crimini finanziari, lo stato dell'arte



da corriere.it maggio 2003

«Le piaghe? Strapoteri e conflitti di interessi»


P unto primo: una relazione di «disarmante banalità». Punto secondo: sul
falso in bilancio è stato fatto un salto indietro di più di un secolo,
«qualche piccolo commento da chi è preposto alla tutela dei mercati forse c'
era da aspettarselo». Punto terzo: con gli attuali poteri che ha la Consob
sarebbe potuta intervenire tempestivamente in casi come la Cirio: ma non lo
ha fatto. Sono queste alcune delle notazioni fatte da Marco Vitale,
economista d'impresa, presidente dell'Aifi (l'associazione delle società di
venture capital e private equity) e vicepresidente della Popolare di Milano,
alla relazione del presidente della Consob Spaventa. Perché parla di una
relazione di «disarmante banalità»?
«Il 2002 ha segnato il, per ora, più basso punto di una crisi epocale dei
mercati mobiliari, la più profonda e strutturale da quella degli Anni
Trenta. Questa crisi è mondiale, ha il suo epicentro nei grandi mercati e
quindi, in primo luogo, negli Usa. Segna una svolta negativa per riprenderci
dalla quale saranno necessari decenni e molte innovazioni sociali. Questa
crisi non è responsabilità della Consob né della Sec e nessuna Consob e
nessuna Sec poteva evitarla. Ma tocca a questi organismi, anche se non solo
a loro, dare una lettura non banale di quanto è successo e suggerire, nella
misura possibile, miglioramenti strutturali».
E la lettura di Spaventa non lo è?
«Penso che la sua lettura dei "misfatti" successi in America e delle misure
correttive adottate sia inadeguata».
Perché?
«Spaventa si dichiara soddisfatto della reazione e soprattutto della legge
Sarbanes-Oxley. Ma non vede (e la cosa è rilevante anche per noi) che i
problemi principali non sono stati affrontati neanche negli Usa. I quali
hanno, in realtà, una grandissima difficoltà ad affrontare i problemi veri e
fondamentali, perché questi non sono tecnici ma politici e di scontro
sociale».
Quali?
«In primo luogo, lo strapotere dei top manager. Secondo, la scandalosa
arbitrarietà possibile in materia di stock option. Terzo, la posizione di
sostanziale monopolio (o oligopolio collusivo) delle quattro grandi società
di revisione. Quarto, gli sconfinati conflitti di interesse ai quali i
recenti accordi transattivi tra banche d'investimento e organismi
investigativi e di sorveglianza hanno solo spuntato il ciuffo. Naturalmente
c'è un'America seria che sta lavorando su questi temi, come Warren Buffett,
e questa America non è per niente, come il politically and financially
correct presidente Spaventa, soddisfatta di come vanno le cose».
Lei dice che dobbiamo smettere di guardare agli Usa .
«E' da settant'anni che non facciamo che copiare l'America. Se provassimo a
fare qualcosa per conto nostro, capiremmo che, almeno concettualmente, in
molti campi siamo più avanzati in Europa».
Spaventa ha detto che la nuova disciplina penale pone dei problemi . E'
sufficiente?
«Se c'è un campo nel quale noi abbiamo fatto un salto indietro di più di un
secolo è quello del falso in bilancio. Al di là della regolamentazione
concreta, il salto indietro è concettuale: il falso in bilancio non tutela
specifici interessi ma la fede pubblica generale che sui bilanci si basa per
tanti motivi. Qualche piccolo commento su queste cose da chi è preposto alla
tutela dei mercati, forse c'era da aspettarselo».
Come si deve intervenire?
«Intanto, occorre ripristinare una internazionalmente decente
regolamentazione del falso in bilancio e reati connessi. Poi, bisogna
depenalizzare tanti reatini minori che servono solo ad ingolfare il tavolo.
Infine, si deve imporre che chiunque venga rinviato a giudizio per reati
societari dia le dimissioni da cariche societarie».
E' necessario che la Consob abbia maggiori poteri?
«Spaventa non ha chiesto maggiori poteri ma ha, invece, correttamente
sottolineato che spesso alla Consob l'opinione pubblica chiede interventi su
materie che non sono di sua competenza e che ciò è sbagliato. Per il resto
ha richiesto un ampliamento di poteri su alcuni aspetti specifici e
soprattutto ha chiesto che la Consob venga affrancata da dipendenze e
vincoli assurdi e che sono ancora conseguenza della sua nascita come
dipartimento del ministero del Tesoro. Su questo punto sono perfettamente
d'accordo con lui. Tutto ciò non toglie che gli attuali poteri permettevano
tempestivi interventi di prevenzione (nel caso Cirio e in casi analoghi),
interventi che non hanno avuto luogo. E di questi bisognerebbe serenamente
rendere conto e discuterne in modo costruttivo. Così come non dovrebbe
essere eluso il problema dei danni provocati dall'incrocio di vigilanze
concorrenti, soprattutto con riferimento ai titoli emessi dalle banche. Vi
sono anche titoli bancari quotati che sollevano preoccupazioni, non
cancellate dal fatto che si tratta di organismi sottoposti alla vigilanza
della Banca d'Italia. Ricordo che il presidente della Consob del tempo diede
il via alla quotazione del Banco Ambrosiano di Calvi dopo aver ricevuto una
comunicazione della Banca d'Italia che diceva: "Nulla osta alla quotazione
del Banco Ambrosiano". Eppure molte cose ostavano!»
Spaventa ha accusato gli investitori istituzionali che non partecipano alle
assemblee.
«Sono d'accordo, devono essere più attivi nelle assemblee e nella governance
delle grandi società. E' dal 1986 che sostengo questa esigenza. Non credo,
invece, che la dominante matrice bancaria dei fondi non sia estranea ai
peccati di omissione assembleare. L'assenteismo dei fondi è fenomeno
mondiale (anche se negli ultimi tempi c'è qualche novità negli Usa) ed è
legato soprattutto alla cultura e mentalità dei gestori che si sentono
investitori e non azionisti».
Le banche, però, hanno avuto comportamenti assolutamente censurabili nei
confronti dei risparmiatori.
«Molte banche si sono comportate in modo inquietante nella gestione del
risparmio e nel collocamento di titoli. Una delle poche notizie concrete
contenute in questa evanescente relazione è la seguente: "In relazione a
recenti episodi di insolvenza sono in corso controlli accurati sul
comportamento degli intermediari". Aspettiamo con interesse».
Nella relazione si dice che l'investimento delle famiglie italiane in
attività prive di rischio è passato da poco meno dell'80% nel 1995 al 50%
nel 2000. Un dato impressionante.
«Ho qualche difficoltà a inquadrare il concetto di "attività prive di
rischio". Immagino che comprare un appartamento in una delle Torri gemelle
di New York rientri, in teoria, in questa attività. Che comprare titoli di
Stato rientri nella stessa categoria. Io ho appeso nel mio studio un
quadretto di un Buono del Tesoro quinquennale a premi 5% di cinquecento lire
emesso nel 1948. Mi serve a ricordare che molte delle maggiori distruzioni
dei risparmi sono state effettuate attraverso i titoli di Stato. In realtà
la categoria "attività prive di rischio" non esiste. Se con questa
espressione il presidente Spaventa voleva indicare il ritiro del
risparmiatore dalle azioni, egli indica un problema di enorme gravità. Non
possiamo accettare che questo fenomeno si consolidi, perché ciò vorrebbe
dire il declino e l'emarginazione della nostra economia».

Maria Silvia Sacchi

PARLA IL PM

Targetti: «Panorama desolante»

«Francamente il panorama mi sembra desolante. Oggi come oggi la tutela
offerta al mercato nei confronti dei più comuni reati finanziari, come l'
insider trading e l'aggiotaggio, mi pare molto, molto modesta». Riccardo
Targetti, sostituto procuratore a Milano, è uno dei magistrati da anni in
prima linea sul fronte della criminalità economica. La sua analisi lascia
poco spazio all'ottimismo. Dottor Targetti, davvero per voi magistrati le
inchieste sui reati finanziari sono una battaglia persa in partenza?
«L'attuale normativa sul falso in bilancio lascia pochi spazi d'intervento.
Forse uno spiraglio resta nel caso delle false comunicazioni alle autorità
di vigilanza, come Bankitalia e Consob. Questo reato è perseguibile d'
ufficio, senza querela di parte, e prevede pene molto severe. Per cui, per
esempio, corre gravi rischi, fino a quattro anni di reclusione, l'
amministratore di una banca che attesta il falso nelle periodiche
comunicazioni alla Vigilanza».
E per quanto riguarda i più specifici reati di mercato?
«L'aggiotaggio è punito severamente e anche i termini di prescrizione sono
piuttosto lunghi. In compenso è difficilissimo da provare. Ancora peggio per
l'insider trading. Servirebbero mezzi d'indagine più efficaci, come le
intercettazioni telefoniche, che però al momento non sono consentite in
questo tipo di inchieste».
Anche il presidente della Consob Luigi Spaventa reclama per la Commissione
«poteri ispettivi, informativi e di intervento assai più penetranti». Ci si
arriverà, prima o poi?
«Ritengo che una soluzione efficace potrebbe essere la creazione di gruppi
di intervento speciali nell'ambito delle procure dei centri finanziari più
importanti, a cominciare ovviamente da Milano. I funzionari Consob
dovrebbero essere in qualche modo aggregati a queste task force con il ruolo
di consulenti e potrebbero lavorare a stretto contatto con il magistrato e
la polizia giudiziaria».
E quali sarebbero i vantaggi di questa soluzione?
«Pensiamo a un'indagine di insider trading. La notizia di reato adesso
arriva alla Consob e a volte passano molti mesi prima che venga valutata e
quindi, se del caso, trasmessa all'autorità giudiziaria. Tutto tempo
prezioso che viene perso. Se magistrato e funzionari Consob lavorassero
spalla a spalla si potrebbe intervenire subito. Senza contare l'importante
contributo sul piano tecnico che potrebbe essere fornito al pm dagli uomini
della commissione di controllo sui mercati».

V. Mal.

BUONI & BRAVI Tra i criteri di giudizio sincerità e responsabilità

Negli Usa i più corretti sono anche i più quotati

Le 5 società migliori in governance hanno guadagnato il 23% mentre l'indice
S&P 500 perdeva il 40%. Una ricerca di Gmi

Gli investitori istituzionali sono sempre più attenti alla corporate
governance delle società quotate. E anche i risparmiatori fanno bene a
considerarla non solo una moda passeggera, perché le aziende che hanno buone
regole di autogoverno di solito ottengono migliori performance pure in
Borsa. Lo dimostra un nuovo studio elaborato da Governance Metrics
International (Gmi), un'agenzia indipendente di rating con sede a New York:
negli ultimi tre anni di crisi a Wall Street, mentre l'indice S&P500 è
crollato del 40%, i cinque titoli delle aziende premiate con il massimo voto
da Gmi (10) hanno guadagnato il 23% (media ponderata); e se si considerano
anche i dieci titoli con un rating leggermente più basso (9,5), la
performance media dei top 15 resta positiva, pari al 3,4%, nonostante la
lista comprenda alcuni casi di crisi aziendali come Jds (vedi la tabella) .
Ma quali fattori sono importanti per valutare la corporate governance? Gmi
prende in considerazione ben 600 elementi, raggruppati in sette categorie:
per ognuna dà un voto, che confluisce nel rating finale. Le sette materie
d'esame sono la qualità e la responsabilità del consiglio di
amministrazione, la trasparenza e la completezza delle informazioni al
pubblico, il sistema di remunerazione dei manager, i diritti degli
azionisti, la composizione dell'azionariato, l'esistenza di meccanismi
anti-scalata, il comportamento sociale dell'azienda. Nell'analisi del
consiglio di amministrazione, Gmi guarda al livello d'indipendenza dei suoi
membri, cerca indizi di una gestione troppo aggressiva degli utili e toglie
punti se i manager devono correggere i risultati di bilancio già pubblicati.
Sul voto complessivo conta anche l'atteggiamento dell'impresa verso i suoi
dipendenti e verso la comunità in cui è inserita: come tratta i dipendenti,
se il posto di lavoro è sicuro, se rispetta l'ambiente, se ha una storia di
contenziosi legali con clienti o altri gruppi di cittadini. «Sono tutti
elementi importanti dal punto di vista degli azionisti, e noi siamo l'unica
agenzia che elabora un rating così completo sulla corporate governance»,
precisa Gavin Anderson, amministratore delegato di Gmi, che ha iniziato ad
operare nell'aprile 2000.
Poche società sono promosse a pieni voti dopo un esame così dettagliato.
Attualmente solo cinque meritano dieci, secondo Gmi: la farmaceutica Pfizer,
la finanziaria Slm che eroga prestiti per studenti, la raffineria di
petrolio Sunoco, la società di componentistica per auto Johnson Controls, la
compagnia Mbia specializzata in garanzie sui prodotti obbligazionari. Delle
pecore nere, quelle con i voti più bassi, Gmi non rivela invece i nomi: «Non
è compito nostro metterle alla gogna», spiega Anderson.
Il rating di Gmi è rivisto ogni sei mesi, con aggiornamenti quotidiani se
necessari: il servizio è comprato da fondi pensione come Abp, il più grande
in Europa, o da enti che rappresentano fondi pensione e fondazioni, come
Inter-Atlantic Fund of New York, per un valore totale di 2 mila miliardi di
dollari di patrimoni gestiti. «La pressione di questi investitori per il
miglioramento della corporate governance è sempre più forte e, unita alle
nuove regole della legge Sarbanes-Oxley del 2002, sta facendo cambiare
davvero l'atteggiamento dei top manager e dei consiglieri
d'amministrazione», osserva Anderson.
Il rating di Gmi per ora riguarda le 500 aziende dell'indice S&P500, ma
presto verrà allargato a società giapponesi e australiane ed entro l'estate
finiranno nel mirino dell'agenzia americana anche 300 fra le maggiori
società europee.

Maria Teresa Cometto