le due italie



da caffeuropa 11 - 1 - 2003 
 
  
 Le due Italie



Franco Tatò


Quella che segue è la prefazione a www.scheletri-telecom.it (idealibri) di
Umberto Sulpasso

A un certo punto della sua vita, un Professore di economia, dopo aver
studiato e insegnato negli Stati Uniti, scopre un insano desiderio di fare
qualcosa nel suo paese di origine, sicuro che l'Italia, dopo la caduta del
muro di Berlino, non possa oltre sottrarsi al proprio destino di economia
di mercato. Desidera anzi dimostrare che, con un po' di spirito
imprenditoriale, qualche buona idea, alcuni collaboratori ben disposti, per
volontà o necessità, a correre dei rischi, si possa dare vita ad una specie
di start up, una piccola impresa editoriale avanzata. 

Convince di questo anche alcuni amici sprovveduti, impiega capitali suoi e
degli amici nell'iniziativa, fidandosi del contratto concluso con una
azienda di Stato, Saritel, non per elezione, ma per necessità: l'azienda
monopolista dei telefoni e di linee telefoniche ha bisogno del Professore.
Alla fine dell'avventura, il Professore ha sentito il bisogno di raccontare
la storia e non ha trovato altra forma che quella di un romanzo giallo da
ridere. 

Da ridere per non piangere, perché le conclusioni che si possono trarre da
questa metafora delle due Italie sono sconsolanti. Le due Italie sono la
vera divisione del paese, più forte della divisione tra nord e sud, tra
ricchi e poveri: da una parte l'Italia che accetta o deve accettare il
rischio d'impresa, che mette in gioco le sue risorse o il suo posto di
lavoro, dall'altro l'Italia del posto sicuro, dell'impiego statale, delle
garanzie totali anche nell'industria privata, del privilegio,
dell'inefficienza e dell'arroganza. 

Basta guardarsi attorno, queste due Italie ci sono. Da un lato vediamo le
piccole imprese, l'artigianato, il piccolo commercio, la ristorazione, le
attività di assistenza e consulenza, quelle legate al turismo, le
professioni libere e così via. In questo universo assistiamo a cambiamenti
rapidi e continui, alla creatività che diventa anche arte di arrangiarsi
nell'assenza quasi totale di garanzie, con una presenza sindacale
debolissima. Siamo di fronte a un'economia a base familiare o individuale,
un mondo nel quale non si conoscono orari di lavoro, si fanno poche ferie,
si imparano continuamente cose nuove. 

Certo non siamo in USA, anche perché la seconda Italia incombe, e perché
tutto sommato in Italia è difficile prendersi sul serio. Nella situazione
un po' idealizzata di questa favola criminale, si gode anche di molta
libertà individuale e ci si diverte molto, almeno quando si dimentica che
tutto può finire il giorno dopo e che di soldi ce n'è pochi. D'altra parte
c'è un'Italia diversa, quella dell'impiego fisso fino alla pensione,
l'Italia delle raccomandazioni, delle diecimila domande per tre posti di
bidello. Questa mentalità del posto sicuro, della nicchia, del rifugio che
una volta raggiunto ci permette di tirare un sospiro di sollievo: ce
l'abbiamo fatta, ora sono gli altri che hanno bisogno di me. 

Per questa forma particolare di cultura dell'alienazione, il lavoro non
rappresenta un modo di realizzarsi, un modo di essere, ma uno scotto da
pagare alla società. L'organizzazione dell'esistenza è centrata sul tempo
libero, non sul fare, ma sul vivere, qualche volta solo sul respirare. Il
prevalere di questa cultura della garanzia sociale sulla cultura del
servizio pubblico, che pure per qualche tempo c'è stata, ha costituito uno
degli sviluppi più dannosi e, a lungo termine, più pericolosi per il futuro
del nostro paese. 

Quando il posto di lavoro non è semplicemente la possibilità di guadagnarsi
da vivere unita a quella di essere utili alla comunità, oppure uno stadio
nello sviluppo delle proprie capacità professionali e pertanto qualcosa per
sua natura provvisorio, ma diventa assicurazione per la vita
indipendentemente dal proprio rendimento, tutti i criteri di valutazione
sono stravolti. La assunzione di un impiegato non è più un contratto
regolato dalle leggi dell'economia, ma un favore, una concessione, qualcosa
di cui si deve essere grati e riconoscenti. 

Nel nostro paese era abbastanza grave che questa mentalità si fosse diffusa
negli impieghi statali, con le conseguenze che tutti noi quotidianamente
sperimentiamo, ma ancora più grave è stata l'estensione di garanzie
analoghe a quelle dell'impiego statale alla grande industria. In teoria
dovrebbero valere gli stessi criteri per tutti gli impieghi, ma la piccola
industria può ancora fallire, mentre la media e la grande vengono
sovvenzionate o statalizzate in caso di difficoltà accollando alla
collettività il costo del rimedio alle conseguenze dell'inettitudine o
dell'irresponsabilità. 

Si dice rimedio, ma non si ha in genere nessuna intenzione di rimediare,
solo di proseguire cambiando poco o nulla. Il sistema, pur con disfunzioni
e scompensi, richiedendo ai cittadini grandi doti di sopportazione, pur con
l'attenuante che un numero rilevante di essi è protagonista in proprio di
cose analoghe, resta in qualche modo in piedi. A livello internazionale non
compete, approfitta delle opportunità quando si presentano. Per quanto
tempo? Dipende dagli obiettivi che ci proponiamo. 

Se il nostro obiettivo è quello di diventare il primo dei paesi del terzo
mondo si può andare avanti ancora per molto tempo. L'Italia è un paese
ricco, soprattutto una ricchezza ereditata, ma comunque ricco, è un
privilegio dei ricchi è quello di scegliere tra vivere con gli interessi
del capitale o mangiarselo. Noi per ora, come dimostra il nostro sistema
pensionistico e il rifiuto di milioni di lavoratori in marcia ad ogni
modifica, abbiamo scelto di mangiarcelo e lasciare che i nostri figli si
arrangino. 

Sarà l'ora triste che il nostro paese sta attraversando, ma questi sono i
pensieri che mi venivano in mente mentre leggevo questa descrizione in
chiave umoristica, quindi disperata, di uno scontro fra pubblico e privato,
tra piccolo e grande, nell'Italia di oggi. 

Non ci traggano in inganno le stravaganze del Professore, non si tratta di
un caso isolato, si tratta di un virus molto diffuso e al quale non è stato
trovato ancora rimedio. Forse uno c'è: l'emigrazione.