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crimini finanziari, lo stato dell'arte
- Subject: crimini finanziari, lo stato dell'arte
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 19 May 2003 06:46:54 +0200
da corriere.it maggio 2003 «Le piaghe? Strapoteri e conflitti di interessi» P unto primo: una relazione di «disarmante banalità». Punto secondo: sul falso in bilancio è stato fatto un salto indietro di più di un secolo, «qualche piccolo commento da chi è preposto alla tutela dei mercati forse c' era da aspettarselo». Punto terzo: con gli attuali poteri che ha la Consob sarebbe potuta intervenire tempestivamente in casi come la Cirio: ma non lo ha fatto. Sono queste alcune delle notazioni fatte da Marco Vitale, economista d'impresa, presidente dell'Aifi (l'associazione delle società di venture capital e private equity) e vicepresidente della Popolare di Milano, alla relazione del presidente della Consob Spaventa. Perché parla di una relazione di «disarmante banalità»? «Il 2002 ha segnato il, per ora, più basso punto di una crisi epocale dei mercati mobiliari, la più profonda e strutturale da quella degli Anni Trenta. Questa crisi è mondiale, ha il suo epicentro nei grandi mercati e quindi, in primo luogo, negli Usa. Segna una svolta negativa per riprenderci dalla quale saranno necessari decenni e molte innovazioni sociali. Questa crisi non è responsabilità della Consob né della Sec e nessuna Consob e nessuna Sec poteva evitarla. Ma tocca a questi organismi, anche se non solo a loro, dare una lettura non banale di quanto è successo e suggerire, nella misura possibile, miglioramenti strutturali». E la lettura di Spaventa non lo è? «Penso che la sua lettura dei "misfatti" successi in America e delle misure correttive adottate sia inadeguata». Perché? «Spaventa si dichiara soddisfatto della reazione e soprattutto della legge Sarbanes-Oxley. Ma non vede (e la cosa è rilevante anche per noi) che i problemi principali non sono stati affrontati neanche negli Usa. I quali hanno, in realtà, una grandissima difficoltà ad affrontare i problemi veri e fondamentali, perché questi non sono tecnici ma politici e di scontro sociale». Quali? «In primo luogo, lo strapotere dei top manager. Secondo, la scandalosa arbitrarietà possibile in materia di stock option. Terzo, la posizione di sostanziale monopolio (o oligopolio collusivo) delle quattro grandi società di revisione. Quarto, gli sconfinati conflitti di interesse ai quali i recenti accordi transattivi tra banche d'investimento e organismi investigativi e di sorveglianza hanno solo spuntato il ciuffo. Naturalmente c'è un'America seria che sta lavorando su questi temi, come Warren Buffett, e questa America non è per niente, come il politically and financially correct presidente Spaventa, soddisfatta di come vanno le cose». Lei dice che dobbiamo smettere di guardare agli Usa . «E' da settant'anni che non facciamo che copiare l'America. Se provassimo a fare qualcosa per conto nostro, capiremmo che, almeno concettualmente, in molti campi siamo più avanzati in Europa». Spaventa ha detto che la nuova disciplina penale pone dei problemi . E' sufficiente? «Se c'è un campo nel quale noi abbiamo fatto un salto indietro di più di un secolo è quello del falso in bilancio. Al di là della regolamentazione concreta, il salto indietro è concettuale: il falso in bilancio non tutela specifici interessi ma la fede pubblica generale che sui bilanci si basa per tanti motivi. Qualche piccolo commento su queste cose da chi è preposto alla tutela dei mercati, forse c'era da aspettarselo». Come si deve intervenire? «Intanto, occorre ripristinare una internazionalmente decente regolamentazione del falso in bilancio e reati connessi. Poi, bisogna depenalizzare tanti reatini minori che servono solo ad ingolfare il tavolo. Infine, si deve imporre che chiunque venga rinviato a giudizio per reati societari dia le dimissioni da cariche societarie». E' necessario che la Consob abbia maggiori poteri? «Spaventa non ha chiesto maggiori poteri ma ha, invece, correttamente sottolineato che spesso alla Consob l'opinione pubblica chiede interventi su materie che non sono di sua competenza e che ciò è sbagliato. Per il resto ha richiesto un ampliamento di poteri su alcuni aspetti specifici e soprattutto ha chiesto che la Consob venga affrancata da dipendenze e vincoli assurdi e che sono ancora conseguenza della sua nascita come dipartimento del ministero del Tesoro. Su questo punto sono perfettamente d'accordo con lui. Tutto ciò non toglie che gli attuali poteri permettevano tempestivi interventi di prevenzione (nel caso Cirio e in casi analoghi), interventi che non hanno avuto luogo. E di questi bisognerebbe serenamente rendere conto e discuterne in modo costruttivo. Così come non dovrebbe essere eluso il problema dei danni provocati dall'incrocio di vigilanze concorrenti, soprattutto con riferimento ai titoli emessi dalle banche. Vi sono anche titoli bancari quotati che sollevano preoccupazioni, non cancellate dal fatto che si tratta di organismi sottoposti alla vigilanza della Banca d'Italia. Ricordo che il presidente della Consob del tempo diede il via alla quotazione del Banco Ambrosiano di Calvi dopo aver ricevuto una comunicazione della Banca d'Italia che diceva: "Nulla osta alla quotazione del Banco Ambrosiano". Eppure molte cose ostavano!» Spaventa ha accusato gli investitori istituzionali che non partecipano alle assemblee. «Sono d'accordo, devono essere più attivi nelle assemblee e nella governance delle grandi società. E' dal 1986 che sostengo questa esigenza. Non credo, invece, che la dominante matrice bancaria dei fondi non sia estranea ai peccati di omissione assembleare. L'assenteismo dei fondi è fenomeno mondiale (anche se negli ultimi tempi c'è qualche novità negli Usa) ed è legato soprattutto alla cultura e mentalità dei gestori che si sentono investitori e non azionisti». Le banche, però, hanno avuto comportamenti assolutamente censurabili nei confronti dei risparmiatori. «Molte banche si sono comportate in modo inquietante nella gestione del risparmio e nel collocamento di titoli. Una delle poche notizie concrete contenute in questa evanescente relazione è la seguente: "In relazione a recenti episodi di insolvenza sono in corso controlli accurati sul comportamento degli intermediari". Aspettiamo con interesse». Nella relazione si dice che l'investimento delle famiglie italiane in attività prive di rischio è passato da poco meno dell'80% nel 1995 al 50% nel 2000. Un dato impressionante. «Ho qualche difficoltà a inquadrare il concetto di "attività prive di rischio". Immagino che comprare un appartamento in una delle Torri gemelle di New York rientri, in teoria, in questa attività. Che comprare titoli di Stato rientri nella stessa categoria. Io ho appeso nel mio studio un quadretto di un Buono del Tesoro quinquennale a premi 5% di cinquecento lire emesso nel 1948. Mi serve a ricordare che molte delle maggiori distruzioni dei risparmi sono state effettuate attraverso i titoli di Stato. In realtà la categoria "attività prive di rischio" non esiste. Se con questa espressione il presidente Spaventa voleva indicare il ritiro del risparmiatore dalle azioni, egli indica un problema di enorme gravità. Non possiamo accettare che questo fenomeno si consolidi, perché ciò vorrebbe dire il declino e l'emarginazione della nostra economia». Maria Silvia Sacchi PARLA IL PM Targetti: «Panorama desolante» «Francamente il panorama mi sembra desolante. Oggi come oggi la tutela offerta al mercato nei confronti dei più comuni reati finanziari, come l' insider trading e l'aggiotaggio, mi pare molto, molto modesta». Riccardo Targetti, sostituto procuratore a Milano, è uno dei magistrati da anni in prima linea sul fronte della criminalità economica. La sua analisi lascia poco spazio all'ottimismo. Dottor Targetti, davvero per voi magistrati le inchieste sui reati finanziari sono una battaglia persa in partenza? «L'attuale normativa sul falso in bilancio lascia pochi spazi d'intervento. Forse uno spiraglio resta nel caso delle false comunicazioni alle autorità di vigilanza, come Bankitalia e Consob. Questo reato è perseguibile d' ufficio, senza querela di parte, e prevede pene molto severe. Per cui, per esempio, corre gravi rischi, fino a quattro anni di reclusione, l' amministratore di una banca che attesta il falso nelle periodiche comunicazioni alla Vigilanza». E per quanto riguarda i più specifici reati di mercato? «L'aggiotaggio è punito severamente e anche i termini di prescrizione sono piuttosto lunghi. In compenso è difficilissimo da provare. Ancora peggio per l'insider trading. Servirebbero mezzi d'indagine più efficaci, come le intercettazioni telefoniche, che però al momento non sono consentite in questo tipo di inchieste». Anche il presidente della Consob Luigi Spaventa reclama per la Commissione «poteri ispettivi, informativi e di intervento assai più penetranti». Ci si arriverà, prima o poi? «Ritengo che una soluzione efficace potrebbe essere la creazione di gruppi di intervento speciali nell'ambito delle procure dei centri finanziari più importanti, a cominciare ovviamente da Milano. I funzionari Consob dovrebbero essere in qualche modo aggregati a queste task force con il ruolo di consulenti e potrebbero lavorare a stretto contatto con il magistrato e la polizia giudiziaria». E quali sarebbero i vantaggi di questa soluzione? «Pensiamo a un'indagine di insider trading. La notizia di reato adesso arriva alla Consob e a volte passano molti mesi prima che venga valutata e quindi, se del caso, trasmessa all'autorità giudiziaria. Tutto tempo prezioso che viene perso. Se magistrato e funzionari Consob lavorassero spalla a spalla si potrebbe intervenire subito. Senza contare l'importante contributo sul piano tecnico che potrebbe essere fornito al pm dagli uomini della commissione di controllo sui mercati». V. Mal. BUONI & BRAVI Tra i criteri di giudizio sincerità e responsabilità Negli Usa i più corretti sono anche i più quotati Le 5 società migliori in governance hanno guadagnato il 23% mentre l'indice S&P 500 perdeva il 40%. Una ricerca di Gmi Gli investitori istituzionali sono sempre più attenti alla corporate governance delle società quotate. E anche i risparmiatori fanno bene a considerarla non solo una moda passeggera, perché le aziende che hanno buone regole di autogoverno di solito ottengono migliori performance pure in Borsa. Lo dimostra un nuovo studio elaborato da Governance Metrics International (Gmi), un'agenzia indipendente di rating con sede a New York: negli ultimi tre anni di crisi a Wall Street, mentre l'indice S&P500 è crollato del 40%, i cinque titoli delle aziende premiate con il massimo voto da Gmi (10) hanno guadagnato il 23% (media ponderata); e se si considerano anche i dieci titoli con un rating leggermente più basso (9,5), la performance media dei top 15 resta positiva, pari al 3,4%, nonostante la lista comprenda alcuni casi di crisi aziendali come Jds (vedi la tabella) . Ma quali fattori sono importanti per valutare la corporate governance? Gmi prende in considerazione ben 600 elementi, raggruppati in sette categorie: per ognuna dà un voto, che confluisce nel rating finale. Le sette materie d'esame sono la qualità e la responsabilità del consiglio di amministrazione, la trasparenza e la completezza delle informazioni al pubblico, il sistema di remunerazione dei manager, i diritti degli azionisti, la composizione dell'azionariato, l'esistenza di meccanismi anti-scalata, il comportamento sociale dell'azienda. Nell'analisi del consiglio di amministrazione, Gmi guarda al livello d'indipendenza dei suoi membri, cerca indizi di una gestione troppo aggressiva degli utili e toglie punti se i manager devono correggere i risultati di bilancio già pubblicati. Sul voto complessivo conta anche l'atteggiamento dell'impresa verso i suoi dipendenti e verso la comunità in cui è inserita: come tratta i dipendenti, se il posto di lavoro è sicuro, se rispetta l'ambiente, se ha una storia di contenziosi legali con clienti o altri gruppi di cittadini. «Sono tutti elementi importanti dal punto di vista degli azionisti, e noi siamo l'unica agenzia che elabora un rating così completo sulla corporate governance», precisa Gavin Anderson, amministratore delegato di Gmi, che ha iniziato ad operare nell'aprile 2000. Poche società sono promosse a pieni voti dopo un esame così dettagliato. Attualmente solo cinque meritano dieci, secondo Gmi: la farmaceutica Pfizer, la finanziaria Slm che eroga prestiti per studenti, la raffineria di petrolio Sunoco, la società di componentistica per auto Johnson Controls, la compagnia Mbia specializzata in garanzie sui prodotti obbligazionari. Delle pecore nere, quelle con i voti più bassi, Gmi non rivela invece i nomi: «Non è compito nostro metterle alla gogna», spiega Anderson. Il rating di Gmi è rivisto ogni sei mesi, con aggiornamenti quotidiani se necessari: il servizio è comprato da fondi pensione come Abp, il più grande in Europa, o da enti che rappresentano fondi pensione e fondazioni, come Inter-Atlantic Fund of New York, per un valore totale di 2 mila miliardi di dollari di patrimoni gestiti. «La pressione di questi investitori per il miglioramento della corporate governance è sempre più forte e, unita alle nuove regole della legge Sarbanes-Oxley del 2002, sta facendo cambiare davvero l'atteggiamento dei top manager e dei consiglieri d'amministrazione», osserva Anderson. Il rating di Gmi per ora riguarda le 500 aziende dell'indice S&P500, ma presto verrà allargato a società giapponesi e australiane ed entro l'estate finiranno nel mirino dell'agenzia americana anche 300 fra le maggiori società europee. Maria Teresa Cometto
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