scienza tecnologia democrazia



da fondazione di vittorio marzo 2003
 
Scienza, tecnologia, democrazia\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\

Contributo per un programma

Marcello Cini

1. Premessa.

La scienza e la tecnologia hanno un ruolo fondamentale nel forgiare la struttura e la cultura della società contemporanea, sia direttamente nelle sue regioni ad alto tasso di sviluppo dove si concentrano il potere e la ricchezza, sia indirettamente in quelle periferiche che di quello sviluppo pagano costi pesanti in termini di spoliazione e di degrado. Tuttavia, nella cultura dominante, la scienza e la tecnologia sono considerate fattori neutri di sviluppo economico e di progresso sociale dotati di una dinamica autonoma, che non dipende dalle forze che determinano l'evoluzione della società e dai conflitti che la attraversano. Per questo motivo esse non sono soggette ai vincoli e ai controlli che nei paesi democratici regolano le altre attività sociali.

Secondo questa convinzione compito degli scienziati e dei tecnologi sarebbe dunque quello di fornire ai produttori di beni e servizi e ai rappresentanti politici dei cittadini i risultati delle proprie ricerche e gli artefatti che ne possono derivare lasciando ad essi la responsabilità della loro utilizzazione secondo i criteri di utilità e di legittimità che ritengono più opportuni, mentre compito della società e delle sue istituzioni sarebbe soltanto di finanziare congruamente le attività dei ricercatori lasciando al libero dibattito all'interno delle rispettive comunità e alle autonome determinazioni dei loro enti di autogoverno la valutazione e le decisioni sugli indirizzi da perseguire, gli ostacoli da affrontare e le relative priorità.

Questa convinzione è così radicata, anche nella tradizione dei movimenti che rappresentano gli interessi e gli ideali delle classi subalterne, che la prospettiva di un controllo sociale della ricerca viene ancora considerata come una indebita violazione della sua autonomia, volta a subordinarne le attività a pregiudizi ideologici o a interessi di parte, distorcendone e sterilizzandone le potenzialità creative e innovative. Non va dimenticato, per esempio, che meno di due anni fa una violenta campagna, ampiamente pubblicizzata dai mass media, veniva scatenata in nome della libertà della ricerca da alcuni esponenti della comunità scientifica contro gli ambientalisti, accusati di diffondere nell'opinione pubblica, con le loro denuncie dei pericoli che corre l'ecosistema terrestre, ingiustificate paure nonché diffidenza e ostilità nei confronti della scienza e della tecnologia.

Tuttavia, gli esempi storici talvolta addotti a fondamento di questa posizione di principio - dal processo a Galileo fino alle perversioni della scienza nella Germania hitleriana e alle persecuzioni degli scienziati non allineati all'ideologia dominante nell'URSS di Stalin - che possono aver giustificato in passato sacrosante battaglie per la libertà della ricerca, non autorizzano a chiudere gli occhi di fronte all'evidenza dei pesanti condizionamenti che oggi - in condizioni radicalmente differenti sia sul piano politico e sociale che su quello delle capacità di dominio sulla natura raggiunte dalla scienza - vengono esercitati non solo sulla ricerca tecnologica, ma anche più o meno direttamente su quella scientifica "pura", in nome dell'ideologia liberista, che pone il mercato a fondamento di tutte le funzioni della società e adotta il denaro come unico metro di valutazione delle azioni umane.

A partire dalla metà dell'Ottocento infatti - come si legge nelle prime righe del Capitale di Karl Marx - "la ricchezza della società si presenta come una immane raccolta di merci". E questa immane raccolta si è moltiplicata da allora all'infinito in ogni remoto angolo del globo, come una marea che ha sommerso ogni cosa, crescendo nei minimi interstizi della vita individuale e collettiva di tutti noi. Anche se la produzione di merci materiali è tuttora la base dell'economia, essa si trova già, e ancor più si troverà in futuro, di fronte ai limiti fisici derivanti dalla carrying capacity finita del pianeta. La produzione di merci immateriali (informazione, comunicazione multimediale, intrattenimento, conoscenza) appare invece potenzialmente illimitata. A partire dagli ultimi decenni del Novecento, dunque, i risultati delle attività umane, qualunque sia la loro natura materiale o immateriale, e la loro motivazione immediata, vengono immessi sul mercato e valutati in base all'unica unità di misura del profitto.

Da questo punto di vista diventa "naturale" attribuire le fattezze di merce a ogni componente - dal singolo gene al'intero organismo - della straordinaria varietà di forme viventi e a ogni manifestazione - dal singolo bit all'opera più monumentale - delle infinite possibili espressioni del pensiero umano.

Il problema che la società contemporanea si trova a dover affrontare è dunque oggi quello di ricostituire ambiti di libertà, di autonomia e di diritti per i diversi attori sociali, tra i quali figura in primo piano il mondo della ricerca, e al tempo stesso di riuscire a integrare e a coordinare questi ambiti a un livello superiore, attraverso un sistema di regole, di vincoli e di incentivi, nonché di forme di controllo sociale della loro applicazione, che permettano di dare corpo e sostanza a un ordinamento democratico della società che il meccanismo stesso del mercato sta sempre più riducendo a pura forma, anche là dove già esisteva.

Essenziale diventa a questo fine la formazione di una cultura dei limiti e delle responsabilità, che abbia come componente non secondaria una cultura tecnico scientifica sufficiente per dare ai cittadini la capacità di effettuare scelte informate e consapevoli nei loro comportamenti, stili di vita e scale di priorità. Ciò è tanto più necessario in quanto lo stesso sviluppo scientifico e tecnologico, accanto ai vantaggi derivanti dal soddisfacimento di bisogni complessi e sofisticati per coloro che possono accedere al mercato, produce anche svantaggi pesanti per masse crescenti di uomini e donne che ne sono esclusi, oltre che rischi imprevisti e crescenti insicurezze per tutti.

Nei problemi sociali che accompagnano questo vorticoso sviluppo si intrecciano infatti tassi di inquinamento e consulenze miliardarie, tecnologie sofisticate e quotazioni di borsa, posti di lavoro e cumuli di rifiuti, catastrofi ecologiche e guerre. Alla loro soluzione debbono concorrere dunque tutti gli attori sociali coinvolti, attraverso garanzie istituzionali un pò più certe e trasparenti di quella che dovrebbe derivare dalla fiducia nella buona fede e nella competenza professionale dei ricercatori.

Se non si affronta con urgenza questo problema ogni discorso sulla possibilità di assicurare alla società globale del pianeta uno "sviluppo sostenibile" in grado di scongiurare le catastrofi ecologiche e i conflitti apocalittici che incombono all'orizzonte diventa solo un insieme di vuote parole. Persino Georg Soros, che certo non può essere considerato un pericoloso sovversivo afferma: "E' pericoloso riporre eccessiva fiducia nel meccanismo del mercato. I mercati sono concepiti per facilitare il libero scambio delle merci e dei servizi tra chi lo desidera, ma non sono in grado, da soli, di provvedere a necessità collettive quali la legalità, la sicurezza o il mantenimento del meccanismo stesso del mercato. Né, tantomeno, sono in grado di assicurare la giustizia sociale."

2. La svolta nella scienza all'alba del XXI secolo.

Conviene ora esaminare brevemente come con la fine del Novecento stia radicalmente cambiando la natura stessa della scienza. Nel secolo appena terminato l'umanità ha instaurato il suo dominio sulla materia inerte. Il nuovo secolo sarà il secolo del nostro dominio sulla materia vivente e del controllo sulla nostra stessa mente e sulla nostra coscienza. Questa svolta ha conseguenze decisive.

In primo luogo dal punto di vista epistemologico. La logica che è risultata vincente nel periodo che va dalla metà dell'Ottocento alla metà del Novecento per giungere alla spiegazione delle proprietà della materia inerte è infatti riduzionista: si risale alle proprietà di un sistema a partire dalla conoscenza dei suoi componenti elementari e delle loro interazioni. Essa è del tutto inadeguata per spiegare le proprietà della materia vivente - anche se la fase preliminare della conoscenza dettagliata delle sue strutture (p.es. doppia elica del DNA) è essenziale - che è strutturata in livelli di organizzazione dotati di relativa autonomia, ognuno caratterizzato da proprietà emergenti rispetto a quelle del livello inferiore. Diventa inoltre necessario adottare una logica evoluzionista, per la quale sono essenziali la creazione della diversità e la selezione naturale da parte dell'ambiente. Questo implica che l'adozione di un criterio riduzionista (per esempio la credenza ancora diffusissima nella validità della formula "un gene=un carattere") per la progettazione degli interventi sul vivente può condurre a errori macroscopici e gravissimi.

Dal punto di vista ontologico poi, la differenza fondamentale è che le discipline della materia inerte si occupano di sistemi privi di autonomia, dotati di proprietà indipendenti dal contesto, mentre quelle biologiche si occupano di organismi dotati di autonomia, che manifestano comportamenti dipendenti dal contesto e che, interagendo con esso lo modificano.

Ma la svolta ha inoltre conseguenze radicali nei rapporti fra la scienza e le altre forme della cultura della società. Essa infatti comporta l'abbattimento di due steccati tradizionali: uno separava la scienza (in quanto conoscenza disinteressata della natura ottenuta attraverso la scoperta) dalla tecnica e dalla tecnologia (in quanto frutto dell'esperienza empirica e dell'utilizzazione pratica dei risultati della scienza realizzato attraverso l'invenzione), e l'altro separava le attività che si occupano dei fatti da quelle che si occupano dei valori che stanno alla base delle norme (etiche e giuridiche) intese a regolare le finalità e i comportamenti degli individui nei loro rapporti privati e nelle loro azioni sociali.

Entrambe queste separazioni nette tendono a scomparire. Per quanto riguarda la prima è evidente che il nesso tra la ricerca scientifica "pura", cioè perseguita al solo scopo di conoscere in modo disinteressato la natura, e l'innovazione tecnologica, stimolata dall'interesse a inventare continuamente nuovi strumenti per soddisfare la domanda di un mercato sempre più esigente e sofisticato, si è fatto sempre più stretto, fino a diventare un intreccio difficilmente districabile. Biologia molecolare e ingegneria genetica sono due facce della stessa medaglia. Considerazioni analoghe valgono per le discipline coinvolte in tutti i problemi ambientali, o in quelle che intervengono nei fenomeni cerebrali e mentali.

Anche per quanto riguarda la separazione fra fatti e valori la svolta ha un effetto dirompente. E' ormai esperienza comune che i dibattiti e le polemiche interne alla scienza cominciano a entrare nelle arene non scientifiche dei discorsi e delle azioni. Le scoperte scientifiche sono messe in discussione, criticate o utilizzate insieme ad altre fonti di conoscenza disponibili da parte di un pubblico sempre più vasto. Una cosa è infatti manipolare, controllare, forgiare un oggetto fatto di materia inerte e altra cosa è compiere le stesse operazioni su un organismo vivente o addirittura sull'uomo. Nel primo caso il lecito coincide con l'utile, nel secondo il lecito dovrebbe per lo meno dipendere anche da valutazioni di natura etica o comunque culturale e sociale. Dunque anche la seconda separazione tende a svanire: diventa sempre più difficile decontaminare i fatti dai valori ed estirpare gli interessi dalla conoscenza. Le "verità" della scienza e gli "strumenti" della tecnologia acquistano proprietà che dipendono dal contesto. Nasce il problema del rapporto fra conoscenza e valori, cioè del nesso fra la ricerca della "verità" e il perseguimento di "retti" comportamenti individuali e collettivi.

3. Scienza, tecnologia e mercato. Un anello fondamentale della catena che lega la scienza al mercato è il brevetto. Come è noto, infatti, fino alla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 1980, che ha concesso il primo brevetto su di un batterio geneticamente modificato, la materia vivente non poteva essere brevettata. Non solo. Si potevano brevettare solo le invenzioni (il risultato dell'ingegno), non le scoperte (ciò che esiste in natura). Nemmeno gli elementi transuranici (per esempio il plutonio) che pure non esistono stabili in natura, sono mai stati brevettati, in quanto essi sono comunque il risultato di trasformazioni artificialmente indotte in elementi chimici naturali. A maggior ragione la regola sarebbe dovuta valere per gli organismi geneticamente modificati, dato che si tratta sempre di modificazioni artificiali di organismi naturali. Ma gli interessi in gioco erano troppo grossi, e la regola è stata soppressa.

In genere si giustifica il brevetto con l'argomento della protezione della "proprietà intellettuale". Scrive tuttavia a questo proposito ancora George Soros: "L'espressione "proprietà intellettuale" è fuorviante, perché si basa su una falsa analogia con la proprietà tangibile. Una caratteristica essenziale della proprietà tangibile è che il suo valore deriva dall'uso che ne fa chi la possiede, ma la proprietà intellettuale trae il suo valore dall'uso che ne fanno gli altri: gli scrittori vogliono che il loro lavoro sia letto e gli inventori che sia utilizzato. Brevetti e diritti d'autore servono ad assicurare che i creatori siano ricompensati, ma il denaro non è necessariamente l'unico tipo di ricompensa che cercano. Per esempio, per tradizione la scienza pura è sempre stata di pubblico dominio, e gli scienziati hanno perseguito più il riconoscimento intellettuale che il guadagno. L'istituzione di brevetti e diritti di proprietà intellettuale ha contribuito a trasformare l'attività dell'ingegno in un affare, e naturalmente gli affari sono mossi dalla prospettiva del profitto. E' lecito affermare che ci si è spinti troppo oltre. I brevetti servono a incoraggiare gli investimenti nella ricerca, ma quando scienza, cultura e arte sono dominate dalla ricerca del profitto, qualcosa va perduto."

In realtà gli interessi da tutelare sono assai più consistenti e forti di quelli degli scienziati. Dietro la bandiera del riconoscimento della "proprietà intellettuale" ci sono gli interessi delle multinazionali dei farmaci, dell'alimentazione, dell'energia e, non dimentichiamolo, degli armamenti. Una cosa infatti è ricompensare adeguatamente la creatività degli scienziati e altra cosa è riempire le tasche degli azionisti delle imprese per le quali lavorano. Nascondere la seconda dietro la prima è fuorviante e disonesto.

Il secondo argomento a favore dei brevetti è quello che la ricerca costa molto e che, senza di essi i privati non la farebbero. Questo può anche essere vero, ma il corollario di questa verità è che i privati fanno soltanto quella ricerca che promette di dare presto e con ragionevole certezza i profitti sperati. Tuttavia, come abbiamo già visto, questa soluzione rischia di non dare ai popoli della Terra gli strumenti per affrontare i drammatici problemi che incombono nel prossimo futuro. Questi strumenti potrebbero invece essere forniti da una ricerca scientifica e tecnologica libera di estendersi in tutte le direzioni all'interno dei vincoli imposti dai limiti fisici, economici e sociali di una politica sovranazionale orientata verso uno sviluppo sostenibile del pianeta.

Ristabilire la tradizionale distinzione tra ricerca disinteressata dedita alla crescita della conoscenza (scoperta) e innovazione per la produzione di beni tangibili (invenzione) non è dunque facile. In primo luogo perché, come abbiamo già ricordato, nelle discipline della vita e della mente i due aspetti sono spesso indissolubilmente intrecciati. In secondo luogo perché la cosiddetta "economia della conoscenza" ha proprio per obiettivo di rendere "merce", appropriabile e fruibile individualmente attraverso l'acquisto sul mercato, tutto ciò che per sua natura potrebbe, e dovrebbe, essere fruibile da tutti con vantaggio di tutta la collettività.

C'è allora un solo modo per salvare la ricerca dagli "affari". Finanziarla pubblicamente e renderne pubblici i risultati. Vediamo meglio come questa prospettiva può concretizzarsi.

4. Ricerca privata e ricerca pubblica. I privati dunque continuano a fare la ricerca che può dare profitti, mentre la ricerca pubblica dovrebbe avere il compito di fare quella che i privati non hanno interesse a fare. Questo non vuol dire che la ricerca pubblica si deve occupare solo di cose inutili. Vuol dire al contrario che la ricerca pubblica si deve occupare di tutto ciò che riguarda il bene pubblico, che, come lo stesso Soros ha sottolineato nella citazione riportata all'inizio, il mercato non è in grado di garantire.

Molti sono gli obiettivi della ricerca che andrebbero finanziati pubblicamente. Il primo è quello di garantire lo sviluppo di una ricerca di base dedita alla crescita del patrimonio delle conoscenze dell'umanità senza fini applicativi immediati che è non solo espressione della inesauribile curiosità della nostra specie per la realtà che ci circonda e della quale noi stessi facciamo parte, ma anche, al tempo stesso, una sorgente fertile di possibili utilizzazioni pratiche impreviste e un fondo di garanzia per tutte le imprevedibili eventualità alle quali essa si troverà di fronte.

Il secondo è quello di esercitare un controllo sulla ricerca privata per evitare che il meccanismo della proliferazione di innovazioni direttamente finalizzate al profitto sfugga di mano fino a produrre conseguenze dannose o addirittura catastrofi impreviste. Investigare sui loro effetti possibili a medio e a lungo termine, sui diversi scenari tecnologici che da esse possono svilupparsi, e sul ventaglio dei soggetti differenti che ne sarebbero coinvolti nel bene e nel male a livello socioeconomico è un compito sempre più urgente e fondamentale della ricerca pubblica, un compito che quella privata certamente non svolge. In particolare si tratta di affrontare gli urgenti problemi posti dall'aggravarsi delle crisi ambientali, alimentari, sanitarie e dalla conseguente necessità di individuare concretamente le strade possibili per assicurare localmente e globalmente uno "sviluppo sostenibile" delle diversae regioni del pianeta.

La terza infine è quella di mettere a disposizione di una molteplicità di soggetti economici privati che non sono in grado di fare ricerca per conto proprio le conoscenze per produrre beni da immettere sul mercato erodendo le situazioni di monopolio che attualmente lo dominano. Non si tratta, ovviamente, per il nostro paese, di competere con le grandi multinazionali dei farmaci, dell'agroalimentare o dell'informatica, ma di stimolare la creazione di nuovi prodotti di nicchia capaci di contrastare la crescente omologazione delle culture al modello dominante imposto dai colossi dell'economia. Tra le ricerche del settore pubblico, tanto per fare un esempio, dovrebbero figurare anche quelle, che non vengono fatte dai privati, per andare incontro alle necessità e ai bisogni di uomini e donne esclusi dal mercato perché non hanno i soldi per comprare le merci che dovrebbero soddisfarli.

Per adempiere bene a tutti questi compiti la ricerca pubblica deve raggiungere e mantenere livelli di eccellenza almeno pari a quelli dei migliori centri della ricerca privata. Chi deve controllare deve saperne almeno altrettanto di chi viene controllato. Può dunque accadere che nella corsa al mantenimento dei livelli di eccellenza la ricerca pubblica raggiunga risultati che la ricerca privata brevetterebbe. In nessun caso questi risultati dovrebbero essere oggetto di brevetto al fine di essere immessi sul mercato per trarne profitto. Si tratta piuttosto di decidere caso per caso se renderli pubblici mettendoli a disposizione di chiunque voglia utilizzarli o se non sia meglio brevettarli e cederne gratuitamente i diritti d'uso a organizzazioni non profit piuttosto che lasciare che ne venga monopolizzato l'uso da parte dei gruppi industriali più potenti. Questa questione potrebbe riguardare in particolare i farmaci. Il recente rifiuto americano alla risoluzione di Ginevra del Wto - che doveva realizzare la dichiarazione d'intenti di Doha per fornire ai paesi poveri farmaci a basso prezzo abolendo i brevetti su una estesa gamma di prodotti essenziali per combattere le stragi più gravi che, a partire dall'AIDS, li stanno devastando - dimostra quanto sia importante, difficile e delicato l'impegno in questo settore.

Si sostiene che l'adempimento dei compiti sopra sommariamente indicati graverebbe i contribuenti dei paesi avanzati e in particolare del nostro di un carico fiscale insostenibile. Ma basterebbe incentivare la ricerca pubblica destinando ad essa un decimo, tanto per dire, delle spese militari degli stati più ricchi. La priorità di queste ultime viene giustificata con la necessità di assicurare la "sicurezza" dei cittadini del mondo (in realtà bisognerebbe dire il livello dei consumi di quelli dei paesi più ricchi) di oggi e di domani. Ma bisogna essere ciechi per non capire che la sicurezza dei cittadini del mondo (sia di quelli ricchi che di quelli poveri) si difende assai meglio contribuendo ad affrontare, anche attraverso la ricerca, i problemi che aggravano sempre di più il solco fra ricchi e poveri, che non accumulando mezzi di distruzione di massa sempre più micidiali per proteggere i privilegi dei primi dalla disperazione dei secondi.