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elettrico, un futuro a luci spente
- Subject: elettrico, un futuro a luci spente
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 9 Jul 2003 06:51:49 +0200
il manifesto - 29 Giugno 2003 Un futuro a luci spente Aumentano i consumi di elettricità. Ma aumentare la produzione non è la risposta giusta. Meglio affidarsi alle nuove tecnologie che permettono di accrescere l'efficienza energetica senza diminuire il benessere. Altrimenti per produrre più energia si finisce col produrre più anidride carbonica e far salire la temperatura della terra. E allora servono più condizionatori... MAURIZIO PALLANTE Nel paesino in cui abito il giovedì è giorno di mercato. Come tutti i giovedì mattina, il 26 giugno sono partito dalla mia borgata per andare a comprare tutto ciò che ancora non mi autoproduco (cioè quasi tutto, eccetto un po' di verdure). La prima cosa che faccio quando arrivo in paese è entrare in una delle tre banche che si affacciano sulla piazza del mercato per prelevare al bancomat. Erano le 9. Come ho infilato la tessera nella fessura, tac, si è spento tutto, quasi avessi schiacciato un interruttore, tant'è che per un momento ho creduto di essere stato io a provocare il collasso annunciato nella fornitura di energia elettrica. L'impiegato, che per ragioni professionali deve aver interiorizzato il messaggio di quella pubblicità progresso in cui tutti ringraziano l'uomo che ha comprato le mele perché col suo acquisto fa girare l'economia, è uscito e mi ha detto: «Dottore non si preoccupi, la tessera gliela restituisco io - e, armeggiando dietro lo scatolone del bancomat, ha aggiunto - il prelievo glielo faccio fare allo sportello e la registrazione la effettuerò quando sarà tornata la corrente, così la spesa la potrà fare lo stesso». Al mercato non si parlava d'altro. «Incredibile, pazzesco - commentava l'uomo del banco dei formaggi con lo stesso tono di chi direbbe: non c'è più religione, il mondo sta andando proprio sottosopra - quanto ne taglio, una fetta così va bene?». «La metà, basta la metà, grazie» gli ho risposto come ogni volta, sapendo già di ottenerne i tre quarti. «Il blackout - commentava in dialetto strettissimo uno seduto al tavolo del bar in attesa di un caffè che non gli avrebbero potuto servire - dipende dai francesi, che oggi hanno sospeso la fornitura degli 800 megawatt che ci mandano». «Lo credo - gli rispondeva il suo interlocutore, in crisi di astinenza da caffeina anche lui - anche in Francia fa un caldo insopportabile e la loro elettricità la usano per i loro condizionatori. Lì, col nucleare non hanno i nostri stessi problemi». E il ministro Marzano, inserendosi nella conversazione attraverso la radio, o forse la televisione (ma come avrà fatto, se mancava la corrente?) aggiungeva: «Noi invece da dieci anni non costruiamo nuove centrali per l'opposizione delle popolazioni. Se cresce la domanda di energia elettrica bisogna accrescere anche l'offerta, altrimenti i blackout sono inevitabili. Per sbloccare la situazione occorre togliere agli enti locali ogni possibilità di impedire la costruzione di nuovi impianti sul loro territorio. Le autorizzazioni devono diventare, per legge, competenza esclusiva del governo». Passando davanti all'edicola, su tutti i giornali (avete notato con quale tempestività ripetono tutti le stesse parole con gli stessi toni, come in un coro?) i titoli facevano riferimento all'effetto California, dove due anni prima si era verificata la stessa situazione di una domanda di energia elettrica superiore all'offerta. Una leva formidabile che aveva consentito a Bush di scavalcare le normative ambientali per effettuare perforazioni petrolifere in Alaska e di proclamare che il livello di vita degli americani non è in discussione, per cui se aumenta la domanda di energia ce l'andiamo a prendere dov'è. E' nel golfo Persico, in Iraq, in Iran? Beh, peggio per loro, tanto sono stati canaglia. Ma è così automatico che quando si verifica un aumento della domanda di energia elettrica l'unica risposta possibile sia l'aumento dell'offerta? In realtà questa è la risposta tecnologicamente più arretrata ed economicamente meno conveniente, che nella situazione attuale aggrava i problemi a cui pretende di porre rimedio. La risposta più evoluta tecnologicamente e più conveniente economicamente è una riduzione degli sprechi, delle inefficienze e degli usi impropri che consenta di ridurre la domanda senza ridurre il benessere. Se gli edifici hanno bisogno di essere condizionati quando fa caldo è perché non sono ben coibentati. Migliorando la coibentazione si riduce lo scambio termico con l'ambiente esterno, per cui d'estate il caldo non passa attraverso i muri, i vetri e gli infissi, mentre d'inverno non ci passa il freddo. La legge tedesca in materia di riscaldamento non consente che si superi un consumo di 70 kilowattora per metro quadrato all'anno. In Italia siamo sull'ordine dei 150/200. Le cosiddette case passive tedesche non superano il consumo di 15 kilowattora al metro quadrato all'anno. Invece di utilizzare l'elettricità negli impianti di condizionamento centralizzati, si possono usare pompe di calore alimentate da motori termici, che consumano 2/3 di energia in meno (perché, come è noto nelle centrali termoelettriche solo 1/3 dell'energia contenuta negli idrocarburi si trasforma in energia elettrica, mentre il resto si spreca sotto forma di calore inutilizzato). Invece di costruire nuove centrali termoelettriche si possono sostituire le caldaie degli impianti di riscaldamento con impianti di cogenerazione che utilizzando la stessa quantità di combustibile, oltre a riscaldare fanno anche una quantità di energia elettrica superiore al fabbisogno. In estate l'energia termica prodotta dai cogeneratori può essere utilizzata per alimentare pompe di calore ad assorbimento che raffrescano gli ambienti senza accrescere la domanda di energia elettrica mentre nel contempo se ne accrescendone l'offerta. Le innovazioni tecnologiche che consentono di accrescere l'efficienza energetica, in modo da ridurre la domanda di energia senza diminuire il benessere sono moltissime e possono consentire di ridurre i consumi fino al 50 per cento. Oltre ai vantaggi ecologici di ridurre le emissioni di CO2, comportano anche vantaggi economici, perché consentono di ridurre i consumi e i costi energetici. In questo modo i risparmi possono essere utilizzati per ammortizzare gli investimenti che richiedono. Se invece all'aumento della domanda si risponde con l'aumento dell'offerta, aumentano di pari passo i costi dell'energia e le emissioni di CO2. Insomma si dà una spinta ulteriore a un circolo vizioso che come una fatica di Sisifo sposta sempre in avanti e rende sempre più difficile la soluzione dei problemi: la crescita delle emissioni di CO2 aumenta la temperatura terrestre; per ridurre i disagi si usano i condizionatori che fanno aumentare il fabbisogno di energia elettrica e quindi le emissioni di CO2, facendo ulteriormente aumentare la temperatura terrestre. Un'apparente cura dei sintomi che aggrava le cause. Il blackout che c'è stato e quelli che con ogni probabilità ci saranno sono l'ultimo avviso ai naviganti. Se si continuerà a reagire per riflessi condizionati come il cane di Pavolv, pensando che l'unico modo di rispondere agli incrementi della domanda sia l'aumento dell'offerta, la situazione è destinata ad avvitarsi rapidamente su se stessa allontanando progressivamente ogni possibilità di soluzione. Se, invece, si coglierà l'occasione per avviare profonde ristrutturazioni energetiche finalizzate ad accrescere l'efficienza, a ridurre gli sprechi e eliminare gli usi impropri, allora si potrà avviare un circolo virtuoso che consentirà di ridurre le emissioni di CO2 senza peggiorare le condizioni di vita. La realizzazione di queste ristrutturazioni richiede grandi quantità di lavoro. Un lavoro, che come tutte le attività degne di questo nome non ha bisogno di sussidi pubblici, ma copre i suoi costi e consente di ottenere degli utili attraverso il reinvestimento in occupazione dei risparmi economici conseguenti ai risparmi energetici che si riescono ad ottenere. La costruzione, che so, del ponte di Messina potrebbe fare altrettanto, non solo in termini qualitativi, ma anche quantitativi?
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