l'onu che vogliamo



da nigrizia

 19/04/2002

L'Onu che vogliamo
Antonio Papisca *


Sviluppo umano e sicurezza globale possono essere garantite da un'Onu
rafforzata e democratizzata. La società civile sta sostenendo da anni questo
processo. Mentre i potenti della terra continuano ad affidarsi alla ragion
di stato e alla guerra.

Si parla con insistenza della centralità delle Nazioni Unite: alla buon'ora,
vien da dire. Ma occorre usare lungimiranza e prudenza nell'appellarsi a
questo principio. Lungimiranza, perché le Nazioni Unite costituiscono lo
snodo ineludibile e irrinunciabile della governabilità nell'era della
globalizzazione. Prudenza, perché l'Organizzazione delle Nazioni Unite non è
ancora stata messa nella condizione di agire al riparo delle
strumentalizzazioni dell'"usa e getta" e del "due pesi due misure".

Dieci anni fa, Nigrizia mi diede l'occasione di curare, per molti mesi, una
rubrica intitolata "Onu dei Popoli". È appena il caso di ricordare che la
Carta delle Nazioni Unite si apre con una solenne affermazione di
soggettività democratica e pacifista: «Noi, Popoli delle Nazioni Unite,
decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra.».

Va anche ricordato che a partire dal 1995, con cadenza biennale e alla
vigilia della marcia Perugia-Assisi, si riunisce l'Assemblea dell'Onu dei
Popoli. Ancora prima, nel 1985, l'associazione Mani Tese organizzava a
Firenze, a Palazzo Vecchio, un grande convegno internazionale dal quale
scaturì il vibrante appello "Per una costituente mondiale per la pace e lo
sviluppo", dove puntuali sono i riferimenti all'Onu. Rileggendo oggi questo
documento, non si può non rimanere impressionati dall'attualità del
messaggio di "ordine mondiale democratico" in esso contenuto.

Il richiamo di questi fatti serve per sottolineare che le formazioni
solidaristiche di società civile hanno anticipato - inascoltate - le classi
governanti nell'affermare l'importanza delle Nazioni Unite. Ancora una
volta, i potenti fautori della "ragion di stato" e della realpolitik sono
contraddetti dalla "ragion di promozione umana".

La diagnosi dell'attuale stato di cose è fin troppo chiara. Il mondo è
pervaso da miseria e da violenza armata dentro, e fra, gli stati. Nessun
paese, nessuna società può dirsi sicura dalle incursioni, palesi o opache
che siano, della criminalità transnazionale. Il terrorismo si presenta con
una vasta gamma di modalità. L'ingiustizia economica e sociale va di pari
passo con la dilagante insicurezza. Se grandi furono le attese suscitate dal
crollo del Muro, ancor più pungenti sono le odierne delusioni e lo
sconforto.

Il disarmo appare oggi, paradossalmente, come una chimera. Ancor più di
prima, urge dunque controllare la produzione e il commercio delle armi,
prevenire e gestire pacificamente i conflitti, far funzionare un sistema di
sicurezza collettiva sotto legittima autorità sopranazionale, instaurare una
nuova divisione internazionale del lavoro che rispetti le esigenze della
giustizia sociale ed economica nel mondo.

Mobilitarsi per la riforma

L'Onu, istituzione multilaterale per antonomasia, è indispensabile per
gestire l'ordine mondiale nel rispetto di "tutti i diritti umani per tutti"
e per un'economia di giustizia. C'è bisogno di una istituzione mondiale in
cui tutti gli stati, grandi e piccoli, siano rappresentati e tutti i popoli,
anche i più lontani e diseredati, possano far sentire la loro voce. Quale
istituzione può perseguire i molteplici e complessi obiettivi dello human
development e della human security, se non una Onu messa nella condizione di
farlo? E chi deve metterla in questa condizione se non gli stati che ne sono
membri, in particolare i più potenti?

In occasione del "Millennium Forum" di società civile globale, svoltosi nel
maggio 2000 a New York, nel Palazzo di Vetro, è risuonata la parola d'
ordine: strengthening and democratising the United Nations, cioè rafforzare
e democratizzare le Nazioni Unite.

Se si è sinceri nel proclamare oggi la centralità delle Nazioni Unite,
occorre senza indugio perseguire il duplice obiettivo del potenziamento e
della democratizzazione della massima organizzazione mondiale. Il dibattito
sulla sua riforma, che pareva bene avviato in occasione del cinquantesimo
anniversario dell'Onu, ha purtroppo dimostrato di non avere raggiunto quella
massa critica sufficiente a far precipitare, una volta per tutte, la
riforma.

Questo significa che devono mobilitarsi, ancor più massicciamente e
puntualmente che nel passato, le forze di società civile globale,
esercitando pressione sui governi e sulle classi politiche perché facciano
funzionare, tempestivamente ed efficacemente, l'Onu.

Tra i tanti argomenti da usare nei confronti di chi ha responsabilità
istituzionali, ce ne sono due particolarmente convincenti, uno di carattere
giuridico, l'altro di carattere per così dire utilitarista. Il primo è che
far funzionare bene le Nazioni Unite costituisce per gli stati "obbligo
giuridico", non un optional: se non si rispetta la Carta delle Nazioni
Unite, ci si pone in una condizione di persistente illegalità. In altre
parole, il diritto internazionale è violato non soltanto quando si fa la
guerra preventiva, ma anche quando non si alimenta l'Onu di supporto
politico, di risorse finanziarie (in particolare, con puntuale versamento
delle quote annuali), di personale.

Il secondo è che far funzionare bene le Nazioni Unite costa molto meno che
procedere individualmente o a ranghi sparsi in un mondo che è sempre più
interdipendente, disordinato e insicuro.

Che cosa deve cambiare

Insomma il calcolo costi-benefici pende a favore dell'Onu, è questione di
razionalità economicistica, oltre che di ragionevolezza e di buon senso
comune.
In quest'ottica, tra le cose che occorre fare con la massima urgenza perché
l'Onu possa adempiere al suo alto mandato sono: la creazione di un corpo
permanente di polizia civile e militare sotto la diretta autorità
sopranazionale delle Nazioni Unite; il conferimento di maggiori poteri al
Consiglio economico e sociale (Ecosoc) per quanto riguarda l'orientamento
sociale dell'economia mondiale e la sorveglianza sulle organizzazioni
internazionali economiche (insomma, l'Ecosoc come un Consiglio di sicurezza
economica e sociale); il ricambio di buona parte dell'attuale personale Onu,
burocratizzato e privo di tensione ideale, con personale adeguatamente
formato e motivato (coi diritti umani nella testa e nel cuore); l'aumento
delle risorse destinate agli organi specializzati in materia di diritti
umani ed emergenze varie - a cominciare dall'Alto Commissario delle Nazioni
Unite per i diritti umani - e ai programmi per lo sviluppo umano nei paesi
ad economia povera; la dotazione della Corte penale internazionale di tutte
le risorse, finanziarie e umane che le sono necessarie per bene avviare le
proprie attività; l'allargamento della composizione del Consiglio di
sicurezza, in funzione di una sua più adeguata maggiore rappresentatività.

Ma dare il pur indispensabile "più potere" all'Onu lasciando questa nelle
mani esclusive degli stati, cioè dei vertici governativi e delle diplomazie,
è rischioso. Ecco dunque la necessità di accompagnare il potenziamento con
la democratizzazione, la quale, nei suoi termini essenziali, comporta: la
creazione di un'Assemblea parlamentare delle Nazioni Unite che affianchi l'
attuale Assemblea generale composta dagli stati membri: sarebbe l'embrione
di un processo che porterebbe gradualmente alla istituzione di un vero e
proprio Parlamento delle Nazioni Unite; per le materie attinenti ai diritti
umani, allo sviluppo e all'ambiente, l'attribuzione di uno status di
"co-decisionalità" a favore delle organizzazioni non governative (ong) che
già godono dello status "consultivo" presso l'Ecosoc; l'estensione dell'
esercizio di questo status consultivo anche presso il Consiglio di
sicurezza.

Onu a Gerusalemme

Un'ultima riflessione, sempre in chiave strategica. La campagna per la
democrazia internazionale comporta che si difendano le istituzioni
internazionali multilaterali, quali "siti" essenziali per l'estensione della
pratica democratica dalla città fino all'Onu. Se non ci sono le istituzioni,
non c'è lo spazio, legittimo e trasparente, per l'esercizio di ruoli
democratici.

Dietro la strategia della de-regulation economica lanciata da Reagan all'
inizio degli anni ottanta si nascondeva la de-regulation istituzionale: in
altri termini, l'insistenza nel togliere lacci e lacciuoli al libero gioco
del mercato nascondeva la volontà di svincolarsi dai precetti del diritto e
dalla trasparenza delle istituzioni. Un modo nostrano di cadere in questa
trappola è consistito nel proclamare "più società, meno stato" (quanti ci
sono cascati in buona fede.).

Questo disegno è oggi drammaticamente disvelato in tutta la sua
dissennatezza (a ratione alienum, parafrasando la Pacem in terris): la
cosiddetta nuova teoria della guerra preventiva - che è poi vecchia di
millenni. - ben si spiega con la metafora del "giù la maschera". A tanta
spudoratezza di governanti, la società civile deve rispondere proclamando,
responsabilmente: "più società, più istituzioni, più democrazia, più
trasparenza, più politiche sociali, più azioni positive".

Per quanto riguarda il futuro dell'Onu, diventa sempre più necessario porre,
anche fisicamente, la sua sede al riparo dalle infiltrazioni e dalle
pressioni che l'amministrazione Usa quotidianamente esercita. La sede a New
York è a rischio di. sudditanza. Se l'amministrazione Usa non vuole una Onu
super partes, democratica, efficiente ed efficace, se non vuole né la Corte
penale internazionale né corpi permanenti di polizia delle Nazioni Unite né
istituzioni economiche internazionali in funzione di giustizia sociale, se
non vuole le ong tra i piedi alle grandi conferenze mondiali, se vuole
soltanto un Fondo Monetario Internazionale capace di quell'accanimento
terapeutico che si chiama "aggiustamento strutturale costi-quel-che-costi",
se vuole un ordine mondiale gerarchico e belligeno informato al principio
del si vis pacem para bellum, ebbene non si indugi oltre, si scuota la
polvere dai calzari e si offra una nuova casa all'Onu, magari installando
una parte significativa dei suoi uffici a Gerusalemme. L'Onu a Gerusalemme:
pietra di contraddizione, ma anche pietra angolare di un nuovo ordine
mondiale fondato sul rispetto della dignità umana e dei diritti fondamentali
che a questa ineriscono.

* Direttore del Centro interpartimentale sui diritti della persona e dei
popoli all'Università di Padova.