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la citta' di augusta tra arsenali e terremoti
- Subject: la citta' di augusta tra arsenali e terremoti
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 16 Nov 2002 07:00:36 +0100
il manifesto - 12 Novembre 2002 Viaggio nell'Italia a rischio, dove la politica «di sviluppo» ha fatto disastri (1) Il mostro di Augusta, tra arsenali e terremoti Nella Sicilia orientale la più grande concentrazione di impianti nocivi all'uomo e all'ambiente. Alta mortalità e malformazioni neonatali, in una zona a forte rischio sismico e piena di arsenali, forse anche atomici MASSIMO GIANNETTI INVIATO AD AUGUSTA (Siracusa) L'incubo di Augusta sono tutte quelle ciminiere che ardono in processione appena al di là dal golfo, ai due lati della statale che porta a Siracusa, tra Priolo e Melilli. E' qui l'inferno, in questi dieci chilometri di industrie chimiche e petrolchimiche che da cinquant'anni avvelenano il cielo, il mare e la terra del «triangolo maledetto». Di notte, con tutte quelle luci e torri di fuoco è perfino affascinante. Sembra fantascienza. Ma è di giorno, con la luce del sole, che «il presepe», come lo chiamano da queste parti, mostra la sua faccia feroce. Morti di cancro, nascite di bambini malformati, effetti devastanti verso l'ambiente: nulla è stato risparmiato, neanche la zona archeologica; la colonia greca di Megara Iblea è stata calpestata senza ritegno dalla raffineria di una delle tante multinazionali del petrolio che qui - nella «piccola Milano siciliana» degli anni `70 (per quantità di sportelli bancari e automobili) - hanno sì «portato il pane per migliaia di persone», ma hanno anche impedito qualsiasi altra possibilità di sviluppo economico. La città è malata, seriamente malata, ma la paura di Augusta _ ricostruita di sana pianta dopo il terremoto del 1693, e dove sono ancora visibilissimi i segni del più recente sisma del 1990 _ è anche un'altra. Il dramma, che non fa dormire sonni tranquilli a questa città di trentacinquemila abitanti - più ventimila nelle stesse condizioni a Priolo e Melilli _ è di essere situata in un'area altamente sismica (s11): che la generosità di una classe politica senza scrupoli, per consentire negli anni `50 l'insediamento del «benessere», ha declassato (s9) nelle sue caratteristiche geologiche. Il quadro clinico è già abbastanza disastroso, ma c'è ancora una presenza che inquieta le coscienze più sensibili del popolo terremotato: l'arsenale della Nato, depositato nelle viscere di una collina di Melilli, proprio davanti ad Augusta, nel cui porto fanno base i sommergibili dell'Alleanza, forse dotati di armi atomiche, dispiegati verso il Medio Oriente. Il cocktail insomma è davvero esplosivo. Ne è convinto anche l'ex sindaco di Augusta, Giuseppe Gulino _ costretto recentemente a sospendersi dalla carica dopo una condanna per corruzione _ che però così liquidava il problema il giorno in cui lo abbiamo sentito, prima delle dimissioni forzate: «Sì, è vero, siamo seduti su una bomba ad orologeria, ma non per colpa nostra, noi ci siamo nati sotto questa disgrazia. E in ogni modo, se un giorno dovesse verificarsi, come prevedono gli esperti, il cosiddetto `terremoto di ritorno' di tre secoli fa, noi non moriremo per le sostanze chimiche che si sprigioneranno dalle industrie, ma sarà l'effetto stesso del sisma a ucciderci tutti. Non avremo scampo». Conclusione terrificante, come terrificante è del resto la realtà di Augusta, dove ogni giorno che passa tranquillo è un giorno di grazia. Una realtà segnata con il pennarello rosso da più di dieci anni, da quando, nel 1990, un decreto del ministero dell'ambiente la dichiarava «area ad elevato rischio ambientale». Da allora nulla è cambiato in meglio. Anzi, in assenza di seri controlli sulle emissioni velenose nell'aria e di lavori di bonifica nel territorio, le cose sono via via peggiorate. Il referto che segue è dell'estate scorsa e lo ha stilato la commissione parlamentare «ambiente e territorio» del senato, spinta giù nella polveriera siciliana dai pessimi quanto prevedibili risultati di un'indagine della procura di Siracusa. La quale magistratura, dopo svariate segnalazioni, ha ratificato anche l'inquinamento delle falde idriche. «Purtroppo - si legge nel referto dei senatori - fenomeni quali quelli avvenuti all'interno degli impianti che sono costati la vita ad alcuni lavoratori e, soprattutto, la recente individuazione in un pozzo di irrigazione della presenza di idrocarburi, dimostra come i siti di Priolo e Augusta non siano più un'area a rischio ambientale, ma un'area in crisi ambientale, per cui si rendono indispensabili interventi legislativi e finanziari che consentano di affrontare con tempestività la drammatica emergenza». E' un po' come la scoperta dell'acqua calda, fanno giustamente notare le associazioni ambientaliste, giacché questa «drammatica emergenza» gli abitanti del triangolo a rischio la subiscono da un bel pezzo. I più la maledicono, ma in silenzio, perché nonostante i guai, nonostante il «petrolchimico non sia più la Fiat degli anni Settanta», quando dava lavoro a più di ventimila persone, buona parte di loro è ancora vittima del ricatto occupazionale. Non tutti però ingoiano rassegnati l'enorme quantità di veleno - sono circa sei tonnellate le emissioni di smog che le industrie depositano quotidianamente nell'aria - che sono costretti a respirare. Don Palmiro Prisutto, parroco a Brucoli (frazione di Augusta), è tra questi. Autore in passato di un libro-dossier (Il terremoto di silenzi) in cui denunciava, tra l'altro, le «omissioni istituzionali» sul sisma che colpì la città nel 1990, conduce da anni una durissima battaglia contro «la logica del profitto che ha messo in ultimo piano il diritto alla vita» degli abitanti. «Qui - accusa - in tutti questi anni sono stati tutelati soltanto gli interessi economici delle industrie, a scapito della difesa del valore umano. E se questa è stata l'etica che ha guidato lo sviluppo di Augusta, cos'altro dovevamo aspettarci se non questa realtà? Avevamo un mare bellissimo, chilometri e chilometri di spiaggia invidiata da tutti - tutto questo oggi non esiste più. Ma la privazione del mare - aggiunge il parroco - è solo una delle tante violenze, e purtroppo neanche la più grave, inferte a un popolo che deve a lui la sua storia. Se guardiamo gli effetti prodotti dalle industrie sulla salute, c'è da mettersi le mani nei capelli». I dati sulle malattie riscontrate tra la popolazione, resi noti all'inizio di quest'anno dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), fanno effettivamente paura. Dicono infatti che ad Augusta il tasso di mortalità per tumori è di circa il 30%. Percentuale che a Priolo sale addirittura al 33%. E' una strage che si consuma lentamente negli anni, ma c'è un'altra epidemia, molto meno subdola, che dagli anni `80 in qua attribuisce ad Augusta e dintorni un altro triste primato: quello delle nascite di bambini malformati. Nell'ultimo decennio la percentuale è stata sempre in crescendo. Il picco più alto, sempre in base ai dati dell'Oms, si è avuto nel 2000 ed è stato del 5,6%, il quadruplo della media nazionale. Le malformazioni congenite maggiormente riscontrate sono alla colonna vertebrale, al cuore, agli organi genitali e al cervello. L'altr'anno la percentuale è stata del 3,8%, quindi in diminuzione, ma in ogni caso altissima rispetto alla soglia di allarme fissata al 2% dalla stessa Oms. Cento miliardi di vecchie lire fu lo stanziamento del governo assegnato dieci anni fa alla regione siciliana per avviare le bonifiche del territorio. Poco, pochissimo, rispetto agli oltre mille miliardi previsti dal successivo piano regionale di risanamento ambientale del 1995. Questo chiama in causa più o meno tutte le grandi società presenti nell'area industriale. Dalle cinque raffinerie (Esso, Agip, Enichem, Condea e Isab-Erg) al petrolchimico Sasol, dall'impianto di gassificazione e cogenerazione Isab Energy alle due centrali Enel, dalla fabbrica di magnesite Sardamag alla Cementeria Augusta. Il piano di bonifica, ormai da aggiornare, è finora rimasto lettera morta, ma l'inerzia istituzionale è su tutti i fronti. L'assenza strutture di emergenza, nonché la mancanza di informazioni alla popolazione sui comportamenti da adottare in caso di incidenti, sono l'altra inquietante faccia del caso augustano. Le ferite del terremoti del 19 dicembre del `90 (fu del settimo grado della scala Mercalli) non sono state ancora completamente rimarginate. Case, chiese e scuole gravemente lesionate ancora oggi aspettano di essere ristrutturate. L'esempio forse più emblematico è l'Istituto tecnico industriale di corso Sicilia, i cui laboratori sono tuttora inagibili. Nella periferia ci sono ancora decine di roulottes in cui vivono gli sfollati di allora. Il duomo, nel centro storico, è puntellato da enormi travi di ferro. Terremotato, in tutti i sensi, dopo le recenti dimissioni forzate del sindaco, è anche l'adiacente casa comunale. Feudo della Dc per cinquant'anni, la città è ora amministrata da una giunta monocolore targata Democrazia europea, il partito fondato in Sicilia dell'ex sindacalista della Cisl, Sergio D'Antoni. In mancanza del primo cittadino, le sorti di Augusta sono rette dal vicesindaco Danilio Circo. Il quale, di fronte a questo disastro, dice che «il nostro problema non sono i soldi, ma l'impossibilità di spenderli. Abbiamo assegnati cento miliardi per il risanamento ambientale e altri sessanta per il dopo terremoto, ma noi - sostiene - non abbiamo voce in capitolo, non riusciamo a spenderli perché la regione non firma i relativi decreti». Quanto alle strutture di emergenza inesistenti, l'amministratore allarga le braccia: «Con i pochi mezzi economici che abbiamo non possiamo permetterci di tenere in pianta stabile una sezione della protezione civile». E, infatti, quella che c'è esiste solo sui segnali stradali: ci lavorano appena due persone. E un piano di evacuazione, esiste? Sempre al comune dicono che «dovrebbe avercelo la prefettura di Siracusa», ma in città nessuno lo ha mai sperimentato sul campo. Nel porto il via vai di petroliere che si contendono il golfo con le navi militari è continuo. Vengono soprattutto dal Medio Oriente e forniscono alle cinque mega raffinerie dell'area (producono il 30 per cento della benzina consumata in Italia) la bellezza di venti milioni di tonnellate di greggio l'anno. 170 mila tonnellate sono invece i rifiuti che escono annualmente dal polo industriale. 1.300 tonnellate di questi sono classificati come «pericolosi». Non essendoci «adeguati sistemi di smaltimento», è facile intuire dove finiscano. Le industrie, avendo avuto carta bianca, hanno fatto terra bruciata intorno a sè. Negli anni Settanta hanno perfino sfrattato un paese, Melilli, novemila abitanti, deportato con la forza in un altro luogo. E' l'unico caso al mondo in cui gli abitanti, e non il contrario, sono stati ritenuti incompatibili con le industrie. Queste hanno inglobato nell'inferno anche la linea ferroviaria. La stazione di Priolo è accerchiata dalle ciminiere del polo industriale. Lungo la costa, disseminata di rifiuti speciali, è pieno di divieti e di cartelli di pericolo. C'è di tutto a ridosso del mare interdetto. Poi ci sono le cosiddette «fabbriche letali», come la Eternit, che produceva amianto e che non è stata mai rimossa da quando fu chiusa per legge (A Siracusa è da anni in corso un processo per la morte di 17 operai uccisi dall'asbestosi) e ci sono gli enormi silos di stoccaggio dell'ammoniaca, sostanza che l'Enichem fa arrivare dalla Russia e poi trasferisce, su ferrocisterna, nel petrolchimico di Gela. Per la dislocazione di questa «bomba ecologica» più di dieci anni fa l'allora ministro dell'ambiente Giorgio Ruffolo fece un decreto, ma i contenitori del colosso chimico italiano stanno ancora lì, incustoditi, proprio vicino al porto militare. E sta ancora al suo posto l'antiquato e pericolosissimo impianto di cloro-soda, sempre dell'Enichem, dove il mercurio, usato in grande quantità nel ciclo produttivo, minaccia la vita dei lavoratori, molti dei quali avrebbero subito gravi malattie. «Quello che vediamo è il frutto di un industrialismo selvaggio, senza regole - dice Pippo Zappulla, segretario provinciale della Cgil di Siracusa - Negli ultimi dieci anni, anche grazie alle proteste degli ambientalisti, le società hanno sicuramente migliorato la qualità degli impianti, ma da qui a dire che il problema della sicurezza dei lavoratori sia stato risolto ne passa. La dimostrazione tragica l'abbiamo avuta appena due anni fa, con una lunga serie di incidenti, molti dei quali mortali». Fu chiamato l'«anno terribile del petrolchimico»: otto furono gli operai uccisi dalle esalazioni chimiche.
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