ecomafie:il ciclo del cemento e dei rifiuti



da lanuovaecologia.it

Giovedì 10 Aprile 2003

CICLO DEL CEMENTO|Il Rapporto Ecomafia 2003 di Legambiente

Le cifre di "mattone selvaggio"

L'ecomostro di StrongoliLa forte ripresa della cementificazione del
territorio e dell'abusivismo rappresentano la conseguenza diretta dell'
annunciato, anche se finora scongiurato, terzo condono edilizio

Nel 2002, l'abusivismo edilizio è tornato a sfondare nel nostro Paese il
muro delle 30mila costruzioni illegali: esattamente 30.821, secondo le stime
elaborate dal Cresme, per una superficie complessiva di 4.204.380 metri
quadrati e un valore immobiliare stimabile in 2.102 milioni di euro.
L'incremento registrato rispetto al 2001 è del 9%, ovvero
2.544 case abusive in più; s'inverte così bruscamente, dopo la "frenata" già
segnalata nel precedente Rapporto Ecomafia, un ciclo virtuoso cominciato nel
1999 (a partire non solo simbolicamente, dalla demolizione del Fuenti) che
aveva visto decrescere, costantemente, il numero di nuove costruzioni
illegali.
Il 55% del nuovo abusivismo edilizio si concentra nelle quattro regioni a
tradizionale presenza mafiosa. Nell'ordine, per numero di case illegali,
Campania, Sicilia, Puglia e Calabria.
Sempre in queste quattro regioni, il 26,5% degli immobili costruiti nel 2002
è abusivo, ovvero poco più di una casa su quattro;
Di nuovo in queste quattro regioni, si concentra il 47,7% delle infrazioni
accertate dalle forze dell'ordine nel ciclo del cemento. E anche in questo
caso, purtroppo, a guidare la classifica degli illeciti è la Campania.
Sono i numeri più significativi del ciclo illegale del cemento tratti dal
Rapporto Ecomafia 2003, presentato oggi da Legambiente, presso la direzione
nazionale dell'associazione, a Roma. Cifre che mostrano in tutta la sua
drammaticità la forte ripresa del "mattone selvaggio". E che rappresentano
la conseguenza diretta dell'annunciato, anche se finora scongiurato, terzo
condono edilizio.
La ferma opposizione delle associazioni ambientaliste e di Legambiente in
particolare (insieme alla netta presa di posizione del ministro dell'
Ambiente, Altero Matteoli) hanno ricacciato indietro le proposte di legge
affacciate in Parlamento. Ma è bastato annunciarle, appunto, per creare
guasti immediati: insieme alla speranza di una nuova sanatoria, si sono
riaccese anche le ruspe dell'industria dell'abusivismo.

CICLO DEI RIFIUTI|Il Rapporto Ecomafia 2003 di Legambiente

Legalità in discarica

Stabilimento Enichem49 persone arrestate tra il 2002 e il gennaio del 2003,
177 le persone denunciate, 36 le società coinvolte, 12 le regioni
interessate dai traffici illegali. In carcere dirigenti e dipendenti dello
stabilimento Enichem di Priolo

C'è ancora molto da fare, ma le forze dell'ordine e l'autorità giudiziaria
stanno ottenendo importanti risultati contro le organizzazioni criminali
attive nella gestione del ciclo illegale dei rifiuti. Sono 49 le persone
arrestate tra il 2002 e il gennaio del 2003, 177 le persone denunciate, 36
le società coinvolte, 12 le regioni interessate dai traffici illegali. Le
indagini sono state svolte, in maniera particolare, dal Comando tutela
ambiente dell'Arma dei carabinieri (30 le ordinanze di custodia emesse da
diverse Procure italiane), ma non è mancato il contributo dei Nuclei
investigativi del Corpo forestale dello Stato, in particolare quello di
Brescia, e della Guardia di finanza, che ha condotto una delle inchieste più
clamorose: quell'operazione "Mar Rosso" che ha portato in carcere dirigenti
e dipendenti dello stabilimento Enichem di Priolo, accusati di aver sversato
in mare rifiuti contenenti mercurio (fino a 20.000 volte oltre i limiti di
legge) e di aver "spedito" illecitamente in giro per l'Italia ingenti
quantitativi di veleni.

LE TERRE DELLA DIOSSINA
Alle organizzazioni criminali viene affidata, anche da imprenditori
conniventi, un'ampia gamma di rifiuti: scorie di metallurgia, fanghi
conciari, polveri di abbattimento fumi, terre provenienti da attività di
bonifica, trasformatori con oli contaminati da Pcb, i famigerati
policlorobifenili. Le conseguenze di questi smaltimenti sono gravissime e si
manifestano nel tempo, come dimostra l'allarme diossina scattato tra le
province di Caserta e Napoli. Qui per anni, come ha più volte denunciato
Legambiente, i clan della camorra, a cominciare dal sodalizio più
pericoloso, quello dei Casalesi, hanno gestito la fase terminale di
imponenti traffici illegali di rifiuti. Le "terre dell'ecomafia" - così
vennero ribattezzate dalla prima Commissione parlamentare d'inchiesta sul
ciclo dei rifiuti - sono diventate oggi le "terre della diossina",
riscontrata nel latte vaccino, sui terreni, nel foraggio. Sull'origine di
questa contaminazione non sembrano esserci dubbi: «Le risultanze
investigative - si legge in un comunicato della Procura della Repubblica di
Santa Maria Capua Vetere, che coordina le indagini - hanno consentito di
ipotizzare le cause dell'evento, consistenti nelle reiterate attività
abusive di discarica e abbandoni dei rifiuti e dall'incenerimento degli
stessi». Attività che proseguono ancora oggi, non solo in provincia di
Caserta. Tra Qualiano, Giuliano e Villaricca, in provincia di Napoli, si
consumano quasi ogni giorno abbandoni e incendi di rifiuti, come ha
evidenziato, anche in questo caso dopo le continue denunce di Legambiente,
una recentissima indagine della Procura della Repubblica di Napoli. Va
sottolineato, infine, quanto emerso in Calabria durante una recente missione
della Commissione parlamentare d'inchiesta: la procura di Reggio Calabria
avrebbe in corso un'indagine relativa a un vasto traffico di rifiuti
speciali, anche di origine ospedaliera, diretti da Nord verso Sud, che
sarebbe gestito da due famiglie della 'ndrangheta reggina.

UN PO' DI NUMERI
La quantità di rifiuti che continua a sparire dalla sempre difficoltosa
contabilità del settore è davvero impressionante: una nuova montagna - alta
1.120 metri per 3 ettari di base, pari a 11,2 milioni di tonnellate di
rifiuti - si è andata ad aggiungere a quella "spuntata" nel precedente
Rapporto Ecomafia, appena 30 metri più bassa, se può consolare, di quella
emersa lo scorso anno. Ma altri numeri confermano la gravità della
situazione: sono 4.866 le discariche abusive censite dal Corpo forestale,
per una superficie di ben 19 milioni di metri quadrati, 4 milioni in più
rispetto al dato del primo censimento, realizzato nel 1986. Diminuisce
invece il numero dei siti illegali (erano 5.978 sempre nel 1986): «Non siamo
più in presenza di comportamenti errati occasionali da parte di singoli
cittadini - si legge nel rapporto del Cfs - ma ci troviamo di fronte a
fenomeni, come dimostrato anche da indagini e operazioni di polizia
giudiziaria portate a termine, riconducibili a organizzazioni illecite che
controllano l'utilizzo delle discariche abusive».
I risultati delle operazioni svolte dal Comando tutela ambiente dei
Carabinieri in questo settore segnalano un'incidenza dell'illegalità nella
gestione complessiva dei rifiuti pari al 42,5% dei controlli effettuati. La
Sicilia resta, nel 2002, la prima regione in Italia per quanto riguarda gli
illeciti riscontrati nel ciclo dei rifiuti, seguita dalla Campania e dal
Veneto, un dato quest'ultimo che rappresenta la spia di una situazione
davvero difficile in questa regione. Il 38,6% degli illeciti accertati,
infine, si concentra nelle 4 regioni a tradizionale presenza mafiosa.

I CONTI NON TORNANO
Per quanto riguarda la gestione formalmente legale, i numeri presentati da
Fise-Assoambiente, suscitano ulteriori interrogativi: l'Italia sembra essere
un paese virtuosissimo, con il 45,5% dei rifiuti speciali prodotti, esclusi
gli inerti, avviati a recupero. Il 53% di questi rifiuti passa, però,
attraverso centri di stoccaggio e di pre-trattamento e addirittura l'87% di
quelli stoccati e "pre-trattati" finisce in discarica. Non bisogna essere
degli esperti del settore per intuire che qualcosa non torna, soprattutto
alla luce di due considerazioni e due dati di fatto: i prezzi praticati in
questi centri sono molto inferiori, per la stessa tipologia di rifiuti, a
quelli degli impianti di smaltimento. Affidando i propri rifiuti a una di
queste strutture, il produttore si vede sollevato da qualsiasi
responsabilità circa l'effettiva destinazione dei rifiuti stessi.
Sostanzialmente tutte le indagini avviate finora sulla base dell'articolo 53
bis sono caratterizzate da una serie di "trattamenti" e "riutilizzi" mai
effettuati e di miscelazioni illecite. E ancora, sono innumerevoli i casi di
capannoni riempiti da rifiuti da "recuperare" o "riutilizzare", lasciati in
"omaggio" alla collettività da società nel frattempo fallite.

STRADA SPIANATA PER GLI ECOFURBI
È facile immaginare quale effetto possa avere avuto, in questa situazione,
la nuova interpretazione della definizione di rifiuto prevista nell'articolo
14 del decreto legge 138 del 2002, che spiana la strada a ecofurbi e
trafficanti senza scrupoli, specializzati in false attività di recupero.
Presunte attività di riciclaggio, come già segnalato da Legambiente, fanno
da sfondo anche ad alcune indagini condotte nel nostro paese per quanto
riguarda i traffici internazionali di rifiuti, con la Cina tra le mete
preferite. Anche in questo caso, le attività illecite sono mosse da ragioni
sostanzialmente economiche. In un incontro internazionale promosso dal Riia
(Royal institute of international affairs), un prestigioso istituto di
ricerca londinese, sono stati forniti i prezzi relativi allo smaltimento di
una tonnellata di rifiuti pericolosi: si va tra i 100 e i 2.000 dollari di
un paese industrializzato, a seconda della tipologia di rifiuto, ai 2,5
massimo 50 dollari richiesti in un paese in via di sviluppo.

ECOMAFIE| Il procuratore antimafia sul Rapporto di Legambiente

Convivenza e connivenza

Piero Luigi VignaLa ritrovata sensibilità delle procure, l'abusivismo e la
"coabitazione" con l'impresa mafia, le tecniche di prevenzione delle
infiltrazioni. Intervista con Piero Luigi Vigna

«Una delle cose che più mi ha colpito negli ultimi mesi, in positivo
naturalmente, è l'attenzione delle Procure distrettuali alla salvaguardia
dell'ambiente, prima completamente dimenticata e ora, finalmente, centrale».
Lo ha dichiarato il procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna alla
presentazione del Rapporto Ecomafia 2003. Ma se è vero che aumentano le
misure di contrasto, l'allarme sugli ecoreati contenuto nel dossier di
Legambiente mostra che la guardia va tenuta ancora alta.
A cominciare, ad esempio, dal ciclo del cemento. Le costruzioni illegali
aumentano dappertutto in Italia, ma soprattutto nelle quattro regioni a
tradizionale presenza mafiosa, dove si concentra il 55% delle nuove
costruzioni abusive.

Allora procuratore, si può dire che abusivismo edilizio e mafia vanno a
braccetto?
Dove c'è la mafia e dove la fiducia dei cittadini - duole dirlo, ma questa
la più grande operazione che ha fatto la mafia - si rivolge verso la
criminalità mafiosa anziché verso le istituzioni statali, è un dato ovvio
che lì ci deve essere un'espansione dell'illegalità.
A Sud l'illegalità continua a non essere più percepita come tale?
La cosa singolare, che emerge dallo studio di un istituto di economia, è che
la pressione della criminalità organizzata sulle attività d'impresa è meno
avvertita in Sicilia che non in altre regioni del Sud, perché è diventata un
dato strutturale, che quindi non colpisce più. Il cittadino lo accetta e la
convivenza diventa connivenza. C'è stata una "introitazione" del dato
mafioso: è questa la cosa più preoccupante. Quindi non meraviglia che al Sud
che ci sia un margine più ampio d'illegalità.
I vertici dell'Anas hanno approvato un regolamento per impedire nuove
infiltrazioni.
Sì, tra l'altro prevedono che chiunque entri nei cantieri debba essere poter
riconosciuto. Uomini e macchinari devono essere identificati da una
targhetta con nome e matricola. E soprattutto prevedono l'esibizione della
documentazione antimafia da parte di tutti i soggetti coinvolti non solo in
appalti e subappalti, ma anche nelle forniture.
Secondo lei saranno di qualche efficacia queste precauzioni?
L'ho sottolineato come un dato positivo. Come dice lo stesso presidente
dell'azienda, l'autoregolamentazione si affianca in questo caso alle norme
statali, facendosi più stringente e stimolando anche il legislatore a
recepire alcuni suggerimenti che provengono da quest'esperienza che sta per
avere inizio.

TRAFFICI|Dal commercio illegale di specie protette a quello del legname
pregiato

Rotte illegali

Rifiuti radiattiviAl traffico dei rifiuti, che spesso si sovrappone con
quello delle armi, sembrano legarsi alcuni misteri del nostro paese. Come
quello dell'assasinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin
Alle rotte dei traffici illeciti dei rifiuti, che spesso si sovrappongono
con quelle delle armi, sembrano legarsi alcuni misteri del nostro paese,
come quello delle navi a perdere affondate nel Mediterraneo e di cui si è
persa traccia. Morti improvvise che suscitano ancora interrogativi, come
quella del capitano di corvetta Natale De Grazia, indispensabile
collaboratore della Procura presso la pretura di Reggio Calabria durante le
indagini relative proprio ai carichi trasportati dalle navi fantasma.
Delitti efferati, come quello di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Alla giornalista del Tg3 e al suo operatore, assassinati a Mogadiscio il 20
marzo del 1994, è dedicato un capitolo del Rapporto Ecomafia curato da
Barbara Carazzolo, Alberto Chiara e Luciano Scalettari, tre giornalisti di
Famiglia cristiana autori di innumerevoli articoli sui traffici illegali di
armi e rifiuti e di un libro: "Ilaria Alpi, un omicidio al crocevia dei
traffici". Dietro quel duplice omicidio, questa è l'ipotesi sostenuta da
robusti riscontri, si potrebbero nascondere proprio traffici illegali, di
rifiuti e di armi, scoperti da Ilaria Alpi durante il suo lavoro in Somalia.
Non è la prima volta che viene ipotizzato uno movente di questa natura: già
nel 1996 la relazione conclusiva della prima Commissione d'inchiesta sul
ciclo dei rifiuti sottolineava l'inquietante coincidenza tra la segnalazione
di smaltimenti illeciti al largo delle coste della Somalia e la cittadina in
cui Ilaria aveva realizzato il suo ultimo servizio: Bosaso. Un'ipotesi
ripresa anche in altre relazioni della successiva Commissione bicamerale
d'inchiesta, quella della XIII legislatura.
Restando in tema di traffici internazionali, rimane alta la preoccupazione
di Legambiente sull'ampiezza e le conseguenze del commercio illegale di
specie protette (flora e fauna). In questo Rapporto viene sottolineato, in
particolare, quello del legname pregiato. I dati raccolti sono davvero
impressionanti: il valore complessivo dei traffici illeciti viene stimato in
150 miliardi di dollari l'anno (OECD Environmental outlok, 2001). Almeno il
50% dei prelievi nel bacino amazzonico, in Africa centrale e del Sud-est
asiatico è illegale (Royal institute of international affairs, 2002). E
ancora, l'Ibama - l'Agenzia per l'ambiente del governo brasiliano - ha
dichiarato nel 2002 che almeno il 70% del mogano esportato è frutto di tagli
illegali, eseguiti su terre demaniali o di comunità indigene. Secondo il
Fern, l'Istituto per le foreste dell'Unione europea, circa il 50% del legame
tropicale che entra nei paesi dell'Unione è stato tagliato illegalmente.