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il business della sicurezza in rete
- Subject: il business della sicurezza in rete
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 20 May 2003 06:46:50 +0200
dalla stampa Martedi' 29 Aprile The Rsa conference News.com I RISULTATI DELLA «RSA CONFERENCE 2003» CHE SI E' SVOLTA A SAN FRANCISCO Tutti più sicuri nell'acquario della Rete Cinque giorni di confronto e dibattito sul business della sicurezza online. La questione è troppo importante perché sia regolamentata solo dal mercato. Lo sforzo è di tutelare il mare magnum di Internet, senza cedere alla tentazione di incapsularlo 29 aprile 2003 di Stefano Porro Una volta c'erano gli hacker, temutissimi pirati informatici che con due colpi di mouse si infilavano nel computer di casa per portare scompiglio tra i file e prelevare i dati della tua carta di credito. Ora, gli spauracchi di chi naviga quotidianamente su Internet sono aumentati e si sono fatti ancora più insidiosi. Tra spamming indiscriminato, spy-ware (i software invisibili che monitorano le attività e il contenuto del pc su cui vengono inavvertitamente installati), virus mutageni e siti che, non appena ti sei registrato, tracciano i tuoi movimenti per capire che cosa ti interessa e poi te lo vendono, per l'utente medio navigare in rete sembra essere diventato un pericolo costante. A pensarla così sono le duecento aziende più importanti del mondo che sviluppano software di sicurezza, riunitesi circa una settimana fa a San Francisco in occasione della conferenza annuale della RSA. Un appuntamento per gli addetti ai lavori che si rinnova più volte all'anno e che a giugno farà tappa a Tokio, per proseguire poi ad Amsterdam nei primi giorni di novembre. Quello della sicurezza online è, in questo momento, il business più proficuo della net economy e uno dei pochi settori in cui, nonostante una perdurante congiuntura negativa, si intravedono mirabolanti prospettive di crescita. Basti pensare al caso di Intellitactics Inc., una piccola e sconosciuta azienda dell'Ontario produttrice di applicativi di security, diventata famosa in tutto il mondo per aver trovato un finanziamento miliardario (8,6 milioni di dollari) da fondi di venture capital. Un'operazione inusitata visti i tempi che corrono, che riporta alla mente le speculazioni del Nasdaq nel biennio 1998-1999, quando bastava dire «dotcom» per ricevere finanziamenti a 9 zeri. E grande entusiasmo lo si respirava anche tra i 10.000 partecipanti della conferenza di San Francisco, durante la quale è stata sancita la nascita del «Trusted Computing Group», una sorta di team di ricerca e sviluppo formato da Advanced Micro Devices, Hewlett Packard, Imb, Intel e Microsoft con l' intento di collaborare alla realizzazione di contromisure che rendano sempre più ardua la vita di hacker malevoli e costruttori di virus perniciosi. Anche se, in realtà, un'alleanza del genere lascia più pensare a una sorta di cartello dei principali player tecnologici per monopolizzare con i propri prodotti una fetta di mercato che si preannuncia sempre più proficua. Su questo versante, anche la politica si sta dando da fare: dopo la tragedia dell'11 settembre e la seconda guerra del golfo, l'amministrazione Bush ha predisposto una serie di decreti che, con la scusa di aumentare la percentuale di sicurezza dei navigatori e di prevenire il terrorismo informatico, pongono le basi per una sorveglianza continua di ciò che i singoli individui fanno sulla rete. Vanno in questo senso il già tristemente noto TIA (Total Information Awareness) e la recente disposizione chiamata «National Strategy to Secure Cyberspace», contenente rigide disposizioni su come proteggere, mettendogli un lucchetto, le infrastrutture critiche della rete. L'improvvisa esplosione finanziaria del security business e le intenzioni da Grande Fratello del governo statunitense non lasciano presagire nulla di buono. Quella della sicurezza è una questione troppo importante perché sia regolamentata solo dal mercato. Le aziende che effettuano ricerche in questo senso dovrebbero condividere ancora di più con le comunità open source e gli enti di garanzia della rete le loro scoperte e soprattutto le loro reali intenzioni. Sentendo le dichiarazioni arrivate da San Francisco, sembra che la strada imboccata vada invece nel senso opposto, e cioè nella direzione di una progressiva chiusura dei protocolli di rete aperti (considerati rischiosi) in favore dell'adozione di security software che, per proteggere un utente, ne restringono enormemente il campo d'azione. La riprova di quanto sta accadendo starebbe nel rifiuto, più volte confermato da alcuni interventi della conferenza, di assumere alle proprie dipendenze sviluppatori e tecnici con un passato da hacker alle spalle. Sintomatica da questo punto di vista è stata la dichiarazione di Ira Winkler, capo dei progetti di sicurezza di Hewlett-Packard, che ha affermato di «non poter spiegare ai propri azionisti di aver assunto, per proteggere i loro dati, un pirata che è stato in galera per crimini informatici». Eppure sono molti gli hacker che, avendo ormai saldato il conto per i danni causati, potrebbero fornire un apporto fondamentale nella realizzazione di software di sicurezza che siano al contempo efficaci e rispettosi della libertà dell'utente in rete. Non è un caso che il più famoso tra loro, Kevin Mitnick, dopo aver scontato cinque anni di prigione abbia avviato una software house che lavora proprio in questo settore. Nei prossimi mesi sentiremo spesso parlare di sicurezza sotto molteplici punti di vista, da quello tecnologico a quello economico-finanziario. C'è da sperare che le ricerche e le innovazioni che saranno realizzate dalle aziende migliorino sotto ogni punto di vista la tutela dei navigatori del mare magnum di Internet, senza cedere alla tentazione di incapsularli dentro un acquario. Molto più sicuro, certo, ma inesorabilmente chiuso.
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