e' disvelato quanto sia astratta l'ideologia della "sofferenza
decontestualizzata", cioe' dell'aiutare chi soffre perche' soffre. L'idea
che chi soffre e' sempre una vittima e una vittima e' sempre innocente. Per
questo c'e' un'infantilizzazione della sofferenza nel terzo mondo. "L'unica
cosa che vende bene e' la compassione": dittatori e operatori umanitari
hanno questo in comune, che gli piace farsi fotografare con un bambino in
braccio. Ma in realta' spesso le vittime non sono innocenti, e anche i
colpevoli soffrono. In Rwanda soffrivano e morivano profughi in fuga dopo
aver praticato stermini di massa e perpetrato orrori inenarrabili. Non e'
vero che la sofferenza e' neutra, la sofferenza e' sempre tinta di storia e
di politica.
Infine l'Afghanistan ha mostrato quanto sia illusorio sperare di far
coincidere l'ideale dei diritti umani con quello umanitario. Gia' in Kosovo
si era visto che l'intervento per difendere i diritti umani dei kosovari
aveva provocato una catastrofe umanitaria. In Afghanistan alleviare le
emergenze alimentari e idriche, significava perpetuare la schiavitu' delle
donne; boicottare il regime talebano significava rendersi responsabili di
migliaia di morti. Lottare per i diritti umani puo' aggravare la situazione
umanitaria e viceversa.
E' probabile percio' che l'assenza delle Ong da Baghdad sia dovuta non solo
a una svolta della politica americana (la rinuncia a presentare l'invasione
dell'Iraq come una "guerra umanitaria", anche se si e' voluto presentarla
come una guerra "per i diritti umani" e per la "democrazia"), ma anche a una
crisi d'identita' delle Ong, al loro non voler ricadere nella trappola del
Kosovo. Non solo giornalisti embedded, ma anche "umanitari arruolati".
*
Resta l'insoddisfazione di fondo di fronte a quella che e' diventata
"l'industria delle catastrofi" in cui ogni Ong si batte per avere
un'esposizione mediatica superiore (le emergenze e le carestie si vendono
meglio delle crisi strutturali), per conquistarsi una fetta del mercato
della sfiga, con una dipendenza crescente dall'apparato mediatico.
Sembra davvero appropriata la poesia di Bertolt Brecht sugli homeless
americani apposta a intestazione del suo libro da David Rieff (che e' figlio
di Susan Sontag): "Ho sentito dire che a New York / all'angolo della
ventiseiesima strada e di Broadway / nei mesi invernali ogni sera c'e' un
uomo / e ai senzatetto che si radunano / pregando i passanti procura un
giaciglio per la notte. / (...) A qualcuno non manca un giaciglio per la
notte, / il vento viene tenuto lontano da loro per una notte, la neve
destinata a loro cade sulla strada. / Ma con questo il mondo non cambia, /
le relazioni fra gli uomini per questo non migliorano, / l'epoca dello
sfruttamento non e' per questo piu' vicina alla fine".

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PS di Db: mi permetto di far notare che il taglio di alcuni versi rende
quasi incomprensibile la poesia finale di Brecht che appunto diceva (cito a
memoria) "dò un obolo, offro un giaciglio... MA CON QUESTO IL MONDO NON
CAMBIA"