il fallimento di banca mondiale e fmi



da lanuovaecologia.it

Giovedì 15 Maggio 2003

ECONOMIA| Una conferenza del Nobel per l'economia all'Università di Urbino
Stiglitz: «Vi svelo i misteri della globalizzazione»

L'ex consigliere economico dell'amministrazione Clinton spiega il fallimento
delle politiche di Banca mondiale e Fondo monetario internazionale. E
individua l'alternativa nella democratizzazione e nella maturazione della
"globalizzazione sociale"

Un'intera giornata con il premio Nobel ed ex capo economista della Banca
Mondiale Joseph Stiglitz. Il professore, attualmente docente alla Columbia
University, ha tenuto, venerdì 9 maggio, nella facoltà di Economia di
Urbino, una lunga lezione dal titolo "La politica economica ai tempi della
globalizzazione", di fronte a una nutrita platea stipata nella sala
conferenze di Palazzo Brandani Battiferri. Le critiche pungenti del più
scomodo tra i teorici del "Mondo diverso possibile" sono state snocciolate
con l'arguzia e la competenza di sempre. Tra i temi guida della lezione, l'
analisi dei processi di globalizzazione, con i loro impressionanti impatti
sociali ed economici. E una lunga inquisizione al Fondo monetario
internazionale e alle sue perverse politiche economiche.

Stiglitz non è certamente un "no global" come, per comodità, molti lo
definiscono. Semplicemente ritiene che la ricetta di apertura e
liberalizzazione dei mercati che la comunità internazionale impone
indiscriminatamente a tutti i paesi in via di sviluppo non sia sempre quella
giusta. «La globalizzazione è stata lodata come depositaria di quella forza
che avrebbe portato una nuova età di crescita per i paesi in via di
sviluppo, consentendo loro di colmare la distanza che li separa dai paesi
più ricchi - dice il professore della Columbia - Allo stesso tempo però è
stata messa alla gogna per aver aumentato la povertà e, da molti, anche per
aver impedito la crescita. C'è un elemento di verità in entrambe le
prospettive: la globalizzazione può portare maggior crescita, ma non
necessariamente, e può portare maggiore povertà, ma non necessariamente».

È questa in realtà la debolezza di tutte le teorie sulla globalizzazione
economica pre-Stiglitz: la complessità dell'internazionalizzazione dei
mercati e della finanza non è più sufficiente a spiegare i processi
economici globali, senza che le sia affiancata la considerazione delle sue
ricadute sociali.
«I riflettori vanno puntati - argomenta il Nobel - sulle nuove dinamiche di
globalizzazione sociale capaci di condizionare la globalizzazione economica,
rendendola meno aggressiva di quanto lo è già, almeno nei paesi meno
sviluppati».

Globalizzazione sociale certamente molto più lenta di quella economica,
perché è «nata più tardi» e non è ancora corredata da quelle «norme
condivise» che ne dovrebbero tutelare il funzionamento. Per questo il Nobel
auspica che i politici delle grandi potenze focalizzino i propri sforzi in
questa direzione. «La condotta politica di Europa e Stati Uniti non deve
basarsi solo sul controllo dell'inflazione e della disoccupazione come nei
primi modelli di political economy - spiega - ma sulla capacità di
innovazione delle imprese rileggendo in maniera etica e sostenibile i
rapporti commerciali con il Sud del mondo».

In questo compito, secondo Stiglitz, hanno completamente fallito sia la
Banca Mondiale che il Fondo Monetario Internazionale. Sotto accusa le azioni
economiche che questi organismi prescrivono ai paesi che intendano ricevere
il loro supporto finanziario. «Queste azioni sono sempre le stesse, in ogni
parte del mondo e in ogni congiuntura: liberalizzazione dei mercati dei
capitali, privatizzazione massiccia, taglio alla spesa pubblica con riforma
del sistema pensionistico, riduzione delle barriere alle importazioni e dei
sussidi alle esportazioni - accusa Stiglitz - Compito dell'economista invece
è capire e spiegare le conseguenze delle scelte, mentre il compito di
prendere le decisioni dovrebbe essere lasciato a un processo politico
democratico. F mi e la Banca Mondiale, che non sono stati eletti dalla
popolazione di quei paesi, sembrano ignorare il principio della sovranità
democratica e pretendono che loro scelte siano sempre quelle giuste per
tutti».

La globalizzazione, ha concluso il Nobel, non è un mistero. E questo è già
un buon punto di partenza per costruire l'alternativa. Con un'altra una nota
di speranza: «La politica è indietro coi tempi: sembra che sia incapace di
comprendere quello che una società civile sempre più vigile, da Seattle in
poi, ha già evidenziato. Ho fiducia che quando la globalizzazione sociale
sarà più matura, avrà più strumenti per modellare quella economica, oggi
soggiogata ad interessi troppo particolari».