la scienza puo' essere verde?



il manifesto - 05 Aprile

La scienza può essere verde?
Ricercatori, scienziati e ambientalisti riuniti in un convegno alla Sapienza
di Roma. Vasto confronto di opinioni, su una cosa però sono tutti d'accordo:
la ricerca per essere libera da condizionamenti deve essere finanziata
adeguatamente dai poteri pubblici
LUCA TANCREDI BARONE
«Ambientalismo e scienza, nemici o alleati?». Questo il titolo provocatorio
dell'incontro organizzato ieri da Legambiente, dall'Associazione Ambiente e
Lavoro e dalla neo-rinata rivista Scienza Esperienza
(www.scienzaesperienza.it). In una affollata e stretta auletta
dell'università La Sapienza di Roma, addobbata da molte bandiere della pace,
si sono confrontati, senza risparmiarsi frecciate, scienziati, ambientalisti
su tre temi «caldi»: organismi geneticamente modificati esicurezza
alimentare, energia e cambiamenti climatici e l'ormai noto «principio di
precauzione». Si tratta del primo incontro pubblico dopo l'importante
appello di un anno fa, sempre promosso da Legambiente: «contro ogni
fondamentalismo, per una scienza alleata dell'ambiente». Un tentativo,
inedito in Italia, di allacciare un dialogo fra il mondo degli ambientalisti
(tacciati da molti scienziati di «oscurantismo» e di «antiscientismo») e
quello degli scienziati, visti spesso con sospetto come dei nemici da
combattere.

Sugli ogm protagonisti i genetisti Marcello Buiatti, dell'università di
Firenze, e Chiara Tonelli, dell'università di Milano. Critico Buiatti sulla
rimozione dei genetisti che fingono di ignorare che non è possibile
controllare completamente il risultato delle operazioni di ingegneria
genetica. Per dirla con Mariano Bizzarri, membro del comitato ogm del
ministero politiche agricole: «il paradigma della linearità è inadeguato,
bisogna tenere conto della complessità». Buiatti sottolinea anche il
paradosso degli scienziati che difendono gli interessi delle multinazionali,
sottovalutando il problema dei brevetti, oggi estesi anche ai processi e ai
derivati delle piante del terzo mondo. Tonelli è provocatoria: l'agricoltura
danneggia l'ambiente, e proprio grazie all'ingegneria genetica («uno
strumento come gli altri») si combattono i pesticidi e si migliora l'uso del
terreno.

Ma nel rovente dibattito che è seguito è Marcello Cini che suscita
l'applauso più fragoroso: non può essere trascurato che il mercato è entrato
prepotentemente nella scienza. Non solo: «non possiamo confrontare 500
milioni di anni di evoluzione con 20 anni di ingegneria genetica: la
selezione darwiniana non è finalistica come quella di noi occidentali a
caccia di profitto», una risposta a chi diceva che «anche la natura mescola
i genomi». Il dibattito si concentra sui danni (eventuali) sulla salute, ma
viene toccato solo marginalmente il problema della diminuzione della
biodiversità e della complessa valutazione di quello che ciascuna modifica
genetica può comportare in un organismo complesso. Su una cosa però sono
tutti d'accordo: la ricerca per essere libera da condizionamenti deve essere
finanziata adeguatamente dallo stato.

Più in sordina il dibattito sul contestato tema dei cambiamenti climatici: i
due relatori scienziati (il Nobel Carlo Rubbia, commissario Enea, e Guido
Visconti, critico dei risultati sul riscaldamento globale) non si sono
presentati.

Accesissimo invece sul principio di precauzione: è Silvio Garattini,
direttore dell'Istituto Mario Negri, a lanciare più provocazioni al mondo
ambientalista. Parlando di farmaci, sottolinea come sia la definizione dei
limiti il punto chiave. «Solo i dati consentono di esprimere una
valutazione, quindi anche la sperimentazione animale». «Gli sforzi di
precauzione devono essere proporzionali al rischio», dice anche. Insomma,
pensate prima ai 90mila morti di fumo all'anno che a rischi minori. E poi
una stoccata a chi nel mondo ambientalista ammicca alla medicina alternativa
(omeopatia, erboristerie): anche a loro dovrebbe essere applicato il
principio, con maggiori controlli. Non basta, ce n'è anche per l'agricoltura
biologica (dove «domina l'ideologia»), sulle cellule staminali («alcuni le
impiantano senza criteri su pazienti solo perché sono gravissimi»), sulle
droghe leggere («fumare cannabis aumenta negli adolescenti il rischio di
malattie mentali»). Senza dimenticare di stigmatizzare il silenzio di media
e comunità scientifica sulla controversa riforma dell'Emea (European agency
for the evaluation of medical products) in discussione al parlamento
europeo, che porrà il massimo ente europeo di valutazione dei farmaci sotto
la giurisdizione dell'industria e non della sanità.

«Qual è il rischio che possiamo valutare e soprattutto che vogliamo
accettare?», chiede ancora Bizzarri. «Oggi non si dà più il tempo di fare e
pubblicare gli studi necessari prima di prendere una decisione, e i processi
sono più veloci di quello che possiamo gestire. Ma in un mondo in cui i
fattori di rischio vanno aumentando e non conosciamo come interagiscano fra
loro, perché aumentarli inutilmente?»