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computer e vuoto politico
- Subject: computer e vuoto politico
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 09 Nov 2002 06:41:09 +0100
il manifesto - 27 Ottobre 2002 Computer e vuoto politico L'innovazione segna il passo in molti settori hi tech, mentre magari galoppa in settori «tradizionalissimi» come la cultura alimentare. Colpa anche di una sfera politica che pretende di cavalcare il consenso e la curiosità inttorno alle nuove tecnologie, senza neppure provare a capirne le reali implicazioni sistemiche. Il caso del «piano stanco» del ministro Stanca FRANCO CARLINI Due saloni in contemporanea, in questo fine settimana: a Torino il Salone del Gusto, a Milano lo Smau, dedicato alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Ma dove tra i due si incontra più cultura e più innovazione? Senza dubbio a Torino. Per merito dell'associazione Slow Food, senza dubbio, che valorizza la sostenibilità, le civiltà e le persone che stanno dietro i manicaretti, i vini e i prodotti. Ma anche perché informatica e telecomunicazioni in qualche modo appaiono un settore maturo: la tecnologia continua a zampillare, per carità, specialmente nel mondo del senza fili, e i visitatori dello Smau sono tanti e giovani come tutti gli anni (anche i bagarini se è per questo), ma il piano del ministro dell'innovazione Stanca è stato vistosamente ridimensionato dal ministro Tremonti e dunque ha cambiato genere, diventando un «piano stanco», come ha detto venerdì uno dei massimi esperti del settore, Franco Morganti. E il sottosegretario Giancarlo Innocenzi, senza dubbio più competente del suo superiore Gasparri, lo ha dovuto ammettere, dicendo che con Tremonti c'è una trattativa in corso; per adesso resta un risibile incentivo di 75 euro ai consumatori per favorire la diffusione della Banda Larga e la sperimentazione delle tecnologie Wi-Fi in 50 scuole. Da Bruxelles è arrivato comunque un messaggio che dice: «nonostante il momento difficile non c'è da disperare perché chi è protagonista del futuro non può certo spaventarsi per le nubi del presente. Cordialmente, Silvio Berlusconi». Briciole di propaganda. Ciò nonostante si sono letti titoli entusiasti ed esagerati che simulano una ripresa e un entusiasmo che non ci sono nell'economia in generale e in quella delle tecnologie elettroniche in particolare. All'osservatore esterno tuttavia, ma anche ai protagonisti dell'industria e ai consumatori, qualche volta farebbe piacere poter tornare a casa con dei punti di vista realistici e ben calibrati, non viziati da un eccesso di sentimenti (ottimistici o pessimistici che siano). Sembra tuttavia che non sia possibile e molta della colpa è anche di noi mediatori dell'informazione che da 20 anni a questa parte continuiamo imperterriti a sfornare le stesse insulse pagine sulla casa tutta elettronica del futuro, per dirne una. Aiutiamo l'economia digitale in questa maniera? La coscienza dei consumatori? Le imprese del ramo? Se ne può dubitare e forse bisognerebbe dismettere questi toni, sia nei resoconti che nei supplementi redazionali (quei contenitori fatti appositamente per raccogliere la pubblicità settoriale). Chi l'ha detto che i lettori hanno bisogno di meraviglie e non di argomenti razionalmente fondati? Restiamo ad esempio sul tema della casa elettronica, dove le porte si aprono da sole riconoscendo la voce del padrone, le tende si abbassano al mutar del sole e il frigorifero legge le etichette del burro, segnala quando sta per scadere e ordina la nuova confezione al supermercato online. Qualcuno degli inventori di questi attrezzi pensa realisticamente che essi siano (a) utili (b) vendibili in volumi significativi? Probabilmente nessuno. Un giornale assai conservatore come il Wall Street Journal tre giorni fa ironizzava spietatamente sull'ultimo modello di questa generazione di mostri, un gigante coreano chiamato LG Internet Refrigerator, venduto dalla coreana LG Electronics al prezzo di 8 mila dollari: ha un volume di 736 litri, uno monitor piatto da 15 pollici e un collegamento Internet incorporato, oltre che il sistema operativo Windows, processori e memorie. Grazie a tanta abbondanza può funzionare come un riproduttore musicale, un'agenda elettronica, un calendario e altre incredibili funzioni. Potete ammirarlo all'indirizzo Internet http://www.lgappliances.com/. Insomma la New Economy c'è stata e ha prodotto molto di utile, mica solo delle follie e delle truffe in borsa. Anzi quella follia già un po' ci manca perché il suo effetto migliore è stato di costringere a cambiare tutti quelli che si cullavano nei loro mercati protetti, che fossero banche o agenti immobiliari. Il venire meno di quella spinta oggi fa sì che molti (troppi) si illudano che non è successo niente e che si torna al «business as usual» (al vecchio e caro lavoro di sempre, con i rapporti di forza di sempre). E' per questo che il titolo in inglese di questo Smau 2002, «Back to business» era sbagliato e ambiguo. Del resto lo stesso presidente di Smau, Antonio Emmanueli, scrive cose abbastanza diverse e più sensate. Per esempio che il futuro si costruisce guardando sia «agli errori che alle cose buone del passato», ma sapendo, per l'intanto, che «la ripresa non è proprio dietro l'angolo». E il rapporto Eito sullo stato europeo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, presentato da Bruno Lamborghini, sempre allo Smau, ha offerto analisi lucide, né drammatiche né esaltate. Un sano atteggiamento realistico dovrebbe prendere atto comunque del fatto che l'Internet e l'economia digitale sono ormai quotidianamente in mezzo a noi - e per restarci - ma che, al tempo stesso, alcune di queste attività, servizi e prodotti sono già divenuti «banali» e perciò hanno un valore aggiunto inevitabilmente basso. E' il «solito» ciclo di creazione e distruzione, tipico dell'innovazione e già studiato dal vecchio Schumpeter. Il che non significa affatto che non cambi nulla: basta avere un po' di memoria episodica e guardarsi attorno nella vita di tutti i giorni, per accorgersi che l'applicazione meno multimediale di tutte, ovvero la posta elettronica, è quella che ha maggiormente cambiato le relazioni tra le persone, il modo di lavorare e un mucchio di altre cose. Così come fecero a suo tempo le macchinette da facsimile oggi divenute oggetto da antiquariato che solo pochi sciagurati retrogradi ancora acquistano. In altre parole le applicazioni vincenti (in inglese trucido le «killer applications») si confermano essere solo quelle utili e insieme gradevoli. Nel caso dell'Internet la gradevolezza consiste nel principale piacere che gli umani sperimentano, quello di essere in relazione (anche frivola) con i propri simili. La seconda avvertenza per è questa: la nostra giornata è fatta di 24 ore di cui 8 sarebbe bene dedicarle al sonno. Altrettante andranno in lavoro (più o meno piacevole o disgustoso) e le restanti otto restano per la vita di relazione e per l'alimentazione. Dunque alla sera una persona normale deve scegliere se andare al biliardo, andare al cinema o a teatro, giocare con i figli, fare altri figli o attività collegate, leggere un libro, navigare in rete, stare in silenzio e pensare ai fatti propri, costruire modellini di velieri eccetera. Perciò tutti quelli che, a Milano come a Las Vegas, ci vogliono vendere nuovi gadget multimediali per l'intrattenimento si scontrano con l'unica risorsa limitata che sembra impossibile modificare, il tempo appunto. E chi sogna di piazzare al teleabbonato medio più di un film scaricato dalla rete a pagamento alla settimana, sbaglia tutti i conti e i famosi business plan. Su errori del genere si è gonfiata la bolla, fino a esplodere per interna inconsistenza. Terza considerazione, di ritorno dallo Smau 2002: dentro tutto questo c'è spazio e luogo per la politica e le politiche. Ma anche per molti inquinamenti. Se oggi tante aziende di consulenza, di software e di web inneggiano ai meravigliosi servizi ai cittadini che sarà possibile fornire grazie all'e-government (abbreviato in «e-gov») è soprattutto perché non riescono più a vendere ai consumatori né alle aziende. E il vecchio stato appare loro come la mamma che potrà risanare i loro bilanci acquistando altri computer e software. Tutto lecito, per carità, tanto più che di una pubblica amministrazione più efficiente si sente un grande bisogno. Ci sono dei «ma» tuttavia, che non andranno dimenticati: il primo è che serve un progetto sociale per il rapporto tra cittadini e amministrazioni e che la tecnologia semmai seguirà, come l'intendenza segue gli eserciti. Questo progetto latita e le ovvietà che si leggono negli studi delle grandi case di consulenza denotano un livello di approssimazione preoccupante. L'altra grande (e illusoria) speranza si chiama e-learning, apprendimento per via elettronica, che si tratti di Cd Rom o di Internet. Fra tutte questa già si delinea come la più illusoria e sprecona. Corsi online ben organizzati e meglio gestiti hanno un costo enorme, che non ripaga le spese. Perciò sono pochissimi e per il resto si tratta di dispense distribuite via rete, con la posta elettronica che sostituisce il dialogo faccia a faccia tra docente e discente. Può funzionare al massimo per distribuire informazioni aggiornate agli agenti di vendita, ma non certo per formare i leggendari lavoratori della conoscenza. Quanto tempo dovrà passare prima che si comincino a trarre doverosi bilanci di questa proposta, vecchia ormai di trent'anni e periodicamente riproposta con la stessa tenacia con cui ogni anno qualcuno annuncia di avere finalmente creato un rivoluzionario robot intelligente? Sono domande senza risposta soddisfacente, ma tutto fuorché sconsolate. Anzi assai fiduciose dato che senza la gentile collaborazione dell'Internet, gli incontri di Rio, Seattle, Genova e domani di Firenze, non avrebbero messo in circolazione tante idee e non avrebbero cambiato - come invece hanno fatto - la famosa Agenda dei G8, del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Non c'entra con i Saloni? E invece sì, dato che negli anni `80 il personal computer, ieri l'Internet, e oggi le connessioni P2P e il Wi-Fi sono stati immaginati e realizzati da ingenui «utopisti» antipolitici, come li chiamerebbero D'Alema e Rutelli, ormai evidentemente troppo vecchi per capire il nuovo, altro che riformisti. Eppure Massimo D'Alema aveva chiamato un grande esperto a Palazzo Chigi perché gli spiegasse tutto dell'Internet; la qual cosa avvenne, con tanti bei grafici colorati, ma evidentemente senza troppa utilità se il premier di allora alla fine si fece l'idea che Colaninno era un bravo capitano coraggioso anziché il solito finanziere da scatole cinesi.
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