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la scienza puo' essere verde?
- Subject: la scienza puo' essere verde?
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sun, 6 Apr 2003 08:39:07 +0200
il manifesto - 05 Aprile La scienza può essere verde? Ricercatori, scienziati e ambientalisti riuniti in un convegno alla Sapienza di Roma. Vasto confronto di opinioni, su una cosa però sono tutti d'accordo: la ricerca per essere libera da condizionamenti deve essere finanziata adeguatamente dai poteri pubblici LUCA TANCREDI BARONE «Ambientalismo e scienza, nemici o alleati?». Questo il titolo provocatorio dell'incontro organizzato ieri da Legambiente, dall'Associazione Ambiente e Lavoro e dalla neo-rinata rivista Scienza Esperienza (www.scienzaesperienza.it). In una affollata e stretta auletta dell'università La Sapienza di Roma, addobbata da molte bandiere della pace, si sono confrontati, senza risparmiarsi frecciate, scienziati, ambientalisti su tre temi «caldi»: organismi geneticamente modificati esicurezza alimentare, energia e cambiamenti climatici e l'ormai noto «principio di precauzione». Si tratta del primo incontro pubblico dopo l'importante appello di un anno fa, sempre promosso da Legambiente: «contro ogni fondamentalismo, per una scienza alleata dell'ambiente». Un tentativo, inedito in Italia, di allacciare un dialogo fra il mondo degli ambientalisti (tacciati da molti scienziati di «oscurantismo» e di «antiscientismo») e quello degli scienziati, visti spesso con sospetto come dei nemici da combattere. Sugli ogm protagonisti i genetisti Marcello Buiatti, dell'università di Firenze, e Chiara Tonelli, dell'università di Milano. Critico Buiatti sulla rimozione dei genetisti che fingono di ignorare che non è possibile controllare completamente il risultato delle operazioni di ingegneria genetica. Per dirla con Mariano Bizzarri, membro del comitato ogm del ministero politiche agricole: «il paradigma della linearità è inadeguato, bisogna tenere conto della complessità». Buiatti sottolinea anche il paradosso degli scienziati che difendono gli interessi delle multinazionali, sottovalutando il problema dei brevetti, oggi estesi anche ai processi e ai derivati delle piante del terzo mondo. Tonelli è provocatoria: l'agricoltura danneggia l'ambiente, e proprio grazie all'ingegneria genetica («uno strumento come gli altri») si combattono i pesticidi e si migliora l'uso del terreno. Ma nel rovente dibattito che è seguito è Marcello Cini che suscita l'applauso più fragoroso: non può essere trascurato che il mercato è entrato prepotentemente nella scienza. Non solo: «non possiamo confrontare 500 milioni di anni di evoluzione con 20 anni di ingegneria genetica: la selezione darwiniana non è finalistica come quella di noi occidentali a caccia di profitto», una risposta a chi diceva che «anche la natura mescola i genomi». Il dibattito si concentra sui danni (eventuali) sulla salute, ma viene toccato solo marginalmente il problema della diminuzione della biodiversità e della complessa valutazione di quello che ciascuna modifica genetica può comportare in un organismo complesso. Su una cosa però sono tutti d'accordo: la ricerca per essere libera da condizionamenti deve essere finanziata adeguatamente dallo stato. Più in sordina il dibattito sul contestato tema dei cambiamenti climatici: i due relatori scienziati (il Nobel Carlo Rubbia, commissario Enea, e Guido Visconti, critico dei risultati sul riscaldamento globale) non si sono presentati. Accesissimo invece sul principio di precauzione: è Silvio Garattini, direttore dell'Istituto Mario Negri, a lanciare più provocazioni al mondo ambientalista. Parlando di farmaci, sottolinea come sia la definizione dei limiti il punto chiave. «Solo i dati consentono di esprimere una valutazione, quindi anche la sperimentazione animale». «Gli sforzi di precauzione devono essere proporzionali al rischio», dice anche. Insomma, pensate prima ai 90mila morti di fumo all'anno che a rischi minori. E poi una stoccata a chi nel mondo ambientalista ammicca alla medicina alternativa (omeopatia, erboristerie): anche a loro dovrebbe essere applicato il principio, con maggiori controlli. Non basta, ce n'è anche per l'agricoltura biologica (dove «domina l'ideologia»), sulle cellule staminali («alcuni le impiantano senza criteri su pazienti solo perché sono gravissimi»), sulle droghe leggere («fumare cannabis aumenta negli adolescenti il rischio di malattie mentali»). Senza dimenticare di stigmatizzare il silenzio di media e comunità scientifica sulla controversa riforma dell'Emea (European agency for the evaluation of medical products) in discussione al parlamento europeo, che porrà il massimo ente europeo di valutazione dei farmaci sotto la giurisdizione dell'industria e non della sanità. «Qual è il rischio che possiamo valutare e soprattutto che vogliamo accettare?», chiede ancora Bizzarri. «Oggi non si dà più il tempo di fare e pubblicare gli studi necessari prima di prendere una decisione, e i processi sono più veloci di quello che possiamo gestire. Ma in un mondo in cui i fattori di rischio vanno aumentando e non conosciamo come interagiscano fra loro, perché aumentarli inutilmente?»
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