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reddito minimo cancellato in finanziaria
- Subject: reddito minimo cancellato in finanziaria
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 27 Feb 2003 06:40:58 +0100
il manifesto - 09 Febbraio 2003 Reddito minimo cancellato dalla finanziaria La finanziaria cancella anche la via sperimentale all'inserimento. Le regioni più povere restano completamente a secco, quelle ricche potrebbero trovare qualche palliativo. Ma non è detto FRANCESCO PAOLINI Neanche le briciole ci saranno per coloro che, il prossimo anno, si troveranno con redditi al di sotto di 269 euro. Dopo la beffa delle pensioni minime ad un milione, la Finanziaria cancella anche il Reddito minimo di inserimento (Rmi). Nulla da fare per le 165 mila persone che attualmente percepiscono la misura. Il sottosegretario al welfare Pasquale Viespoli ha dichiarato: «Il Rmi ha esaurito la sua funzione. Si tratta di vedere come traghettare i comuni dal vecchio al nuovo». In realtà, l'ultima novità è che il Rmi sopravviverà per altri sei mesi, ma il nodo è sui fondi: per il ministero bisogna fare a metà. Lo stato dovrebbe sborsare 35 milioni di euro ed altrettanto i comuni attraverso un fondo sociale ad hoc presso le regioni. Sarebbe una soluzione ponte per traghettare i comuni verso un nuovo strumento: quel reddito di ultima istanza disegnato dalla delega di riforma degli ammortizzatori sociali e non ancora decollato nè definito. Intanto la povertà dei minori aumenta, mentre aumentano anche i lavoratori poveri. Per il 2002 l'Istat stima 2.707.000 famiglie in condizione di povertà relativa, che nel Mezzogiorno riguarda il 25% della popolazione, e 954 mila nuclei familiari in condizioni di povertà assoluta (rispettivamente il 12,3% del totale ed il 4,3%). A livello nazionale esistono misure di garanzia solo per gli anziani e i disabili. A queste si aggiungono, poi, l'assegno al nucleo familiare per le famiglie di lavoratori dipendenti poveri e l'assegno per i nuclei poveri con almeno tre figli minori. Per tutti gli altri casi, l'esistenza di misure di sostegno è lasciata alle decisioni locali, con esiti di frammentazione e disomogeneità. Attraverso l'Rmi l'Italia aveva applicato, sia pure a titolo sperimentale, una misura di sostegno ai redditi bassi, già presente in tutti i paesi dell'Unione europea (mano la Grecia). Si era riconosciuto il ruolo delle misure di garanzia del reddito nell'ottica di un generale ripensamento del welfare, partendo dal presupposto che per risolvere il problema del lavoro possa essere necessario risolvere prima i problemi della povertà economica con adeguati sostegni di reddito e quelli dell'emarginazione sociale con incisive azioni di inserimento. L'Rmi non è stato concepito come un sostituto dell'indennità di disoccupazione. E non basta essere disoccupati per avervi diritto. Bisogna essere poveri. Di più, la soglia è bassa: una persona che vive sola e ha un reddito di 269 euro mensili ne è esclusa. Il governo Berlusconi, tuttavia, ha preso un'altra strada da tempo. Già la scorsa estate il «Patto per l'Italia» spiegava che data l'impossibilità di individuare i soggetti aventi diritto, l'Rmi potrà sopravvivere solo come programma regionale, co-finanziato in misura minore dal Fondo nazionale per le politiche sociali. Tradotto: solo le regioni più ricche potranno introdurre un loro Rmi. Quelle del Sud, dove risiedono due poveri su tre, dovranno stare a guardare, date le loro basse capacità impositive. La delega al livello locale di uno strumento come l'Rmi, senza definire criteri, standard, diritti e doveri minimi a livello nazionale, produce una forte discrezionalità, e quindi anche l'indebolimento di condizioni di cittadinanza comuni. E' da questa discrezionalità e categorialità dei trattamenti, e non da una peraltro inesistente generosità dei sostegni, che deriva l'assistenzialismo spesso imputato allo stato sociale italiano. La sperimentazione del Rmi: elementi emersi dalla valutazione Il cofinanziamento stato-regioni prospettato dal governo può risolvere le criticità emerse? Per rispondere a queste domande costituisce un'utile base il Rapporto di valutazione (Cles, Irs, Zancan, 2001), che riguarda i 39 comuni della prima fase, e mai reso pubblico dal governo. Il ministro per la solidarietà sociale avrebbe dovuto presentarlo al Parlamento entro il 31 giugno dello scorso anno. Ad oggi non si è ancora svolto il dibattito parlamentare. La nota dolente riguarda la gestione dei programmi di inserimento. Il punto è che per decreto il finanziamento e la gestione stessa sono affidati ai comuni. Considerando che gli enti locali sono stati selezionati seguendo il principio della forte concentrazione di bisogni, e non di risorse finanziarie e professionali, il risultato appare prevedibile. Alcuni aspetti salienti che emergono dall'analisi. Primo: il contesto locale ha influenzato notevolmente l'andamento della sperimentazione, anche perchè i comuni hanno dovuto accollarsi il finanziamento dei programmi. In particolare, appare rilevante la collocazione della sperimentazione nel centro-nord. Resta il fatto che in 34 casi su 38 l'Rmi ha prodotto cambiamenti nell'organizzazione locale e in altri 23 ha promosso il settore socio-assistenziale. Secondo: la qualità dei progetti di inserimento non sembra aver influenzato la possibilità di uscire dal bisogno di ricevere l'Rmi. In effetti, il numero di dimessi supera quello degli inseriti in ben dodici comuni ed in altrettanti non è stata finanziata la gestione dei programmi. In questo senso, le amministrazioni, soprattutto nel Mezzogiorno, sono state per lo più incapaci di fornire e di monitorare efficacemente questi servizi di «attivazione». Terzo: tanto più numerosi risultano i soggetti beneficiari dell'Rmi sul totale della popolazione residente, tanto più difficile è stato uscire dal bisogno di ricevere l'Rmi stesso. Il che denota la difficoltà da parte degli enti locali di proporre efficaci programmi a fronte di una domanda sociale elevata. Implicazioni nel rapporto fra amministrazioni centrali e periferiche Secondo questa analisi i due aspetti più innovativi, in pratica l'idea dell'inserimento come integrazione al versamento di un'indennità minima e la ricerca di un'articolazione fra intervento dello Stato e quello delle collettività locali, hanno fornito risultati contraddittori. I comuni hanno spesso proposto programmi modesti sia in termini quantitativi, sia qualitativi. Per questo essi sono scarsamente correlati al tasso di uscita dal bisogno di ricevere l'Rmi. Diversamente, nelle realtà locali dove i progetti sono stati finanziati adeguatamente ed organizzati efficacemente hanno mostrato un'influenza diretta sulla possibilità di uscire dalla condizione di bisogno. Per questi motivi appare indispensabile finanziare centralmente uno strumento come l'Rmi. Innanzi tutto per la sua complessità e per garantire l'accesso ai diritti fondamentali, come quelli al reddito ed all'inserimento. Viceversa, trasferire la gestione dei programmi dai comuni alle regioni, come proposto dal governo, è un palliativo, che sposta il nodo senza risolverlo. Che sia un ulteriore esempio di pericolosa devolution? CHE COSA È L'RMI Il Reddito Minimo di Inserimento nasce nel `98 in 39 comuni (24 del Sud) e poi è esteso nel 2000 ad altri 267. La prima fase ha coinvolto 34mila famiglie e 85mila individui, il 6,5% della popolazione residente nei comuni selezionati. L'Rmi è una misura di contrasto della povertà e dell'esclusione sociale, che agisce sostenendo le condizioni economiche e sociali delle persone esposte al rischio della marginalità sociale ed impossibilitate a provvedere per cause psichiche, fisiche e sociali al mantenimento proprio e dei figli. L'Rmi consiste in un duplice intervento: fornisce trasferimenti monetari integrativi e programmi di reinserimento personalizzati, destinati a favorire l'integrazione sociale dei soggetti destinatari. In particolare, nel caso di un adulto solo, senza figli, il Rmi copre la differenza fra 269 euro ed il reddito individuale (laddove il 25% del reddito da lavoro è però escluso dal computo). I programmi di reinserimento sono progetti che spaziano dall'intervento di tipo occupazionale a quello di cura e sostegno familiare, da quello formativo/scolastico a quello di integrazione socio/relazionale.
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