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il panda - cina - si mangia le anitre - asia -
- Subject: il panda - cina - si mangia le anitre - asia -
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 11 Sep 2002 06:45:08 +0200
il manifesto - 01 Settembre 2002 Il panda si mangia le anatre ANGELA PASCUCCI Il panda si mangia le anatre Più di metà dei lettori Dvd venduti nel mondo si produce in Cina, ormai in testa anche in molte altre produzioni ad alta tecnologia, mentre mantiene una competitività assoluta nella fascia bassa della manifattura. Sempre più a rischio il «volo delle anatre», il modello asiatico di sviluppo. Il fenomeno visto, e illustrato, da uno studio della giapponese Nihon Keizai Shimbun Inc. ANGELA PASCUCCI Il dragone cinese piglia-tutto ingoia e cresce. I dati compilati dalla Nihon Keizai Shimbun Inc. e riportati con giapponese freddezza nei grafici che riproduciamo (tratti dall'ultimo Nikkei Weekly) descrivono un fenomeno che sta cambiando le modalità della crescita asiatica e ridisegnando la divisione del lavoro nell'area in modo così radicale e tumultuoso da rendere ancora difficile l'elaborazione di un modello che ordini la lettura della realtà presente e i suoi sviluppi futuri. Quello che tuttavia si può dire con certezza è che il precedente modello di crescita dell'area si è inceppato. Nel senso che, per usare un'immagine efficace inventata dagli esperti, il grosso panda cinese ha interrotto bruscamente il regolare volo delle anatre che, in fila dietro al Giappone, un tempo si trasmettevano via via gli stadi di produzione e di sviluppo, dalla manifattura all'hi tech, trovando ognuna di che vivere e crescere al proprio livello. Ma l'economia cinese, dalle abnormi dimensioni, ormai inghiotte tutto e mentre mantiene una competitività assoluta nella fascia bassa della manifattura (con salari medi di 60 centesimi di dollaro l'ora), espande rapidamente la sua presenza nella tecnologia medio-alta. Il Nihon Shimbun rileva infatti come, su 16 prodotti presi in esame nella sua indagine, ormai la Cina abbia il primato della produzione in otto e la rapidità della sua crescita la spinga sempre più avanti anche negli altri. Nel 2002 il 54,1% dei lettori Dvd commercializzati nel mondo sono «made in China», il triplo rispetto al 1999, quando la percentuale era del 17%. Nello stesso periodo la quota cinese nella produzione mondiale di telefoni cellulari è passata dal 9,5% al 27,8%, quella di computer portatili dallo 0,1% all'11,7%. Continua la preminenza nella produzione di personal computer e di televisori a colori. D'altra parte c'è anatra e anatra. Così quelle più grasse e forti, come il Giappone, Singapore, Taiwan trovano ancora funzionale, per motivi diversi, il ruolo della Cina nella loro attuale fase economica. Altre più gracili, come la Thailandia, la Malesia, l'Indonesia, il Vietnam o le Filippine, hanno di che inquietarsi per l'andazzo corrente, anche perché il consiglio che si sentono rivolgere più spesso è quello di dedicarsi alla coltivazione del riso e all'esportazione di legname, sulla base della teoria dei vantaggi comparati di ricardiana memoria. Ma di fatto si sta assistendo a una vera e propria corsa verso il territorio cinese di una quantità crescente di compagnie orientali (oltre che occidentali) che trovano assai conveniente trasferire lì l'ultima fase di assemblaggio. Nell'area asiatica, è il Giappone che guida la marcia verso l'Impero di Mezzo, dove trova forza lavoro, anche qualificata, a prezzi così stracciati che diventa conveniente abbandonare la produzione nazionale di alcune merci di medio-alta tecnologia. Tanto che, come rileva l'indagine di Nihon Keizai, in ben 14 dei 16 prodotti presi in considerazione dal survey la percentuale di produzione nipponica è in calo. Ma Tokyo preferisce puntare sulla ricerca e lo sviluppo, dove è ancora imbattuto. Subito dopo i giapponesi, Taiwan che, nonostante i rilevanti problemi politici con una madrepatria che lo considera sua parte integrante, non ha aspettato un attimo per approfittare della sospensione del bando agli investimenti taiwanesi, decisa da Pechino alla fine del 2001, rafforzando una presenza che, nonostante tutto, era forte già da tempo. A questo si aggiunga che una valanga di investimenti esteri diretti, dai 40 ai 45 miliardi di dollari, inonda ormai costantemente ogni anno la Cina, lasciando a becco asciutto le anatrelle. Anche se precario, un equilibrio ancora perdura nella dinamica, e reggerà fino a che i produttori di dischi rigidi, o altre componenti elettroniche, del sud est asiatico (con Singapore in testa) potranno esportarli in quantità crescenti in Cina (che ancora importa 85 miliardi di merci dal resto dell'Asia). Ma, come nota anche il Nikkei Weekly, questa divisione del lavoro non durerà. E' solo questione di tempo, quello che la Cina metterà nell'acquisire tecnologie più avanzate. Obiettivo primario che ha spinto i cinesi a elaborare strategie interessanti, e per certi aspetti inedite nello scenario asiatico, nei rapporti con le compagnie straniere che vogliono fare affari con loro. Un esempio valga per tutti, quello dell'accordo con Alcatel, che ha portato alla fine dello scorso maggio al lancio ufficiale della joint venture Alcatel Shanghai Bell, la seconda fornitrice di apparecchiature telecom della Cina. Per avere accesso all'insieme della ricerca del gruppo in tutto il mondo, il governo cinese ha rinunciato al controllo della società, evento piuttosto eccezionale anche se non isolato. Alcatel si è anche impegnata a sviluppare gli addetti al settore ricerca e sviluppo da 2100 a 3500 persone. Per un Alcatel che apre le porte, c'è un governo americano che mette i bastoni tra le ruote alle sue compagnie, come raccontava la Far Eastern Economic Review della scorsa settimana, dedicando la sua storia di copertina alle nuove barriere che l'amministrazione Bush sta ponendo all'export verso la Cina di prodotti che ritiene «sensibili» per contenuto tecnologico in termini di sicurezza nazionale. Così se la Germania ci mette 30 giorni per dare il suo placet a una licenza di esportazione di alta tecnologia verso la Cina, negli Usa occorre attendere 77 giorni, e non è detto che il permesso venga accordato. Ma l'amore-odio americano (perfettamente riflesso dall'altra parte del Pacifico nell'impressionante specchiarsi deformato di immagini e modelli) non riuscirà a fermare la corsa cinese. In un interessante servizio diffuso dall'agenzia Reuters il 5 luglio di quest'anno, datato Tokyo, per la serie «chi sale e chi scende» in Asia si rilevava come in una grande conferenza sulle prospettive del business tedesco nell'area, tre workshop erano dedicati alla Cina e uno solo al Giappone. D'altra parte chi può resistere a una «superpotenza della manifattura» con una «imbattibile struttura dei costi» fornita da «un serbatoio infinito di lavoro a buon mercato» garantito da «una forza lavoro affamata e disciplinata» in grado di garantire «esplosivi aumenti di produttività» (pareri di analisti raccolti alla conferenza). «Difficile che le Tigri possano offrire qualcosa di migliore e più brillante». Oltre a tutto anche il lavoro più qualificato è a basso prezzo. Ogni anno le università cinesi sfornano più ingegneri di quelle statunitensi, e sarebbero oltre 12mila gli studenti cinesi attualmente iscritti nelle università tedesche (contro duemila giapponesi). Altro vantaggio molto apprezzato da chi traffica coi capitali è poi la stabilità politica della Cina (data evidentemente per eterna) apprezzata soprattutto per la determinazione, ormai acclarata, della sua leadership a continuare sulla strada intrapresa. Prima o poi, dunque, sarà il panda a guidare le anatre. Resta da capire se sarà il panda che imparerà a volare, o se le anatre saranno costrette ad atterrare.
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