condoni l'edilizia della vergogna



     
 
il manifesto - 01 Settembre 2002 
 
CONDONI 
L'edilizia della vergogna 
VEZIO DE LUCIA
Non sono ottimista e non mi convincono le smentite dei ministri. Il condono
è organico alla cultura della casa delle libertà e dei padroni in casa
propria. Lo pretendono le imprese contigue alla malavita che costruiscono
edifici abusivi e la borghesia meridionale che li abita: tutti elettori del
governo Berlusconi. Nessuno può ragionevolmente pensare che il condono
possa produrre un ritorno rilevante per le casse dello stato, tariffe
troppo alte sarebbero impopolari. Potrebbe perciò anche non esserci
un'iniziativa legislativa del governo, sapientemente sostituita da una
proposta parlamentare, come nel caso del legittimo sospetto, o da altri
marchingegni (ipotesi di condono sono implicite nella vendita dei beni
demaniali). Può essere che per ora non se ne faccia nulla, l'occasione non
mancherà. Intanto l'abusivismo continua imperterrito, favorito proprio
dalle ipotesi di sanatoria. Da Roma in giù, non solo in Sicilia,
lottizzazioni, ville e villette si inseguono lungo la costa, nelle
campagne, nelle periferie urbane. Sono snaturati anche luoghi celeberrimi,
dalla costiera amalfitana alla campagna romana.

Le precedenti sanatorie, quelle del governo Craxi (ministro Franco
Nicolazzi) del 1984 e del primo governo Berlusconi (ministro Roberto
Radice), di dieci anni dopo, hanno determinato conseguenze drammatiche, non
solo per il paesaggio. Gli uffici tecnici di quasi tutti i comuni del sud
sono ancora ingolfati dalle pratiche generate dai precedenti provvedimenti.
Norme volutamente contorte favoriscono comportamenti arbitrari e
pasticciati, in una spirale d'illegalità irriducibile.

L'opposizione è giustamente scatenata. Ma è bene non dimenticare le
responsabilità del governo di centro sinistra. Furono assunti impegni
solenni (istituendo addirittura un'apposita direzione generale per la lotta
all'abusivismo), ma in pratica fu fatto ben poco, a eccezione
dell'abbattimento del mostro di Fuenti, assunto a simbolo. Nell'attesa di
una legge ad hoc che restò bloccata per anni alla camera, furono trascurate
quelle azioni che potevano essere proficuamente condotte dal governo. Nulla
fu fatto per sollecitare e sostenere l'azione dei comuni, pochissimi,
impegnati nella repressione. Il demanio costiero continuò a essere una
specie di pascolo d'oro per la criminalità organizzata. Nessun ministro
dell'Interno fu capace di mobilitare prefetti e forza pubblica per impedire
sul nascere nuovi crimini edilizi. Il ministero dei Lavori pubblici non
utilizzò i provveditorati alle opere pubbliche per mettere a disposizione
dei comuni imprese capaci di effettuare demolizioni e di resistere alle
intimidazioni della malavita. Lo stesso ministero non ha più trasmesso al
parlamento la relazione annuale sull'abusivismo come avveniva prima:
nessuno sa davvero quante sono le costruzioni illegittime, e si accreditano
stime approssimative.

Anche la magistratura, salvo rare e pregiate eccezioni (le procure di
Latina e di Agrigento, per esempio) è in larga misura latitante. Più di
ogni altra, va però segnalata l'inerzia assoluta delle regioni, dal Lazio
in giù. Nel tempo del federalismo, nessuna delle amministrazioni
costituzionalmente competenti in materia di governo del territorio ha
assunto la lotta all'illegalità edilizia come compito prioritario. Non
possiamo crogiolarci nel pessimismo. Credo che sia urgente un'iniziativa
adeguata alla gravità della situazione.

Mi permetto allora di proporre che il 14 settembre, all'indignazione contro
il disegno di legge per il legittimo sospetto, sia affiancato anche lo
sdegno per la rovina del territorio e per lo spregio dei cittadini onesti
connaturato a ogni condono.