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le news a buon mercato
- Subject: le news a buon mercato
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 14 Jan 2003 06:46:32 +0100
il manifesto - 07 Gennaio 2003 Le news a buon mercato La moltiplicazione delle fonti informative segue la logica della produzione in tempo reale dove ogni lettore o telespettarore è ridotto al rango di cliente La produzione e il consumo informativo nell'era delle tecnologie informatiche analizzate nel volume dello studioso di mass-media Carlo Sorrentino SEBASTIANO TRIULZI Quando la posta non arriva e i giornali non escono - scriveva Eugenio Montale in una poesia del Diario del `71 e del `72 - viene a determinarsi, anche solo momentaneamente, un sentimento di ansia, come la percezione di un vuoto; e ciò accade perché si ha l'impressione che l'ingranaggio del tempo si sia per così dire inceppato. Quasi un secolo e mezzo prima che comparisse il Diario montaliano, Hegel aveva paragonato il laico esercizio della lettura del giornale a una «preghiera del mattino», proprio perché tale esercizio poteva essere considerato un vero e proprio rito quotidiano, seppure inteso come una riflessione sui costumi e sulle abitudini sociali. Queste due asserzioni ci ricordano che i media, in quanto interpreti e traduttori del reale, incidono profondamente sulle nostre emozioni, assolvendo al rassicurante compito di scandire, simili a metronomi, il ritmo regolare dell'esistenza. In tale contesto, la consuetudine mediale, e la sua costante riproduzione, disvolgono proprio l'importante funzione di attribuire significati e di proporre valori, di fornire in sostanza quella conoscenza necessaria per muoversi all'interno della società. Entrambe offrono al singolo costantemente alla ricerca di preziose conferme sulla propria identità e altrettanto preziose risposte sul proprio destino, un luogo ove entrare in relazione con gli altri, ove «costruire appartenenze». Questa funzione sociale dei mezzi di comunicazione, e più propriamente l'interdipendenza che lega un medium come la stampa al proprio pubblico di lettori, è alla base di un recente lavoro di Carlo Sorrentino (Il giornalismo: che cos'è e come funziona, Carocci editore, ? 16,50, pp. 229), docente di Teoria e tecnica delle comunicazioni di massa all'Università di Firenze e attento osservatore delle strategie mediali nelle campagne elettorali. Un lavoro questo di Sorrentino che, sia detto per inciso, ben rappresenta lo stato della ricerca accademica in Italia e la sua liaison dangareux con l'editoria, là dove la produzione critica pare eccessivamente intenta a coltivare il dono della sintesi e assai poco interessata, invero, alla costruzione e apertura di nuovi mondi, quasi fosse la stretta logica dell'esame universitario il suo unico ambito di riferimento. Recuperando quelle che sono le linee esegetiche degli studi sul newsmaking, Sorrentino osserva come ogni atto della comunicazione possa essere considerato alla stregua di una incessante negoziazione fra emittente e ricevente; nella quale ciascuno dei protagonisti interviene e partecipa portandosi appresso un bagaglio contenente le proprie esperienze personali, i propri modi di pensare, i propri sentimenti e le proprie idee. In questa dimensione, definita da un reciproco coesistere e influenzarsi, i media non possono essere più intesi come il risultato di un rispecchiamento della realtà: al contrario, «riconoscere la centralità della relazione come chiave di volta dell'agire umano» significa appunto statuire il carattere riscotruttivo proprio dei media, almeno nella misura in cui risultano essere prodotti culturali che traducono la realtà giovandosi di una interazione costante fra i vari attori sociali. I quali a loro volta ridefiniscono e rielaborano in continuazione ciò che conoscono e ciò che apprendono, proprio perché ogni nuovo sapere, per quanto piccolo esso sia, si va ad aggiungere a un universo molteplice di conoscenze, espressioni e «rappresentazioni sociali preesistenti». Questo processo circolare - continua Sorrentino - è la spia di un sempre crescente bisogno di comunicazione derivato dalla necessità, propria di ogni individuo, di vedere soddisfatta la personale richiesta di informazioni e di costruzioni di senso: elementi questi di cui, tra l'altro, ciascuno necessita per addentrarsi nei molteplici meandri della quotidianità e per «assumere peculiari prospettive culturali». La conseguenza è che i media, accentuando così la propria naturale disposizione alla narratività, sempre più accolgono un maggior numero di eventi, di storie, di situazioni, di soggetti: e ciò anche su esplicita pressione dell'opinione pubblica che vuole vedere rappresentata l'intera gamma sociale, dal momento che la moltiplicazione di ruoli e mondi in atto nella nostra tardomodernità «rende necessario ampliare il repertorio delle informazioni utili per muoversi all'interno di tali mondi e per rendere adeguata l'interpretazione di nuovi ruoli». I media così assurgono nella globalizzazione a vere e proprie piazze virtuali, simili a quei villaggi globali rintracciati da Marshall McLuhan, dove appunto gli individui si incontrano, comunicano fra loro e fanno esperienza dei propri simili e della società civile. Il rovescio della medaglia è che, nonostante il numero sempre più elevato di soggetti e situazioni sociali presenti sui media, e una sempre maggiore consapevolezza delle ragioni e della presenza dell'altro, l'uomo in fondo sembra avere «meno immediata conoscenza di chi sia e di che cosa voglia». In tale contesto assolutamente straniante, ben si comprende come il giornalismo abbia assunto negli ultimi anni un ruolo centrale all'interno della cosiddetta società dell'informazione. In un certo qual modo si ha la percezione che esso rappresenti lo strumento più adatto per dare voce a un comune sentire, in grado allo stesso tempo di far luce, magari solo per barlumi, su ciò che è altro da noi, su ciò che è lontano da noi. Proprio la moltiplicazione dei punti di vista da cui osservare e ri-pensare il mondo, determinata parimenti dall'aumento del numero di persone che chiedono di accedere ai media e dalla loro maggiore competenza nell'uso dei media stessi, come anche l'accresciuta compartecipazione alla costruzione dell'opinione pubblica, sono tutti sintomi, secondo Sorrentino, di un arricchimento dell'offerta informativa. Dal momento che i destinatari stessi dell'informazione, che si chiamino lettori, navigatori telespettatori o quant'altro, svolgono un ruolo assolutamente rilevante, diviene necessario, se si vuole «entrare in sintonia con i mondi da loro abitati», comprenderne sensibilità e gusti, imparare a leggerne e interpretarne desideri e aspirazioni. Uno degli effetti di questa negoziazione fra «sistema giornalistico» e sistema sociale, è che i livelli di attenzione attribuiti a determinati temi dai media sono sempre più strettamente collegati alle gerarchie di importanza assegnate dal pubblico: attraverso questa funzione di agenda-setting, la stampa definisce gli ambiti di riferimento su cui riflettere, seleziona temi ed eventi sui quali poi si concentrerà l'opinione pubblica. La tesi di Sorrentino dunque è che stia crescendo, con effetti sui contenuti e sulle forme narrative, l'ascolto nei confronti delle esigenze del pubblico, non a caso sempre più trattato alla stregua di un cliente. «Negli ultimi anni - scrive l'autore - è prevalsa la dimensione del consumo informativo, ed è aumentata l'attenzione al ricevente, considerato come consumatore di informazioni da coinvolgere e interessare, anche per poter acquisire risorse pubblicitarie». Tuttavia, la rilevanza assunta dalle dinamiche di mercato e la conseguente ricerca dell'autonomia economica per un giornalismo, quale quello italiano, storicamente legato alla «benevolenza», con relative intrusioni, della classe politica, non hanno certo determinato l'avvento di una maggiore indipendenza. A tutt'oggi, quasi la metà del mercato editoriale è controllato da 4 grandi imprese, e il futuro rischia di essere, se possibile, ancor più fosco, dal momento che la scellerata proposta di legge del ministro delle telecomunicazioni Maurizio Gasparri prevede la soppressione della norma che vieta a uno stesso gruppo editoriale di possedere sia reti televisive che testate giornalistiche; una proposta che di fatto, qualora venisse approvata, favorirà la concentrazione del potere mediatico in pochissime mani. Così, appare difficile credere che il mercato sia di per sé la panacea d'ogni male, o che la sola esistenza dei media comporti un automatico «scardinamento dei monopoli informativi». Ci si chiede allora se lo scopo del giornalismo sia effettivamente quello di condividere con i propri destinatari i valori e gli interessi dei destinatari stessi, e se dunque il giornalista debba tener conto, all'atto dello scrivere, della precisa collocazione del proprio giornale nello scacchiere del mercato. Ci si chiede inoltre se il destino dell'informazione sia quello di divenire un prodotto in sostanza ritagliato e confezionato in base alle esigenze dei singoli consumatori, votato anch'esso all'inseguimento del motto di balzachiana memoria «dimmi che cosa compri e ti dirò come la pensi». Questa «strategia della complicità» - per altro già in atto trasversalmente su alcuni quotidiani nazionali - potrà forse favorire, come scrive Sorrentino, «una più forte identificazione del pubblico con la testata», ma somiglia molto a una resa dell'intelligenza dinanzi a vincoli di carattere economico, politico e anche culturale. E' necessario al contrario che riemerga, come da un porto sepolto, una prospettiva di tipo umanistica, quella ricerca della verità etica delle cose in grado di trovare risposte alle battaglie che riguardano i media, e più in particolare il potere di gestire i significati e influenzare con essi, il potere di vietare l'acceso e la partecipazione degli individui, il potere di coinvolgere i nostri sentimenti. «Oggi nel mondo - ha detto in una recente intervista concessa al settimanale argentino Ventitrés, lo scrittore José Saramago - c'è un problema di controllo dell'informazione: le parole più costruttive, le più limpide, possono anche non arrivare da nessuna parte».
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