l'idea di giustizia



  
 
www.filosofia.rai.it 20 - 1 - 2003
 
  
 
Paul Ricoeur
L'idea di giustizia
Documenti correlati   

----------------------------------------------------------------------------
----
intervista di Antonio Gargano 
Professor Ricoeur, l'esistenza di leggi ingiuste non prova che la Giustizia
non si esaurisce nel diritto ? 

Si tratta di un paradosso che è parte della nostra stessa realtà umana. Da
un lato abbiamo infatti l'idea di giustizia, dall'altro le leggi scritte
proprie dei diversi paesi e delle rispettive legislazioni nazionali.
Abbiamo dunque due concetti di giustizia: l'ideale di giustizia di cui
parla la filosofia del diritto, e poi la giustizia legata al diritto
positivo e formulata nelle leggi. In effetti ci possono essere atti
dichiarati come giusti e leciti perché conformi a determinate leggi, ma
queste leggi possono a loro volta risultare ingiuste se vengono considerate
in rapporto ad un progetto che oltrepassa le costituzioni e le stesse
nazioni, collocandosi su di un piano per essenza cosmopolitico. 

Allora la giustizia è soltanto un concetto morale che non prevede se non
per accidens una coincidenza con il diritto?

No. Resta comunque il fatto che il concetto di giustizia, quand'anche ci
serva a condannare delle leggi ingiuste, non appartiene alla morale, perché
con esso non si pone il problema della purezza delle intenzioni, ma
piuttosto ci si propone di correggere i comportamenti. Da questo punto di
vista Kant e Hegel hanno ragione: il diritto è distinto dalla morale,
perché si presenta come la sfera dell'esteriorità, in cui gli uomini
appaiono esterni gli uni agli altri ed il tribunale reale risulta anch'esso
esterno rispetto al tribunale della coscienza. 

Come si può venire a capo di questa aporia allora ? 

Il paradosso può essere risolto - anche se solo parzialmente - mediante la
nozione di "principi generali del diritto", di cui si servono i giuristi.
"I principi generali del diritto" sono l'elemento di connessione tra la
giustizia come mero ideale e la giustizia legata al diritto positivo ed
alle leggi scritte, che possono essere talvolta anche leggi criminali: per
esempio gli ebrei sono stati sterminati in base a leggi firmate da un capo
dello stato legalmente eletto. "I principi generali del diritto" sono
appunto l'espressione della sensibilità morale dell'umanità in un dato
momento storico, giacché presentano una certa visione dei rapporti di
coesistenza tra gli uomini, tali da rendere sopportabile la vita in comune. 

In questo senso la giustizia è un concetto che non appartiene né alla
morale né al diritto positivo, ma ai "principi generali del diritto", che
si trovano nelle dichiarazioni universali dei diritti come per esempio
nella Dichiarazione d'indipendenza della Rivoluzione americana, nella
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino della Rivoluzione
francese e nel preambolo di molte costituzioni, che spesso contengono
principi più giusti rispetto al contenuto determinato delle leggi che
seguono. 

E come si deve porre, per Lei, la giustizia di fronte al relativismo degli
interessi e dei punti di vista nelle società complesse? 

Così come esiste un rapporto gerarchico tra l'idea di giustizia, i principi
generali del diritto e il diritto positivo, allo stesso modo esiste una
partizione interna al diritto positivo stesso: abbiamo il diritto pubblico,
il diritto privato, il diritto sociale, il diritto penale.La partizione è
tale da determinare una specie di divisione del lavoro tra i giuristi stessi. 

Credo si debba riconoscere che una tale frammentazione del diritto dipenda
semplicemente dal fatto che le forme di relazione in cui si può entrare con
gli altri sono di natura molteplice, e ciò è strettamente connesso alla
crescente complessità delle società moderne. In una società complessa si
danno rapporti diversificati tra le persone, e questo fa sì che le
relazioni di diritto pubblico tra concittadini non coincidano con le
relazioni che si stabiliscono, per esempio, nella definizione dei
contratti, nel diritto di successione o nel diritto sociale. Questo
significa un potenziamento della possibilità di conflitti. 

E la giustizia è capace di eliminare questi conflitti? 

Il conflitto fa parte della realtà umana, non si deve credere che entrando
nella sfera giuridica si eviti ogni possibilità di conflitto, si entra
piuttosto in una sfera in cui i conflitti sono riconosciuti come leciti e
in cui esistono le regole per risolverli. Ma tali regole non sono
necessariamente omogenee, né formano un sistema. Uno dei problemi
principali del diritto è allora quello di eliminare il maggior numero di
contraddizioni, tanto più che in linea di principio una legge non può
contraddire un'altra. 

Non si tratta dunque di una questione di relativismo, ma piuttosto di un
problema di complessità. Una società bene ordinata - per usare
un'espressione di Hannah Arendt - non è quella in cui non ci sono
conflitti, ma quella in cui ci sono regole per dirimerli, in questa
prospettiva consenso e conflitto possono coesistere. Una società crea tanti
più conflitti quanto più è complessa, perciò essa richiede un maggior
consenso sulle regole procedurali. In questo senso Rawls ha ragione nel
sostenere che il progresso principale è quello che si può fare intervenendo
sulle procedure. 

Professor Ricoeur per Lei è possibile pensare ancora alla giustizia come ad
un criterio unificante e universale, indirizzato verso il miglioramento
delle condizioni di vita umane? 

Se vogliamo passare alla realizzazione della giustizia sul piano pratico,
occorre naturalmente chiedersi che cosa si possa fare affinché le società
in cui viviamo si conformino all'ideale di giustizia. Innanzitutto bisogna
pensare che l'umanità è unica, in modo da porre il problema della giustizia
al livello dell'umanità. Se dunque pensiamo la giustizia in senso
cosmopolitico, nel significato che avevano dato a questa prospettiva gli
uomini del XVIII secolo, siamo indotti a considerare un secondo aspetto
della questione, ossia il tipo di disuguaglianza creato dallo sviluppo
economico. Credo che il progresso della giustizia stia innanzitutto nel
rendere possibile l'umanità come una grande comunità tenuta insieme da
legami di convivialità. Mi sembra che, all'epoca del grande indebitamento
del terzo mondo, il grande pericolo consista nel commerciare soltanto con
le nazioni solventi, soddisfacendo pertanto solo i bisogni di chi può pagare. 
La giustizia, secondo il mio modo di intenderla, consiste invece piuttosto
nel rompere questa regola secondo cui si debbano soddisfare soltanto i
bisogni di chi può pagare, e ciò implica il passaggio dall'idea di
un'economia mercantile all'idea di un'economia dei bisogni. Ci sono bisogni
umani fondamentali da soddisfare, anzi occorre riconoscere che fin dalla
nascita si hanno diritti, giacché nessuno sceglie di venire al mondo. In
terzo luogo ritengo che le nostre civiltà occidentali debbano cercare di
riconoscere le differenze nella maniera più ampia possibile. Contro il
progetto di omogeneizzare l'umanità, rendendo tutti gli uomini simili gli
uni agli altri in base ad un modello culturale uniforme, bisogna dare il
più largo credito possibile alle differenze, per esempio alla differenza
dei diritti dei sessi, alla differenza delle generazioni, delle forme di
comportamento che consideriamo devianti, come l'omosessualità o la
tossicodipendenza. 

E' indispensabile l'utilizzo della forza nella giustizia? E se è così, come
dev'essere regolato?

Occorre riconoscere in primo luogo che la nostra società non può tollerare
tutto e che esiste qualcosa di intollerabile, delle deviazioni e delle
trasgressioni che devono essere punite anche usando la forza. Ma ciò
significa ammettere il fallimento della società, infatti nel riconoscere
che non può funzionare senza un minimo di forza, la società sperimenta i
suoi limiti e il suo fallimento. Ciò vuol dire che non abbiamo ancora
risolto il problema del "vivere bene insieme", che è in definitiva la
nostra utopia sociale. In secondo luogo - come intese Cesare Beccaria - ci
si dovrebbe servire della punizione come di un mezzo di educazione,
eliminando il più possibile l'idea di espiazione. Tanto più che - come
Michel Foucault ha ripetutamente affermato in tutta la sua opera - le forme
di reclusione che continuiamo a praticare secondo modelli puramente
repressivi producono in realtà l'effetto contrario, visto che le prigioni
diventano spesso delle vere e proprie scuole del crimine. 

Attualmente dovremmo sperimentare delle forme di pena diverse dalla
reclusione, come il lavoro sociale, o qualcosa del genere. In ogni caso il
criminale, per quanto possa essere considerato abietto il suo crimine,
dev'essere tuttavia rispettato nella sua umanità. 

Qual è il rapporto tra la giustizia in quanto tale e la giustizia sociale?
Che cosa manca oggi alla realizzazione di una giustizia sociale?

Almeno fino all'inizio del XX secolo, il diritto si è articolato
soprattutto in diritto pubblico e diritto privato (5). Solo con questo
secolo si è sviluppata una nuova concezione del diritto, che ha aggiunto la
connotazione di "sociale" per distinguersi dalla visione limitata del
diritto come diritto delle istituzioni e dei contratti. Il diritto sociale
è nato quando si è cominciato a riconoscere che la società stessa produce
disuguaglianza ed ingiustizie spesso proprio quando funziona al meglio e
nella maniera più produttiva, sviluppando benessere, ricchezza e cultura,
quando cioè la redistribuzione dei benefici del lavoro di tutti diventa per
sé un problema.

A questo proposito ritengo che l'idea di uguaglianza sia altrettanto
importante dell'idea di giustizia, ancora legata all'opposizione del "mio"
e del "tuo". Credo che nell'idea di giustizia ci sia una specie di
limitazione iniziale, visto che il suo scopo sembra essere non tanto la
realizzazione della comunità, quanto più semplicemente, come aveva ben
visto Kant, la realizzazione della coesistenza. Ma noi abbiamo un progetto
più grande, che è la convivenza e la convivialità; è proprio a questo punto
che introduco la mia idea di uguaglianza, perché credo che non sia
possibile alcuna comunità se lo stato sociale degli uomini è troppo
disparato e se c'è uno scarto troppo grande tra i privilegiati e i più
svantaggiati. E' necessario pertanto avvicinare i livelli della condizione
sociale degli uomini, perciò l'idea di uguaglianza dev'essere altrettanto
forte dell'idea di giustizia.