forum sociale africano



da le monde diplomatique gennaio 2003





LE MONDE diplomatique - Febbraio 2003






IL CONTINENTE NERO ORGANIZZA LA SUA «ALTERGLOBALIZZAZIONE»
Voci dal Forum sociale africano


Pur tra mille difficoltà, il continente nero tenta di organizzarsi contro
l'ordine liberista: il Forum sociale africano, che si è tenuto ad Addis
Abeba all'inizio del gennaio scorso, ha visto la presenza di quarantatré
paesi. Tuttavia, mentre a Porto Alegre c'è la ressa, qui hanno partecipato
solo due associazioni occidentali. Come dire che l'Africa, oppressa per
secoli ma ricca di una grande tradizione in fatto di solidarietà, deve
procedere a tappe forzate per farsi ascoltare.

Anne-Cécile Robert
È l'inizio di gennaio, nei corridoi del Forum sociale africano (Fsa) ad
Addis Abeba, un contadino della Repubblica democratica del Congo (Rdc) si
chiede: «Quando riusciremo a parlare e a farci ascoltare?» La sua presenza
qui è un buon esempio di tutte le fatiche e le incognite che si sono dovute
affrontare per realizzare questo secondo forum (1) - emanazione del Forum
sociale mondiale di Porto Alegre - , il cui compito è quello di fare
finalmente emergere la voce africana dall'oceano della globalizzazione. Lo
ha avvisato dell'incontro la posta elettronica, e precisamente una e-mail
della Confederazione contadina proveniente da Parigi, come se l'asse
Nord-Sud fosse ancora oggi l'unico valido. La realizzazione di un movimento
sociale africano è ancora in fase embrionale e l'informazione circola male.
È già una fortuna che la posta elettronica abbia funzionato, fra
un'interruzione di corrente e l'altra! Alcuni delegati ci hanno messo tre
giorni per arrivare nella capitale etiopica, tanto disastroso è lo stato
delle strade e aleatori i collegamenti aerei interafricani.
Alla ricerca di un'«altra Africa», svincolata dall'insidia della
globalizzazione liberista, sono comunque arrivati 250 rappresentanti del
mondo associativo, contadini, operai o artisti, in rappresentanza di 43
paesi africani, alcuni dei quali in guerra. La martellante pubblicità
dell'associazione Enda (Environment and Development Action), che ha sede a
Dakar, e della scrittrice del Mali Aminata D. Traoré ha permesso di ottenere
sovvenzioni e di organizzare l'arrivo di tanta gente (2). Ma in quanti non
hanno saputo che il forum sociale si riuniva o non hanno potuto recarsi
nella capitale etiopica per mancanza di mezzi? La rappresentatività del Fsa
e il senso stesso della sua attività ne sono inevitabilmente sminuiti e gli
organizzatori, così come i delegati, hanno sottolineato la necessità di
informare dell'incontro, riflettere sui mezzi necessari a fare crescere la
partecipazione ai prossimi forum e pubblicizzare le rivendicazioni (3).
Scopo prioritario del movimento sociale africano è la contestazione delle
politiche economiche applicate da decenni al continente, che lo sprofondano
inesorabilmente nella miseria e nella guerra, destabilizzando gli stati.
Come spiega Taouffik Ben Abdallah di Enda, «compito del Fsa è permettere
alla società civile di organizzarsi come contropotere, per poter contare nei
luoghi dove si elaborano le regole imposte all'Africa». Il Forum mira anche
a federare movimenti sparsi a livello continentale e costruire un discorso
comune. Al di là di tutto questo, vuole riconquistare il diritto di parola
di fronte ad una «comunità internazionale» ridotta di fatto ai soli potenti:
lottare contro un'alienazione storica che ha spodestato gli africani del
loro destino, sottomettendoli sempre - in parte vittime e in parte
complici - alla sfruttamento economico e culturale da parte delle potenze
straniere.
La difficoltà sta nel fatto che l'oppressione, un tempo opera dei
colonizzatori, è ormai esercitata dalle stesse élite africane. Un «diabolico
consenso sul neoliberismo» lega le nostre classi dirigenti, afferma
preoccupa Aminata D. Traoré. Molti dirigenti africani partecipano allo
sfruttamento economico del continente, assecondando docilmente le ricette
dei finanziatori internazionali. Spesso formati nelle università
occidentali, passano più tempo nei paesi del Nord o nei simposi
internazionali che a casa loro. Lontani dalla realtà sociale, questi
governanti hanno abbandonato ogni resistenza. Alcuni si sono addirittura
trasformati in zelanti promotori dello sfruttamento commerciale dei loro
paesi. Ad esempio, i presidenti Abdoulaye Wade del Senegal, Thabo Mbeki del
Sudafrica, Abdelaziz Buteflika dell'Algeria, Olusegun Obasanjo della Nigeria
sono diventati i rappresentanti del Nuovo partenariato economico per
l'Africa (Nepad), un piano che mira ad «aumentare gli investimenti privati
esteri», eufemismo per dire che continuerà il saccheggio delle immense
ricchezze africane, mentre le popolazioni affonderanno nella miseria. «I
nostri dirigenti non si oppongono quanto dovrebbero. La cravatta ce l'hanno
anche nella testa», aggiunge la carismatica maliana.
Educare i dirigenti La risoluzione finale del Fsa di Addis Abeba sottolinea
il fallimento delle ricette liberiste e dei dirigenti che se ne fanno
promotori.
Propone di «educarli» ad un contro-discorso politico ed economico attraverso
campagne di mobilitazione. Vengono avanzate richieste di riparazioni
economiche, non per la schiavitù - come vorrebbero alcune associazioni
afro-americane - ma per l'aggiustamento strutturale e un debito accumulato
in condizioni inique.
Ma chi prende sul serio l'Africa? Mentre c'è ressa a Porto Alegre, qui al
Fsa soltanto Italia e Stati uniti sono rappresentati, tramite associazioni
umanitarie o di sviluppo.
La crudele autocensura, legata a una dominazione subdola, ha indotto alcune
associazioni africane a non partecipare al forum, nel timore di difficoltà
con le organizzazioni caritatevoli del Nord che le sostengono o con le
istituzioni finanziarie internazionali da cui dipendono. Anche se ben
intenzionato e utile, il sostegno può diventare una trappola quando finisce
col togliere la parola ai popoli, costringendoli entro precise griglie di
lettura e assoggettandoli a strumenti pensati altrove. Per questo alcuni
delegati esitano ad impegnarsi in una critica più radicale dei rapporti
internazionali. «Siamo noi che dobbiamo definire con chiarezza i nostri
problemi - sottolinea l'algerina Rabiaa - smettendo di discutere su basi
proposte da altri.» Le associazioni africane sono sempre più corteggiate da
governi e istituzioni finanziarie internazionali, a caccia di consenso
popolare.
Ma la prospettiva è sempre la stessa: sottomettersi ai canoni dell'economia
mondiale. «Attenti al "consenso delle Ong", che fa da pendant al consenso di
Washington», mette in guardia un sudafricano.
Le associazioni delle donne, spesso molto dinamiche, si preoccupano che le
istituzioni finanziarie internazionali mettano le mani sulle loro iniziative
microeconomiche. Le vecchie impagliatrici, ad esempio, sono oggetto di
«piani in favore del microcredito» che distruggono solidarietà e mutuo
soccorso tradizionali, mentre creano circuiti di prestiti ufficiali, spesso
di tipo usuraio. Un eccesso di indebitamento minaccia queste donne su cui,
peraltro, pesano sempre più responsabilità familiari ed economiche. «Dopo,
verranno a sistemarci!», prevede sarcastica Fatou Sarr, una delegata venuta
dal Senegal.
Di fronte a questo ocntinuo snaturamento, come definire proprie priorità in
funzione di bisogni specifici (infrastrutture, alimentazione, salute,
cultura...)? In effetti, la benché minima partecipazione al sistema
internazionale - anche quando si tratti di un aiuto - comporta la
sottoscrizione di prescrizioni decise all'estero e uniformemente orientate
all'inserimento nel sistema commerciale mondiale. Non solo questa logica
distrugge le culture tradizionali e nega le peculiarità del continente, ma
ostacola anche l'attività economica scollegandola dai bisogni e dagli
aspetti caratteristici delle società locali.
Un artista del Mali reagisce così: «Come prima cosa ci insegnano a tradire i
nostri avi. Il che vuol dire smettere di parlare le nostre lingue, diventare
egoisti mentre le nostre tradizioni insegnano condivisione e solidarietà,
vestirci all'occidentale mentre abbiamo tessuti magnifici, mangiare prodotti
provenienti da fuori quando i nostri contadini non domandano altro che
lavorare, e la natura e la terra sono generose in Africa».
«Abbiamo subìto una vera e propria escissione del pensiero», constata
Rabiaa. «Dobbiamo ricollegarci con i valori antichi, per trovare soluzioni
vere ai nostri mali», insiste una delegata keniana, Gisèle, che però lega il
ritorno al passato ad una profonda analisi critica, in particolare per
quanto riguarda la condizione femminile. Ma ritrovare le proprie radici,
sbarazzarsi del mimetismo prodotto dal contatto con gli occidentali, è un
processo molto lento: anche ad Addis Abeba, si vedevano ben pochi boubou
(lunga tunica africana) nella sala di riunione.
È comunque una presa di coscienza che poggia su solide basi. L'Africa è
ricca di materie prime, di minerali preziosi, della sua natura.
«Siamo come un mendicante seduto su una miniera d'oro», osserva un delegato.
Le risorse vengono sottratte a profitto degli interessi di industrie
straniere e potentati locali. I disastrosi indicatori sociali disturbano il
bel quadretto della buona coscienza dei capitalisti i quali, in nome delle
virtù dell'investimento privato, depredano il continente nero per il suo
bene. Come dice con un sospiro lo scrittore senegalese Boubacar Boris Diop,
«alcuni sognano un'Africa senza africani».
«Come ritrovare la fiducia in noi stessi?», si chiede Taouffik Ben Abdallah.
L'esplosione del debito, le guerre e il degrado della situazione economica
hanno minato la bella sicurezza degli anni '60, nonché l'appena ritrovata
fierezza dell'uomo nero, sulla scia della filosofia della negritudine.
«Siamo caduti più in basso di prima dell'indipendenza!».
Che queste siano state fuorviate tramite il mantenimento del predominio
economico, non sfugge ad alcun delegato. I leader africani più recalcitranti
sono stati eliminati fisicamente (Patrice Lumumba, Thomas Sankara...), con
la complicità attiva o passiva delle potenze straniere e di politici
corrotti, come il maresciallo Joseph Mobutu (4). «La fiducia passa
attraverso la trasmissione della nostra storia usurpata e il recupero dei
valori del panafricanismo», si infervora un giovane delegato del Kenya,
richiamando bruscamente gli adulti presenti, che tenderebbero a lasciar
«scorrere il tempo». Ora le giovani generazioni, forze vive del continente,
«non sognano altro che l'Occidente; subiscono un martellamento costante sul
fatto che per loro non esiste alcuna speranza se restano nel paese». Ridurre
l'Africa a una serie di problemi (carestia, aids, guerra...) impedisce di
ritrovarne storia e cultura.
Ed è una visione che fa parte della «strategia di dominio del Nord».
«Ci hanno messo sotto perché glielo abbiamo permesso», accusa Aminata D.
Traoré, che vede il necessario e radicale riorientamento delle strategie
economiche strettamente connesso ad un severo esame di coscienza (5).
Dominata e culturalmente colonizzata, l'Africa è anche divisa e
politicamente inesistente. «In quanto società civile e movimento sociale,
dobbiamo inventare un nostro modello democratico e ridare ai cittadini la
parola persa al momento dell'indipendenza - riassume Taouffik Ben Abdallah
di Enda. La scommessa è unirci, per parlare in quanto africani».
Eppure, il continente nero è ricco anche di una storia da cui il resto del
mondo potrebbe trarre preziosi insegnamenti. Il delegato sudafricano
Thanduxoto ha così sottolineato, con caustica ironia, «l'expertise» africana
in materia di globalizzazione: «La nostra esperienza di commercio e
globalizzazione è antica: colonizzazione, schiavitù, tratta
transatlantica»... La situazione creatasi nel continente nero -
sfruttamento, miseria, lavaggio del cervello - «mostra la vera natura
dell'ordine globale, e questo è il nostro apporto» afferma perentoria Dot
Keets dello Zimbawe. Ma, come contributo positivo, Rabiaa ricorda che
«l'Africa possiede un know-how impareggiabile quanto a relazioni di
solidarietà». Con le sue antiche tradizioni di mutuo soccorso e
l'equilibrato rapporto con la natura, potrebbe offrire un contributo
fondamentale a un «mondo globalizzato» che ha messo il denaro in cima alla
sua scala di valori.



note:


(1) Il primo forum si è svolto a Bamako nel 2001.

(2) La Cooperazione francese e associazioni come Oxfam sono i principali
contribuenti.

(3) www.enda.sn
(4) Si legga Colette Braeckman, Lumumba, un crime d'Etat, Aden, coll.
«Sur des charbons ardents», Bruxelles, 2002.

(5) Le Viol de l'imaginaire, Fayard, Parigi, 2002.