[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
la cina in transizione
- Subject: la cina in transizione
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 11 Nov 2002 06:43:31 +0100
dal sole24ore Mercoledì 06 Novembre 2002 Sotto la Muraglia i dubbi della transizione di Luca Vinciguerra La Cina volta pagina. Entro pochi giorni, il Paese avrà una nuova nomenklatura di giovani uomini politici che dovrebbe guidarlo per i prossimi dieci anni. Venerdì infatti inizierà il 16° Congresso del Partito Comunista Cinese. Salvo colpi di scena, le cose dovrebbero andare secondo il copione scritto ormai da tempo. Avendo entrambi superato i 70 anni, il presidente Jiang Zemin, il premier Zhu Rongji, e il presidente dell'Assemblea del Popolo (il Parlamento) Li Peng dovrebbero passare il testimone alla cosiddetta "quarta generazione", cioè a quella schiera di funzionari sessantenni cresciuti politicamente durante la Rivoluzione Culturale maoista. Ma al di là dei dubbi sul ritiro effettivo dei vecchi dirigenti, i giochi sembrano fatti. Hu Jintao, l'attuale vicepresidente, dovrebbe assumere la carica di presidente della Repubblica Popolare Cinese e di segretario generale del Pcc. Wen Jiabao, ora vice-premier, dovrebbe diventare premier. Non è ancora chiaro, invece, chi sarà nominato a capo della Commissione Militare: secondo alcune indiscrezioni, nonostante l'opposizione di diverse componenti del Partito, Jiang potrebbe conservare il comando di fatto delle forze armate. Zeng Qinghong, l'uomo di fiducia di Jiang fin dai tempi in cui quest'ultimo era sindaco di Shanghai, avrà un ruolo chiave nel nuovo Politburo con buone probabilità di essere il futuro vicepresidente. Nel segno della continuità. Un fatto, comunque, è certo: anche se la prossima primavera dovesse abbandonare tutte le cariche, Jiang Zemin continuerà a giocare un ruolo centrale nella vita politica cinese. Alla stregua di Deng Xiaoping, sarà una specie di «Imperatore dietro la cortina», il vecchio saggio che tira le fila del potere, che fa da arbitro tra le lotte intestine in seno al Partito, che dirime le controversie. Così facendo, Jiang dovrebbe rendere più fluida la transizione generazionale, consentendo al nuovo gruppo dirigente di crescere e di prendere gradualmente confidenza con la complessa macchina di potere che muove la vita quotidiana della Cina. L'avvento di una nuova leadership, composta da burocrati di partito dal profilo incerto e sconosciuto, apre ovviamente un orizzonte di incertezza sul destino del Paese più grande del pianeta. Dopo il Congresso, la Cina continuerà senza scosse il suo cammino sulla strada delle riforme economiche intrapresa vent'anni fa da Deng Xiaoping e proseguita brillantemente da Jiang Zemin? s'interroga oggi il mondo occidentale, e in particolare coloro che hanno investito di tasca propria in Cina. Un Paese che alla fine del 2002 diventerà la principale destinazione planetaria degli investimenti stranieri (circa 50 miliardi di dollari), superando così gli Stati Uniti. Crescita economica. L'America è in recessione, l'Europa in profonda crisi d'identità, il Giappone in decadenza. Stando così le cose, oggi gran parte delle speranze della crescita economica mondiale sono appuntate sulla Cina. «Se s'inceppa anche questo mercato, sono davvero guai», è il refrain degli imprenditori stranieri che si spingono verso il Celeste Impero a caccia di affari. Ciò spiega perché, mai come questa volta, la vigilia di un Congresso del Pcc sia stata seguita con tanto interesse e apprensione anche fuori dai confini del continente asiatico. Le contraddizioni della nuova Cina. Il tandem Jiang Zemin-Zhu Rongji ha saputo gestire con saggezza e abilità la pesante eredità del dopo-Deng. In dieci anni, la Cina ha registrato una crescita economica come mai nella sua storia. Ha liberalizzato il proprio sistema produttivo lasciando sempre più spazio all'iniziativa privata. Si è aperta agli scambi con l'estero grazie all'ingresso nella Wto. Ha conquistato un ruolo di prestigio, come non aveva più da secoli, tra i grandi del mondo. Ma paradossalmente, proprio ora che la barca cinese ha preso il largo vincendo l'insidiosa corrente contraria, inizia la parte più difficile del traghettamento. Avviate le riforme, infatti, ora non si tratterà solo di implementarle e di vararne di nuove. Bisognerà anche fare i conti con l'impatto dei grandi cambiamenti economici e sociali che hanno attraversato la Cina dagli anni '90 in poi. E che l'hanno trasformata in una specie di centauro: per metà una dittatura comunista, per l'altra metà un'economia a capitalismo spinto (ma guai a nominare questa parola…) dove la componente privata sta assumendo progressivamente un ruolo sempre più importante. Il risultato di questo strano cocktail è una nazione che dentro i suoi immensi confini concentra il più elevato livello di diseguaglianza del mondo. Non c'è Paese sul pianeta dove il ricco sia tanto ricco, e il povero sia tanto povero. Le condizioni di vita della gran parte delle campagne cinesi non sono poi molto distanti da quelle dei villaggi africani. I rischi della liberalizzazione. La ristrutturazione delle aziende di Stato ingrosserà l'esercito dei disoccupati. L'esodo delle campagne, favorito dall'allentamento dei controlli necessario per consentire la mobilità di forza lavoro a basso costo, aumenterà il numero dei diseredati nelle grandi città. L'apertura agli scambi internazionali metterà in fuorigioco diversi settori dell'industria domestica. Ecco perché la nuova classe dirigente avrà le medesime priorità politiche di quella che l'ha preceduta: crescere, crescere e ancora crescere. Solo un'espansione economica robusta, sostenuta e sostenibile potrà infatti mettere la Cina di domani al riparo dal rischio instabilità. Un rischio che nell'ultimo biennio è già affiorato qua e là sotto forma di proteste e tumulti di piazza, come accaduto la scorsa primavera nella città di Liaoyang. Gestire l'incertezza. I numeri relativi alla crescita del prodotto interno lordo forniti da Pechino non corrispondono alla realtà. Gli analisti stranieri lo vanno dicendo da tempo: un recente rapporto interno e confidenziale di una banca d'affari americana, per esempio, sostiene che il tasso di sviluppo annuo cinese si aggira intorno al 3,5-4 per cento, cioè circa la metà di quello ufficiale. Ciò premesso, il quadro macroeconomico odierno presenta diverse fattori di inquietudine. I consumi domestici, principale motore della domanda aggregata, negli ultimi mesi hanno frenato la corsa. La deflazione ha iniziato a mordere. Dopo anni di crescita selvaggia, il mercato immobiliare è entrato in una fase riflessiva, e molti temono che stia viaggiando dentro una pericolosa bolla speculativa. Le banche presto o tardi saranno costrette a liquidare una montagna di sofferenze: circa il 20% degli impieghi, secondo le fonti ufficiali; oltre il 45% dice Moody's Investors Service. La disoccupazione continua ad aumentare, anche perché il sistema riesce ad assorbire sempre meno la manodopera espulsa dalle aziende di Stato costrette a chiudere i battenti. La "quarta generazione" che si accinge a salire al potere dovrà affrontare simultaneamente tutti questi problemi in modo da prevenire qualsiasi trauma all'espansione economica. Lo strumento più efficace, che finora è stata utilizzato a piene mani da Pechino, è stato quello della spesa pubblica. La modernizzazione del Paese ha bisogno come il pane di nuove infrastrutture. Il Governo è ben contento di costruirle perché una politica fiscale espansiva stimola la domanda interna. Che fare, dunque, per eternare il miracolo cinese? è questa la domanda chiave cui dovranno rispondere gli uomini nuovi che emergeranno dal conclave del Partito Comunista.
- Prev by Date: tutti i segreti sull'art.18
- Next by Date: dopo Firenze/attività - Dalla Carta del Nuovo Municipio alle politiche e alle realizzazioni concrete
- Previous by thread: tutti i segreti sull'art.18
- Next by thread: dopo Firenze/attività - Dalla Carta del Nuovo Municipio alle politiche e alle realizzazioni concrete
- Indice: