il businness delle bollicine



da liberazione.it  13 - 1 - 2003
  
Passa a Sangemini la gestione di Fiuggi. Legambiente: «Buoni i bicchieri al
rubinetto»  
Il business delle bollicine  
Graziarosa Villani 
L'esperta di consumi Anna Bartolini: la naturizzata è una bufala. Ogni
italiano beve 170 litri l'anno. Nel mondo un miliardo e mezzo di persone
vive senza "sorella acqua"  
Torna alla gestione privata l'acqua Fiuggi. Lo stabilimento è stato ceduto
in affitto per vent'anni alla Sangemini il gruppo umbro che fa capo
all'Hopa, holding bresciana di Emilio Gnutti e che gestisce anche il
marchio Fabia. 
Si conclude così il tentativo del Comune ciociaro, azionista unico della
spa Acqua e Terme, di gestire direttamente la propria immensa ricchezza
naturale. Una scommessa di sviluppo che si è arenata soprattutto per le
scarse capacità gestionali dell'impianto di produzione della celebre
oligominerale in un mercato dove le multinazionali dettano le regole. 

In cambio della cessione in affitto il Comune incasserà complessivamente
una somma di 190 milioni di euro, 14 centesimi e mezzo di euro per ogni
bottiglia prodotta. Un cambio di gestione che pesa però sull'occupazione.
Allo stabilimento resteranno 125 dipendenti sui 180 finora occupati e per i
lavoratori in esubero si prospettano prepensionamenti e trasferimenti. La
Sangemini conta di vendere già da quest'anno 60 milioni di bottiglie contro
i 50 milioni di pezzi venduti negli ultimi tempi puntando soprattutto su
una massiccia campagna pubblicitaria su giornali e televisioni con un
investimento di cinque milioni di euro. 

Più che in altri settori, nel mercato delle acque minerali, pubblicità è
davvero la parola magica. Grazie ad un bombardamento mediatico il
consumatore è indotto a ritenere che acqua minerale in bottiglia significa
bere più sano e così scompare dalle mense degli italiani la brocca d'acqua
di rubinetto, spesso di qualità superiore e con meno controindicazioni di
quella imbottigliata. Un consumismo sfrenato ha raggiunto anche la sostanza
primaria per eccellenza, quella "sorella acqua" senza la quale non si può
vivere. Uno studio di Legambiente diffuso in occasione della Giornata
Mondiale dell'Acqua ha accertato che in Italia si consuma più acqua
minerale che in qualsiasi altro Paese del mondo: circa 170 litri pro capite
l'anno. Il 35 per cento del mercato totale nazionale si consuma al
ristorante. Ma Altroconsumo, che ha condotto una ricerca accurata su 39
marche di acque minerali vendute in Italia si chiede «perché pagare
mediamente 330 volte di più un'acqua che può essere anche peggiore di
quella del rubinetto?». La risposta può essere quella indicata da
Legambiente che parla di «un business dell'acqua minerale che si regge su
una totale carenza di informazione e su una buona dose di pregiudizi». E ne
smonta alcuni. «Non è vero che l'acqua in bottiglia è più salubre perché le
concentrazioni di sostanze tossiche e la frequenza dei controlli sono molto
più precisi e ristrettivi per l'acqua di acquedotto». L'associazione
ambientalista smonta anche l'altro pregiudizio per il quale «l'acqua
minerale ha meno sali di quella del rubinetto». «Ciò è vero - dice
Legambiente - solo per le acque "minimamente mineralizzate", cioé quelle
particolarmente leggere altrimenti tutte le acque di rubinetto sarebbero
caratterizzate come oligominerali (da 50 a 500 milligrammi al litro di
residuo fisso)». 

Bere minerale è un lusso del primo mondo specie se si considera che un
miliardo e mezzo di esseri umani, il 25 per cento della popolazione del
pianeta, non ha accesso all'acqua. E' un business per le multinazionali e
le grandi società che controllano spesso, in barba alla pura concorrenza,
più marchi. 

La Mineracqua, federazione della Confindustria, in riferimento al 2001,
parla di un giro di affari di 2, 84 miliardi di euro. 

Introiti da capogiro per le grandi aziende di imbottigliamento. In Italia
si contano circa 300 marchi per una produzione complessiva di oltre 9
miliardi di litri d'acqua dei quali 500 milioni destinato all'export
soprattutto verso Germania e Francia. Di fronte a fatturati di questa
entità pochi sanno che le le aziende di acque minerali pagano una miseria
per lo sfruttamento delle concessioni minerarie relative. Nel Lazio, dopo
le denunce dell'opposizione, la Regione ha innalzato il canone dovuto per
ogni ettaro di concessione mineraria dalle 60mila a 100mila delle vecchie
lire. Canoni esigui si pagano comunque in tutta Italia. 

In un mercato dove è forte lo strapotere delle aziende per i consumatori
affascinati dalla moda dell'acqua minerale è necessario vigilare. 

«Da rivedere soprattutto i sistemi di etichettatura» spiega Anna Bartolini,
attivista del movimento consumerista già rappresentante italiana nel
Consiglio dei consumatori dell'Unione Europea. «L'Europa ha infatti
adottato di recente nuove normative - aggiunge - soprattutto in merito alle
sostanze ammesse e sui trattamenti prima dell'imbottigliamento e gli Stati
si devono adeguare a tutela dell'utente». La Bartolini si scaglia poi
contro l'acqua cosiddetta "naturizzata" sempre più diffusa nei ristoranti.
«Si vende acqua addizionata a tre euro al litro. I clienti dovrebbero
pretendere che gli si apra la bottiglia sotto il naso». 




 

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