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critichiamo lo sviluppo senza dimenticare i valori
- Subject: critichiamo lo sviluppo senza dimenticare i valori
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 18 Jul 2002 18:44:39 +0200
dalla stampa Martedi' 16.7.2002 Scrivi alla redazione «Fraternità»: la globalizzazione dalla parte di Gandhi Un maestro del pensiero libertario e i social forum: critichiamo lo sviluppo, senza dimenticare i valori essenziali PISA E´ uno dei maestri del pensiero libertario però attenzione, «non facciamo il salottino dei guru no global». I giovani del movimento di Seattle lo citano nei social forum e in ogni caso gli devono molto, lui li tratta come il papà col figliolo che ha scoperto l´acqua calda, «sono ragazzi», e ne prende anche in giro i limiti concettuali, «a Genova non avevano nulla di più di un supermercato di propostine». È, anche, uno che critica le istituzioni planetarie tipo Banca Mondiale e Fondo monetario internazionale ma badate, non ne fa una questione economica: la parola chiave del mondo global, dice, è semplice, viene dalla Rivoluzione francese e si chiama «fraternità». Eccolo, Ivan Illich: settantasei anni, naso irregolare e occhi che si muovono velocissimi per non apparire più lenti delle profezie della bocca. Interrogarlo nel primo anniversario di Genova significa conquistare, sulla globalizzazione, il punto di vista di uno che cita Gandhi, la rivoluzione del 1789 e la parabola del Samaritano. Uno che è nato nella Vienna di Wittgenstein, Popper e Karl Kraus da famiglia immancabilmente ebraica e dopo se n´è andato a studiare tra Firenze e Salisburgo (mineralogia, storia, psicologia, arte); che è stato sacerdote (dal `51 al `56) in una parrocchia portoricana a Washington Heights, New York, e dopo, osteggiato dalla Curia, ha fondato congregazioni religiose eterodosse a Cuernavaca, Messico; che, tra una cosa e l´altra, ha scritto saggi contro tutti i miti immaginabili, la scolarizzazione di massa, lo sviluppo, la salute a tutti i costi, il carattere «finto-liberale» delle istituzioni globali... L´anno scorso, appena arrivato al seminario di San Rossore dove torna oggi, esordì tagliente: «Non dimenticate che l´aereo che mi ha portato fin qui ha consumato sette volte l´ossigeno necessario a un elefante». Poi sussurrò: e agli esseri umani serve molto più che l´aria. In sala: silenzio. Illich auspicava una scossa alle «sicurezze profonde» che accompagnano le idee di «progresso», però ironizzava sui giovani di Seattle. Come mai? «L´anno scorso - ricorda - il vescovo di Pisa, monsignor Alessandro Plotti ha risposto con un gesto, un abbraccio, a questa domanda. Fui toccato dalla vibrante semplicità della sua esposizione: nessun cinismo, né il minimo sapore di mania apocalittica. Però nemmeno un cenno a una qualche raccomandazione pratica». Illich lo pungolò, «cosa possiamo fare?». Adesso rievoca la risposta: «Il vescovo perorava la causa dei milioni di "prossimi", ma questa descrizione di un mondo pieno di "prossimi" che aspettano il nostro esempio e i nostri euro mi fece rabbrividire». Il motivo è semplice: «La causa dei limiti dello sviluppo non si affronta con lo scopo di finanziare agenzie globofile o globofobe che siano». E come, allora? «A Gesù fu chiesto "Chi è il mio prossimo?" e rispose raccontando del Samaritano. Oggi diremmo: questo palestinese sulla via di Gerico vide quello che due ebrei prima di lui avevano visto, un uomo picchiato e ferito, per lui straniero. Gesù dice che fu toccato fin nelle viscere e lo prese fra le braccia. Il Samaritano è diventato l´esempio di una possibilità umana interamente nuova. Ma una cosa sicuramente non era: un fornitore di servizi». È questa la vera distanza che lo separa dall´universo antiglobal: Illich non mette al centro l´homo oeconomicus. Naturalmente conosce, o legge, molti degli intellettuali che stanno sul comodino dei no global. Studiosi come Cornelius Castoriadis, Serge Latouche, François Partant, Wolfgang Sachs si professano suoi allievi. Figure più giovani tipo Naomi Klein e Vandana Shiva lo citano. «Però per carità - implora - non facciamo la cricca dei pensatori no global. Critichiamo lo sviluppo, critichiamo l´ideale di una democrazia fondata sulla separazione dei poteri e diventata l´eufemismo di un management pubblico convalidato da una cospirazione fra burocrazie pubbliche e agenzie professionali. Ma tocchiamo il tema chiave: la charitas». Fraternità. Una volta Illich profetizzò: «C´è una possibilità completamente nuova di praticare la resistenza passiva». Vuol dire che la globalizzazione si corregge con una disobbedienza civile gandhiana? «Può darsi che in questo momento storico, la resistenza non violenta o passiva debba presupporre di capire quello che è successo nel frattempo: Gandhi parlò quando "il bene" non era stato ancora sostituito coi valori e le merci; almeno non in un modo paragonabile a quanto succede oggi. Però resistere al male può essere una forma di testimonianza, non la resistenza a valori sbagliati». Jacopo Iacoboni
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