tutti i segreti sull'art.18



dal sole24ore

   

    
 
                                  
 
Venerdì 08 Novembre 2002 
 
 
 Tutti i segreti delle trattative sull'art. 18
  
   di Bruno Vespa Pezzotta e Angeletti fecero sapere al Governo che una
convocazione formale sarebbe stata inutile se preventivamente non si fosse
arrivati a un accordo. La prima, indispensabile intesa fu trovata in una
riunione riservatissima che ebbe luogo - come tutte le successive - in un
appartamento "coperto" del Governo nelle immediate vicinanze della via
Nomentana. Una sera di fine maggio si incontrarono Letta, Maroni, Sacconi,
Pezzotta, Angeletti, D'Amato, Guidi e Parisi. Si giunse a una soluzione
tecnica "all'italiana", che accontentava tutti e non smentiva nessuno, e
che è molto difficile da spiegare a chi non è addetto ai lavori (a
cominciare da chi scrive). Si concordò, in sostanza, che in un incontro
unitario con le parti sociali a palazzo Chigi Berlusconi avrebbe diviso a
metà la delega presentata in Parlamento. Avrebbe chiesto la corsia
preferenziale per la prima parte, che investiva tutta la vera riforma del
mercato del lavoro, mentre avrebbe collocato nella seconda la riforma
dell'articolo 18 e i conseguenti "ammortizzatori sociali", che avrebbero
costituito una maggiore protezione per il lavoratore temporaneamente
disoccupato. Questa seconda corsia sarebbe stata rallentata. Dal punto di
vista tecnico, l'articolo 18 veniva stralciato dal provvedimento (di qui la
soddisfazione del sindacato), ma non veniva tolto dal pacchetto presentato
in Parlamento (di qui la soddisfazione del Governo). La rottura tra i
sindacati. A fine maggio avvenne la rottura vera e definitiva fra la Cgil e
gli altri due sindacati confederali. Cofferati scrisse una lettera a
Pezzotta e Angeletti chiedendo un incontro per concordare nuove iniziative
di lotta. I segretari di Cisl e Uil rimasero male per averne avuto notizia
dalle agenzie di stampa prima che dal mittente. Intanto arrivò la
convocazione del Governo. Epifani telefonò ad Angeletti: «Se si riapre una
trattativa, siamo pronti a discutere su ogni cosa tranne che sull'articolo
18». «Vi capisco - rispose Angeletti -. Ma se davvero siete disposti a
esaminare tutto il resto, vedrete che le differenze risulteranno
accettabili». Contemporaneamente, ai segretari di Cisl e Uil arrivarono
telefonate da Democratici di sinistra e Margherita. «Dicemmo che saremmo
andati alla trattativa, avremmo chiesto lo stralcio dell'articolo 18, ma
poi avremmo accettato di discutere anche su questo» racconta Angeletti. «Ci
risposero che capivano e ci raccomandavano di restare uniti». La trattativa
riprese formalmente il pomeriggio del 31 maggio, subito dopo che il
governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio ebbe concluso la sua
relazione annuale. Erano presenti nella Sala Verde di palazzo Chigi i
rappresentanti di 37 organizzazioni di lavoratori e datori di lavoro. Tutto
andò secondo copione. Cofferati disse che non avrebbe accettato discussioni
sull'articolo 18. Berlusconi lesse il documento concordato in via
Nomentana, che stabiliva il percorso da seguire nelle trattative tecniche.
Cofferati finse di meravigliarsi: «Come avete fatto a preparare tanto in
fretta un testo così congegnato?». In realtà sapeva che non ci si siede a
un tavolo di quel genere dopo mesi di trattative se bisogna ricominciare
tutto daccapo. Uno stralcio tecnico. Angeletti gli spiegò che non c'era
nessuna trappola: tecnicamente il sindacato aveva ottenuto lo stralcio
dell'articolo 18 e il presidente del Consiglio sarebbe andato in Senato per
rispettare l'impegno. Certo, politicamente, la lettura poteva essere
diversa. La Cgil non si presentò mai alla trattativa sull'articolo 18 e gli
ammortizzatori sociali, andò a quella sul fisco con un atteggiamento
fortemente contestativo, mentre partecipò in modo attivo a quella sul
Mezzogiorno. La trattativa sulla riforma dell'articolo 18 fu ovviamente la
più dura. Tutti sapevano di dover cedere qualcosa. Ma che cosa? Pezzotta e
Angeletti dissero che non erano disposti a privare di garanzie i lavoratori
a termine che fossero stati assunti a tempo indeterminato, l'ipotesi che
interessava maggiormente Confindustria. Vedevano il rischio che le aziende
potessero assumere tutti i lavoratori a termine per poi stipulare un
contratto di lavoro senza le tutele previste dall'articolo 18. I sindacati
dichiararono di potere accettare una sola riforma delle tre proposte: si
scegliesse, quindi, fra l'eliminazione dell'articolo 18 per i lavoratori
che sarebbero emersi dal "nero" o per quelli assunti da imprese con meno di
15 dipendenti. Confindustria insistette per l'eliminazione delle garanzie
per i lavoratori a termine assunti a tempo indeterminato, dicendosi
disponibile a rinunciare alle altre due ipotesi. Per due volte, negli
incontri segreti sulla Nomentana, Pezzotta e Angeletti se ne andarono, per
due volte tornarono e, alla fine, fu trovato l'accordo: l'articolo 18
sarebbe stato sospeso, in via sperimentale e per un periodo di tre anni,
per le aziende che, assumendo, avessero superato i 15 dipendenti. Gli
ammortizzatori sociali. Un'altra rottura ci fu sul finanziamento degli
ammortizzatori sociali. I sindacati avevano raggiunto con Maroni un accordo
tecnico su 700 milioni di euro all'anno. Ma i soldi erano nel portafoglio
di Tremonti e, quando il ministro del Tesoro entrò nella stanza, disse che
non ne avrebbe scuciti più di 300. Pezzotta sorrise, sentendosi liberato da
un'incubo. Poteva rompere su un tema inattaccabile. «Non abbiamo più niente
da dirci» concluse soavemente e, con Angeletti, infilò la porta
dell'appartamento della Nomentana fresco di restauro. Gianni Letta scattò
dalla sedia e andò a racciuffarli sulle scale. Quando tutti furono
nuovamente seduti, il sottosegretario alla Presidenza andò a telefonare a
Berlusconi: «Abbiamo chiuso l'accordo». Quando tornò Tremonti gli chiese.
«Gli hai detto dei 700 milioni?». E Letta angelico: «No». Voleva chiudere
davvero. Si arrivò così alla mattina del 5 luglio. Angeletti provò a
forzare di nuovo, ma stavolta dovette cedere, raccattando peraltro 500
milioni di euro in più dei 5 miliardi già promessi da Tremonti per gli
sgravi fiscali ai redditi più bassi. Alla fine tutti potevano essere
soddisfatti. Il via alla flessibilità. Confindustria aveva ottenuto che
fosse scalfito il tabù dell'articolo 18, ma soprattutto che, attraverso
un'infinità di clausole apparentemente minori, per la prima volta in Italia
fosse avviato un vero processo di flessibilità nei rapporti di lavoro.
Pezzotta e Angeletti avevano concluso uno scambio assai vantaggioso: a
fronte di una sola modifica, sulle tre proposte, dell'articolo 18, i
sindacati incassavano netti miglioramenti negli ammortizzatori sociali e la
garanzia che, dal 2003, l'aliquota fiscale per i redditi annui inferiori ai
50 milioni lordi di vecchie lire sarebbe stata ridotta al 23 per cento. «Il
vantaggio economico per la quasi totalità dei nostri iscritti - mi dicono
Angeletti e Pezzotta - equivale al rinnovo di un contratto di lavoro»