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ilva condannata
- Subject: ilva condannata
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 23 Jul 2002 17:55:08 +0200
il manifesto - 17 Luglio 2002 Ilva condannata Dieci mesi di carcere al presidente dell'azienda siderurgica e al direttore dello stabilimento di Taranto: non hanno rispettato le leggi di tutela dell'ambiente e della salute ANTONIO ROLLI TARANTO Da ieri mattina l'aria che si respira al rione Tamburi di Taranto è un po' più pulita. I vertici dell'Ilva, con una sentenza che rimarrà alla storia, sono stati condannati per aver violato le leggi in materia di tutela ambientale e per non aver adottato nessun accorgimento necessario per impedire la dispersione nell'aria delle polveri provenienti dai «parchi» minerali. Emilio Riva, presidente del consiglio di amministrazione dell'Ilva, e Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento tarantino, sono stati condannati a dieci mesi di reclusione; sette mesi sono stati inflitti, invece, a Salvatore Zimbaro e Gianluca Quaranta, responsabili dei «parchi» che raccolgono materiale per i diversi cicli di lavorazione del siderurgico. Un verdetto che è andato persino al di là delle richieste avanzate dai pubblici ministeri Francesco Sebastio e Maurizio Carbone, e che ha decretato la confisca dell'area dei parchi minerali (660 mila metri quadri) peraltro già sottoposta a sequestro. Per Riva e gli altri tre imputati, il giudice monocratico Lucia De Palo ha subordinato la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena «all'eliminazione delle conseguenze dannose e pericolose dei reati mediante la realizzazione della produzione attraverso la migliore tecnologia disponibile per il contenimento delle emissioni moleste, ovvero mediante l'adozione di qualunque altro sistema utile al conseguimento di tale scopo entro due anni dal passaggio in giudicato dell'odierna sentenza». Inoltre, i vertici dell'azienda dovranno rimborsare i danni, in separata sede, alle parti civili, vale a dire Comune e Provincia di Taranto e a Legambiente, che aveva chiesto 516mila euro di risarcimento. «Siamo soddisfatti - ha dichiarato l'avvocato Elio Curci, rappresentante di parte civile per Legambiente - per l'avvenuto riconoscimento della responsabilità e perché il giudice ha subordinato la sospensione delle pene alla eliminazione del comportamento dannoso. Riteniamo importante - ha proseguito Curci - dal nostro punto di vista, anche la decisione di riconoscere alle parti civili il diritto di risarcimento. Non ha rilievo che la sua entità debba essere stabilita con altro giudizio». L'inchiesta, avviata dal pm Sebastio nel 1999, ha cercato di evidenziare come negli ultimi anni la provincia di Taranto, ed il rione Tamburi in particolare, vivessero una precaria situazione socio-sanitaria che aveva provocato in un solo anno 253 morti per neoplasie polmonari, 111 delle quali nella sola città pugliese. In tal senso sono stati decisivi, ai fini del processo, i risultati delle analisi dei periti del dipartimento di prevenzione dell'Asl, i quali hanno dimostrato che le polveri minerali sversate dall'Ilva (600 milligrammi al giorno per metroquadro di superficie) se inalate in modo costante potevano provocare tumori all'apparato respiratorio. Acquisite le perizie, l'accusa ha cercato di dimostrare che il reato di emissioni inquinanti si collegava con quello omissivo, dal momento che nulla era stato fatto dai vertici dell'azienda per impedire che le polveri viaggiassero nell'aria e , in caduta libera, si depositassero sulla città. Ora si attenderà che, alla luce di questo verdetto, anche Regione Puglia, finora latitante, imponga all'azienda in tempi brevi una diversa ubicazione dei parchi minerali, magari in quella già indicata dalla pubblica accusa; una zona più a nord, lontana dall'abitato, di proprietà della stessa Ilva. «Questa sentenza - ha commentato il deputato del Prc Nichi Vendola- è un primo importante segnale che ci aiuta a capire quanto siano intrecciate la lotta per la difesa ambientale, quella per la salute e quella per i diritti dei lavoratori. È un primo importante schiaffo - ha proseguito Vendola - all'arroganza di chi, come Riva, pensa di poter operare, sulla pelle dei suoi operai e di una intera città, al di fuori del rispetto delle leggi». Ma i guai per Emilio Riva e gli altri dirigenti dell'ex Italsider sembrano non finire. Nel mese di ottobre riprenderà infatti, il processo per la Nuova Siet, che vede il padron genovese, già condannato a due anni e tre mesi per mobbing, nuovamente indagato con l'accusa di estorsione.
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