la trappola dei fondi pensione



     
 
il manifesto - 09 Febbraio 2003 
 
La trappola dei fondi pensione
La Fondazione Di Vittorio discute di previdenza integrativa. I rischi di
una posizione subalterna
I fondi a fondo. La crisi economica e il tracollo dei mercati finanziari
evidenziano i limiti del sistema pensionistico integrativo che doveva
coprire i buchi della previdenza pubblica. Ma la sinistra sarà capace di
cambiare rotta?
ANGELO MARANO
Lunedì pomeriggio alla Casa della cultura di Milano la Fondazione Di
Vittorio discuterà di fondi pensione, presenti Cofferati e alcuni
prestigiosi tecnici ed economisti. In un periodo in cui gli scandali e la
crisi dei mercati finanziari stanno mettendo in ginocchio i fondi, quelli
americani e inglesi in primis, è facile indovinare che l'argomento verrà
affrontato con toni cauti e problematici. Se il dibattito riuscirà ad
oltrepassare la cerchia degli addetti ai lavori, avrà il merito di rendere
tutti un po' più consci delle implicazioni e dei rischi della previdenza
integrativa. Eppure, rischia di rimanere impregiudicata la scelta di fondo
in favore di tale forma di previdenza, compiuta negli anni 90 dalla
sinistra istituzionale e dai sindacati confederali. All'epoca non vi fu
reale dibattito; non sarebbe oggi il caso, a fronte di una critica già
molto avanzata in altri paesi e che si sta sviluppando anche in Italia, di
aprire finalmente una discussione a tutto campo, avendo il coraggio, se del
caso, di riconsiderare la scelta fatta?

Nella logica della riforma pensionistica del 1995, lo sviluppo della
previdenza privata (insieme al prolungamento dell'attività lavorativa)
avrebbe dovuto bilanciare la progressiva riduzione della copertura
pubblica: i dati ufficiali dicono che fra il 2010 e il 2050, ritirandosi a
60 anni con 35 anni di servizio, la pensione pubblica di un lavoratore
dipendente cadrà dal 67,1% al 48,1% dell'ultimo salario, quella di un
lavoratore autonomo dal 64,7% al 29,2%.

Con l'adesione ad un fondo pensione i lavoratori, pur sacrificando la
liquidazione sull'altare del risanamento, avrebbero potuto comunque
garantirsi, fra pensione pubblica e privata, un reddito accettabile per la
vecchiaia. Inoltre, i fondi pensione avrebbero stimolato il risparmio, reso
più efficienti i mercati finanziari, aumentato la disponibilità di risorse
per finanziare gli investimenti e favorito, così, lo sviluppo economico.
Infine, con la crescita delle partecipazioni azionarie detenute dai fondi,
i lavoratori sarebbero stati resi partecipi dei profitti e le imprese
spinte ad occuparsi maggiormente delle esigenze dei dipendenti e della
società in generale.

Purtroppo, le speranze riposte nella previdenza integrativa rischiano di
venir disattese su tutti i fronti. Innanzitutto, essa rischia di rivelarsi
iniqua, di dubbia efficacia e di scarsa efficienza. Iniqua, perché nel
sistema italiano la previdenza integrativa non riguarderà mai la totalità
dei lavoratori, ma solo quella parte che potrà permettersela, godendo di
redditi elevati o grazie al Tfr; per moltissimi lavoratori autonomi,
parasubordinati, donne e categorie professionali deboli i tagli alla
previdenza pubblica non troveranno compensazione alcuna e parecchi, pur
giovani, già fronteggiano lo spettro di una povertà futura. Di dubbia
efficacia, perché tanti e tali sono i rischi e la variabilità dei
rendimenti dei fondi pensione che fare affidamento su tale rendita a fine
carriera rischia di rivelarsi un azzardo; certo, i mercati finanziari vanno
giudicati nel lungo periodo, ma cosa fare quando su interi decenni i
rendimenti azionari sono negativi e quando la storia è piena di fondi
pensione che hanno lasciato i lavoratori con un pugno di mosche in mano?
Ancora, è dubbio che la previdenza integrativa possa rivelarsi strumento
più efficiente delle alternative che si potrebbero individuare all'interno
del sistema pubblico stesso: difficilmente i mercati finanziari potranno
offrire rendimenti di molto superiori alla previdenza pubblica e,
quand'anche così fosse, oneri amministrativi e di gestione rischiano di
assorbirne la gran parte; inoltre, una regolamentazione efficace, che eviti
gli abusi così frequenti, rischia di essere difficile e costosa; infine,
l'accumulo patrimoniale necessario al funzionamento dei fondi pensione
richiede contributi aggiuntivi, per giunta sovvenzionati con denaro
pubblico, superiori a quelli che sarebbero necessari per offrire la stessa
copertura in un sistema pubblico che accumulasse fondi di riserva.

Quanto alla capacità da parte dei fondi pensione di stimolare il risparmio,
gli investimenti e la crescita, essa rischia di essere in gran parte
illusoria. I fondi investono una parte sostanziale del proprio patrimonio
in titoli di stato e all'estero, col risultato che i possibili
finanziamenti aggiuntivi per le imprese nazionali sono limitati, come
rilevato nel Rapporto Ref sul mercato azionario 2003, dove, pur sotto
ipotesi particolarmente favorevoli, si valuta che potranno arrivare a circa
un miliardo di euro annui. Inoltre, in gran parte non di nuovo risparmio si
tratta, bensì piuttosto di una diversa allocazione di quello già esistente:
i lavoratori dipendenti che finanziano la previdenza integrativa col Tfr
altro non fanno che sostituire una forma di risparmio forzoso ad un'altra,
mentre per i lavoratori autonomi si tratta soprattutto di sfruttare il
favorevole trattamento fiscale dei fondi pensione, trasferendo loro una
ricchezza finanziaria già detenuta sotto altre forme.

Infine, quanto illusorio sarebbe sperare che i fondi pensione possano
spingere le imprese ad una gestione più "sociale", è ampiamente dimostrato
dal caso americano. Piuttosto, c'è da chiedersi se i fondi non rischino di
avere un effetto deflagrante proprio a sinistra: da un lato perché
contrappongono al lavoratore classico il lavoratore "rentier", interessato
a profitti e rendimenti finanziari; dall'altro perché la pur legittima e
necessaria presenza dei sindacati negli organi di amministrazione dei fondi
negoziali rischia di ridurre i sindacalisti al rango di promotori
finanziari e potrebbe addirittura minare la determinazione di alcuni alla
difesa del sistema pubblico, dato che proprio nella forza della previdenza
pubblica sta il maggior ostacolo alla previdenza privata.

Insomma, la previdenza integrativa suscita dubbi sempre più seri. È
possibile discuterne finalmente a fondo, senza pregiudizi? Ed è possibile
che su questo e sulla materia pensionistica in generale le varie sinistre
possano sviluppare un confronto ed una posizione comune, che ponga al
centro l'obiettivo di assicurare a tutti i lavoratori e a tutti i cittadini
una pensione adeguata per il domani?