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acqua come merce
- Subject: acqua come merce
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 12 Dec 2002 06:48:05 +0100
il manifesto - 08 Dicembre 2002 Le fonti privatizzate dal neoliberismo Da bene comune a merce. Le multinazionali alla conquista dell'acqua raccontata in due volumi Trenta dollari. Sarà il costo dell'acqua al barile (foto Bozzardi) MAURIZIO GALVANI Trenta dollari al barile (un barile è pari a 159 litri) per pagare non il petrolio bensì l'acqua naturale. Non è un paradosso: è l'ipotesi più probabile qualora l'acqua da bene comune e diritto universale e comune divenga una merce. E' una delle realistiche previsioni presente nel libro Acqua bene comune dell'umanità (Punto Rosso, pp. 320, € 13), nel quale vengono riportate le cifre del controllo che esercitano i privati sulla gestione e sull'erogazione dell'acqua. Dai dati presenti nel volume emerge che - alla fine del 1998 - in Messico, i privati controllano il 30% della distribuzione dell'acqua, mentre in Europa Occidentale si è passati da un controllo da parte delle compagnie private del 10%, a fine del 1988, al 22% nel 1998. Inoltre, in Francia - dove operano le due «sorelle multinazionali», Vivendi Waters e la Suez-Lyonnaise e Saur - l'80% della distribuizione è gestita dai privati, mentre a Berlino, in pochi anni, le tariffe delle bollette si sono addirittura triplicate, quando ad un'azienda pubblica è subentrato un privato. L'acqua scarseggia: e questa è una verità. Ma uno dei primi problemi che salta agli occhi è la diversa distribuzione di questo bene a livello mondiale, come pure il cattivo impiego che viene fatto di questa risorsa scarsa. Gli esseri umani possono infatti sfruttare solamente l'1% del volume di acqua dolce della terra, cioè il 0,007% dell'idrosfera. Tuttavia, solo quattro paesi si dividono il 60% della ricchezza naturale i acqua rinnovabile: il Brasile, la Cina, la Russia, l'India, gli Stati uniti. I luoghi e i paesi dove invece più scarseggia l'acqua sono la striscia di Gaza, la Libia, il Kuwait, Malta e l'emirato del Bahrein. Per controllare questa risorsa - fondamentale per la vita di ogni uomo - si commettono atroci abusi e si scatenano guerre. Israele, ad esempio, da quando ha occupato le terre arabo-palestinesi nel 1948 e, successivamente nel 1967, ha sempre esercitato un controllo militare sulla Valle del Giordano, l'unica fonte di rifornimento per l'intera regione. L'esercito limita l'uso dell'acqua da parte dei palestinesi fino al punto che viene impedito di poter scavare i pozzi nelle campagne. Durante i negoziati che hanno successivamente portato agli accordi di pace siglati a Oslo nel 1993, i palestinesi hanno posto all'ordine del giorno la questione della distribuzione dell'acqua ma il governo di Tel Aviv si è sempre rifiutato di volerne discutere. Nel volume edito da Punto Rosso - che si avvale di differenti collaborazioni - viene pubblicato «il Manifesto dell'acqua» presentato dal comitato promotore per il contratto mondiale dell'acqua, di cui è segretario Riccardo Petrella e del quale fanno parte, tra gli altri, Susan George e il portoghese Mario Soares. Il documento cerca di contrastare il teorema neoliberista in base al quale l'acqua deve diventare una merce come tante altre da vendere al mercato secondo le regole (con la partecipazione delle aziende in borsa, vedi il caso dell'Acea a Roma) della domanda e dell'offerta. La privatizzazione dell'acqua è un processo che ha antiche radici, ma che ha avuto un'accelerazione dopo la costituzione del Wto, l'organizzazione mondiale del commercio che ha stabilito la liberalizzazione dei servizi, cioè della sanità, dell'istruzione, ma anche dell'energia e dell'acqua. Il mutamento di interesse nei -.confronti dei «beni comuni» da parte dei governi e delle multinazionali è chiaro ed è ampiamente documentato nel libro scritto a più mani Non è vero. I dogmi del neoliberismo alla prova dei fatti (pp. 227 € 17,50, edito da Movimenti e cambiamenti, Via Vigevano, 45, Milano; tel. 02 89408454). Gli autori mettono in evidenza, con una documentazione molto aggiornata, gli obiettivi del Wto, del Fmi e della Banca mondiale. Molte cose sono state già realizzate e altre sono in cantiere (ad esempio, sulle proprietà intellettuali) ma possiamo immaginare un futuro dove ogni bene - uno spazio culturale o il bene-acqua - sarà gestito dalle grandi compagnie. L'unica possibilità di ribellarsi a questa situazione sono le lotte locali per riaffermare certi diritti. I due libri raccontano entrambi due episodi di resistenza al neoliberismo. Il primo riguarda la comunità indigena di Cochahamba, in Bolivia. Nel 1999 la popolazione di questa comunità si è sollevata contro il consorzio di imprese, controllato dalla Berchel, che aveva ottenuto la concessione a gestire l'acqua per 40 anni. La gente si è autorganizzata contro l'aumento del 300% delle tariffe ed è riuscita ad annullare il contratto di appalto riconosciuto a queste società. Da un'altra parte del mondo a Kerala, in India, c'è stata la protesta contro la Coca Cola, che aveva deviato la falda acquifera per utilizzarla come materia prima per la fabbricazione della bevanda a bollicine. Anche in questo caso la multinazionale ha dovuto desistere dal suo assurdo progetto.
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