acqua come merce



     
 
il manifesto - 08 Dicembre 2002 
 
 
Le fonti privatizzate dal neoliberismo
Da bene comune a merce. Le multinazionali alla conquista dell'acqua
raccontata in due volumi
Trenta dollari. Sarà il costo dell'acqua al barile (foto Bozzardi)
MAURIZIO GALVANI
Trenta dollari al barile (un barile è pari a 159 litri) per pagare non il
petrolio bensì l'acqua naturale. Non è un paradosso: è l'ipotesi più
probabile qualora l'acqua da bene comune e diritto universale e comune
divenga una merce. E' una delle realistiche previsioni presente nel libro
Acqua bene comune dell'umanità (Punto Rosso, pp. 320, € 13), nel quale
vengono riportate le cifre del controllo che esercitano i privati sulla
gestione e sull'erogazione dell'acqua. Dai dati presenti nel volume emerge
che - alla fine del 1998 - in Messico, i privati controllano il 30% della
distribuzione dell'acqua, mentre in Europa Occidentale si è passati da un
controllo da parte delle compagnie private del 10%, a fine del 1988, al 22%
nel 1998. Inoltre, in Francia - dove operano le due «sorelle
multinazionali», Vivendi Waters e la Suez-Lyonnaise e Saur - l'80% della
distribuizione è gestita dai privati, mentre a Berlino, in pochi anni, le
tariffe delle bollette si sono addirittura triplicate, quando ad un'azienda
pubblica è subentrato un privato.

L'acqua scarseggia: e questa è una verità. Ma uno dei primi problemi che
salta agli occhi è la diversa distribuzione di questo bene a livello
mondiale, come pure il cattivo impiego che viene fatto di questa risorsa
scarsa. Gli esseri umani possono infatti sfruttare solamente l'1% del
volume di acqua dolce della terra, cioè il 0,007% dell'idrosfera. Tuttavia,
solo quattro paesi si dividono il 60% della ricchezza naturale i acqua
rinnovabile: il Brasile, la Cina, la Russia, l'India, gli Stati uniti. I
luoghi e i paesi dove invece più scarseggia l'acqua sono la striscia di
Gaza, la Libia, il Kuwait, Malta e l'emirato del Bahrein.

Per controllare questa risorsa - fondamentale per la vita di ogni uomo - si
commettono atroci abusi e si scatenano guerre. Israele, ad esempio, da
quando ha occupato le terre arabo-palestinesi nel 1948 e, successivamente
nel 1967, ha sempre esercitato un controllo militare sulla Valle del
Giordano, l'unica fonte di rifornimento per l'intera regione. L'esercito
limita l'uso dell'acqua da parte dei palestinesi fino al punto che viene
impedito di poter scavare i pozzi nelle campagne. Durante i negoziati che
hanno successivamente portato agli accordi di pace siglati a Oslo nel 1993,
i palestinesi hanno posto all'ordine del giorno la questione della
distribuzione dell'acqua ma il governo di Tel Aviv si è sempre rifiutato di
volerne discutere.

Nel volume edito da Punto Rosso - che si avvale di differenti
collaborazioni - viene pubblicato «il Manifesto dell'acqua» presentato dal
comitato promotore per il contratto mondiale dell'acqua, di cui è
segretario Riccardo Petrella e del quale fanno parte, tra gli altri, Susan
George e il portoghese Mario Soares. Il documento cerca di contrastare il
teorema neoliberista in base al quale l'acqua deve diventare una merce come
tante altre da vendere al mercato secondo le regole (con la partecipazione
delle aziende in borsa, vedi il caso dell'Acea a Roma) della domanda e
dell'offerta.

La privatizzazione dell'acqua è un processo che ha antiche radici, ma che
ha avuto un'accelerazione dopo la costituzione del Wto, l'organizzazione
mondiale del commercio che ha stabilito la liberalizzazione dei servizi,
cioè della sanità, dell'istruzione, ma anche dell'energia e dell'acqua. Il
mutamento di interesse nei -.confronti dei «beni comuni» da parte dei
governi e delle multinazionali è chiaro ed è ampiamente documentato nel
libro scritto a più mani Non è vero. I dogmi del neoliberismo alla prova
dei fatti (pp. 227 € 17,50, edito da Movimenti e cambiamenti, Via Vigevano,
45, Milano; tel. 02 89408454). Gli autori mettono in evidenza, con una
documentazione molto aggiornata, gli obiettivi del Wto, del Fmi e della
Banca mondiale. Molte cose sono state già realizzate e altre sono in
cantiere (ad esempio, sulle proprietà intellettuali) ma possiamo immaginare
un futuro dove ogni bene - uno spazio culturale o il bene-acqua - sarà
gestito dalle grandi compagnie. L'unica possibilità di ribellarsi a questa
situazione sono le lotte locali per riaffermare certi diritti. I due libri
raccontano entrambi due episodi di resistenza al neoliberismo. Il primo
riguarda la comunità indigena di Cochahamba, in Bolivia. Nel 1999 la
popolazione di questa comunità si è sollevata contro il consorzio di
imprese, controllato dalla Berchel, che aveva ottenuto la concessione a
gestire l'acqua per 40 anni. La gente si è autorganizzata contro l'aumento
del 300% delle tariffe ed è riuscita ad annullare il contratto di appalto
riconosciuto a queste società. Da un'altra parte del mondo a Kerala, in
India, c'è stata la protesta contro la Coca Cola, che aveva deviato la
falda acquifera per utilizzarla come materia prima per la fabbricazione
della bevanda a bollicine. Anche in questo caso la multinazionale ha dovuto
desistere dal suo assurdo progetto.