critichiamo lo sviluppo senza dimenticare i valori



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Martedi' 16.7.2002  Scrivi alla redazione  
   
 
«Fraternità»: la globalizzazione dalla parte di Gandhi  
Un maestro del pensiero libertario e i social forum: critichiamo lo
sviluppo, senza dimenticare i valori essenziali  
 



PISA E´ uno dei maestri del pensiero libertario però attenzione, «non
facciamo il salottino dei guru no global». I giovani del movimento di
Seattle lo citano nei social forum e in ogni caso gli devono molto, lui li
tratta come il papà col figliolo che ha scoperto l´acqua calda, «sono
ragazzi», e ne prende anche in giro i limiti concettuali, «a Genova non
avevano nulla di più di un supermercato di propostine». È, anche, uno che
critica le istituzioni planetarie tipo Banca Mondiale e Fondo monetario
internazionale ma badate, non ne fa una questione economica: la parola
chiave del mondo global, dice, è semplice, viene dalla Rivoluzione francese
e si chiama «fraternità». Eccolo, Ivan Illich: settantasei anni, naso
irregolare e occhi che si muovono velocissimi per non apparire più lenti
delle profezie della bocca. Interrogarlo nel primo anniversario di Genova
significa conquistare, sulla globalizzazione, il punto di vista di uno che
cita Gandhi, la rivoluzione del 1789 e la parabola del Samaritano. Uno che
è nato nella Vienna di Wittgenstein, Popper e Karl Kraus da famiglia
immancabilmente ebraica e dopo se n´è andato a studiare tra Firenze e
Salisburgo (mineralogia, storia, psicologia, arte); che è stato sacerdote
(dal `51 al `56) in una parrocchia portoricana a Washington Heights, New
York, e dopo, osteggiato dalla Curia, ha fondato congregazioni religiose
eterodosse a Cuernavaca, Messico; che, tra una cosa e l´altra, ha scritto
saggi contro tutti i miti immaginabili, la scolarizzazione di massa, lo
sviluppo, la salute a tutti i costi, il carattere «finto-liberale» delle
istituzioni globali... L´anno scorso, appena arrivato al seminario di San
Rossore dove torna oggi, esordì tagliente: «Non dimenticate che l´aereo che
mi ha portato fin qui ha consumato sette volte l´ossigeno necessario a un
elefante». Poi sussurrò: e agli esseri umani serve molto più che l´aria. In
sala: silenzio. Illich auspicava una scossa alle «sicurezze profonde» che
accompagnano le idee di «progresso», però ironizzava sui giovani di
Seattle. Come mai? «L´anno scorso - ricorda - il vescovo di Pisa, monsignor
Alessandro Plotti ha risposto con un gesto, un abbraccio, a questa domanda.
Fui toccato dalla vibrante semplicità della sua esposizione: nessun
cinismo, né il minimo sapore di mania apocalittica. Però nemmeno un cenno a
una qualche raccomandazione pratica». Illich lo pungolò, «cosa possiamo
fare?». Adesso rievoca la risposta: «Il vescovo perorava la causa dei
milioni di "prossimi", ma questa descrizione di un mondo pieno di
"prossimi" che aspettano il nostro esempio e i nostri euro mi fece
rabbrividire». Il motivo è semplice: «La causa dei limiti dello sviluppo
non si affronta con lo scopo di finanziare agenzie globofile o globofobe
che siano». E come, allora? «A Gesù fu chiesto "Chi è il mio prossimo?" e
rispose raccontando del Samaritano. Oggi diremmo: questo palestinese sulla
via di Gerico vide quello che due ebrei prima di lui avevano visto, un uomo
picchiato e ferito, per lui straniero. Gesù dice che fu toccato fin nelle
viscere e lo prese fra le braccia. Il Samaritano è diventato l´esempio di
una possibilità umana interamente nuova. Ma una cosa sicuramente non era:
un fornitore di servizi». È questa la vera distanza che lo separa
dall´universo antiglobal: Illich non mette al centro l´homo oeconomicus.
Naturalmente conosce, o legge, molti degli intellettuali che stanno sul
comodino dei no global. Studiosi come Cornelius Castoriadis, Serge
Latouche, François Partant, Wolfgang Sachs si professano suoi allievi.
Figure più giovani tipo Naomi Klein e Vandana Shiva lo citano. «Però per
carità - implora - non facciamo la cricca dei pensatori no global.
Critichiamo lo sviluppo, critichiamo l´ideale di una democrazia fondata
sulla separazione dei poteri e diventata l´eufemismo di un management
pubblico convalidato da una cospirazione fra burocrazie pubbliche e agenzie
professionali. Ma tocchiamo il tema chiave: la charitas». Fraternità. Una
volta Illich profetizzò: «C´è una possibilità completamente nuova di
praticare la resistenza passiva». Vuol dire che la globalizzazione si
corregge con una disobbedienza civile gandhiana? «Può darsi che in questo
momento storico, la resistenza non violenta o passiva debba presupporre di
capire quello che è successo nel frattempo: Gandhi parlò quando "il bene"
non era stato ancora sostituito coi valori e le merci; almeno non in un
modo paragonabile a quanto succede oggi. Però resistere al male può essere
una forma di testimonianza, non la resistenza a valori sbagliati».  
Jacopo Iacoboni