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non c'e' innovazione senza cultura
- Subject: non c'e' innovazione senza cultura
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 19 Jul 2002 06:35:41 +0200
dal sole24ore Martedì 16 Luglio 2002 ore 18:34 Non c'è innovazione senza la cultura di Carlo Mario Guerci È ben noto che uno dei maggiori problemi della nostra impresa piccola e media è rappresentato dalla loro generalizzata incapacità di crescere oltre certe dimensioni di nicchia. Vari fattori, spesso discussi anche in passato, limitano la crescita delle nostre aziende: la scarsità di grandi imprese che svolgano un effetto di trascinamento sulla crescita delle imprese minori; la pressione fiscale; la flessibilità del lavoro; la carenza di scuole e di centri di formazione in diverse specializzazioni tecniche; l'eccesso di burocrazia; l'incertezza che domina i processi amministrativi. E come ulteriore motivo di freno si cita spesso la numerosità di imprese familiari anche se una generalizzazione su questo limite è pericolosa. Imprese "familiari" quali Benetton, Luxottica, Mapei, Marcegaglia, Safilo, Scm e Tecnogym hanno mostrato una formidabile propensione alla crescita mentre imprese manageriali pure hanno fatto meno bene. Tutti i fattori di freno ricordati non bastano a spiegare la perdita di competitività della nostra industria: il fattore troppo spesso trascurato è quello dell'innovazione tecnologica, perché questa è la prima forza che spinge la crescita e sostiene la competitività. I diversi aspetti. "Innovazione" è un concetto molto ampio e presenta aspetti molteplici. Fino a oggi le innovazioni che hanno sostenuto lo sviluppo italiano sono state prevalentemente le innovazioni basate sul concetto di novità (innovazione di stile), quelle architetturali (che utilizzano in modo originale tecnologie e componenti già disponibili per creare nuovi prodotti o processi, soprattutto prodotti) e l'innovazione custom (che personalizza prodotti e processi), affiancate da sforzi sulla qualità e sul miglioramento continuo, mentre è stata decisamente scarsa l'innovazione tecnologica su base organizzata. Il grafico qui a lato riporta un elenco di imprese che hanno prodotto innovazione e si nota che la creatività è più presente della tecnologia. Il posizionamento risente ovviamente anche di nostre valutazioni soggettive. Nella tabella, invece, proponiamo una esemplificazione di alcuni fattori fondamentali che penalizzano la nostra attività di ricerca. Tutti gli indicatori utilizzati mostrano una grande distanza dell'Italia dai maggiori Paesi industriali, in particolare la propensione alla cooperazione, l'interazione università-industria e l'intensità di ricerca nelle imprese high tech. La ricerca sommersa. Come avviene per il lavoro - dove l'Italia è tra i Paesi che sviluppano una grande quantità di lavoro sommerso, che non viene rilevato nelle statistiche - così è per la ricerca. Le imprese italiane, in particolare quelle piccole, sviluppano una quantità di ricerca che non compare, cioè di ricerca che definiamo "sommersa". Può essere trattata come attualmente si sta facendo per il lavoro nero? Può essere fatta emergere? Riteniamo che la risposta sia sostanzialmente negativa. Una parte rilevante della nostra ricerca "sommersa" non può essere fatta emergere, perché è connaturata al modello organizzativo della maggior parte delle nostre imprese minori. Se si condivide questa diagnosi allora la quota di R&S per parte privata può crescere a)aumentando la quantità di ricerca della impresa minore; b)aumentando la presenza di imprese high tech. Impensabile un rilancio delle grandi imprese, se non moltiplicando gli sforzi al Sud per attrarre investimenti stranieri. Vi sono certamente spazi per accrescere gli orientamenti alla tecnologia, anche accrescendo la quantità di ricerca organizzata, ma è indispensabile evitare di interferire con il funzionamento della macchina. Infatti il sistema produttivo presenta una capacità di utilizzo delle spese di ricerca che è limitata dalla sua stessa struttura: è solo operando sull'insieme dei fattori che influenzano la capacità delle imprese di assorbire e utilizzare la ricerca a fini produttivi che l'aumento della spesa supera favorevolmente un giudizio di costi/benefici. Elevare la ricerca nelle imprese minori significa elevare la cultura delle risorse umane presenti, a ogni livello, e ciò evidentemente richiede un formidabile riorientamento della politica scolastica e universitaria. Si ricorda spesso che l'Italia è ricca di imprenditori, che si caratterizza anche per l'elevato numero di nuove imprese che compaiono ogni anno. Ma un elemento negativo emerge quando si compara il grado di istruzione dei nuovi imprenditori con quello presente in altri Paesi. La quota di imprenditori nuovi in possesso di laurea o di corsi post laurea è decisamente più bassa, particolarmente nelle start up high tech. Che fare? Conviene sviluppare le osservazioni conclusive suddividendole, solo per convenienza espositiva, in quattro blocchi: il contesto, il ruolo delle università e del capitale umano nella ricerca pubblica, l'innalzamento della ricerca privata ad ogni livello, l'attivazione di misure per aumentare la presenza di imprese high tech. Il contesto. Tutte le analisi recenti in materia di ricerca e innovazione convergono nel mostrare che l'ambiente esterno, in tutta la sua complessità, è fondamentale nell'influenzare i risultati. È velleitario immaginare di potere agire attraverso la politica della ricerca se contestualmente non si opera per il raggiungimento di un Paese più fluido ed efficiente in ogni aspetto della vita economia e sociale. Sottolineiamo che gli sforzi per accrescere la quota di ricerca nel Pil devono essere graduati in funzione della capacità di assorbimento e utilizzo delle imprese. Altrimenti vi è il rischio che quella spesa possa essere dirottata verso impieghi diversi o meno efficienti. In particolare, il tema dell'efficienza dovrebbe costituire una priorità di intervento nei centri di ricerca pubblici. Università e capitale umano. Una nostra analisi sui distretti industriali tecnologici nel mondo (svolta per conto della Fondazione Bnc) mostra il ruolo determinante delle università e dei centri di ricerca per la creazione e lo sviluppo di tali distretti. Non a caso i distretti industriali italiani, che non si sono sviluppati attorno alle università, non presentano vocazioni high tech. È indispensabile creare un flusso permanente di ricercatori dall'università all'industria sia rifondando l'istituto del dottorato, sia rivedendo i percorsi di carriera con obiettivi di ringiovanimento. Va rivisto il valore legale del titolo di laurea. Innalzare il livello della ricerca privata. Il modello architetturale, prevalente nelle nostre imprese, ha retto la competitività nazionale dal dopoguerra ad oggi ma adesso richiede l'innesto di modelli nuovi anche nei settori tradizionali. Incrementare le attività di ricerca delle imprese, a ogni livello, ma soprattutto nelle imprese minori è quindi sempre più una necessità. Questo innalzamento deve avvenire con diversi meccanismi concorrenti, che tengano conto delle specificità del nostro modello di innovazione: creare una condizione di necessità della relazione tra imprese e università agganciando almeno parte della valutazione del personale docente alla capacità di attrarre ricerca di impresa con il risultato di generare nuove leve di laureati, dottori e ricercatori già formati alla ricerca applicata; creare una maggiore diffusione della cultura della ricerca nelle imprese attraverso la mobilità dei ricercatori, soprattutto dalle università; puntare più decisamente sulla ricerca di innovazioni radicali, creando, con un iniziale supporto pubblico, centri privati specializzati in grado di formare quella massa critica che le imprese minori non potrebbero attivare. È necessario partire dalle aree distrettuali più importanti. Aumentare la presenza di imprese high tech. È l'operazione necessariamente più a lungo termine perché presuppone il cambiamento culturale più profondo. La creazione di imprese high tech deve avvenire in quel contesto sofisticato e complesso che è il distretto tecnologico. È indispensabile prevedere la costituzione di una serie di poli di ricerca di base specializzati in tecnologie emergenti (nanotecnologie, meccatronica, bioelettronica). Questo centri dovranno attrarre talenti italiani e internazionali dall'estero (brain drain inverso) per progetti di ricerca di base su tematiche che avranno impatto, prevedibilmente su una scala dei tempi di lungo periodo, 10-15 anni. (La versione integrale dello studio di cui si è parlato può essere richiesta a Evidenze Srl, corso Venezia 36, Milano, o reperita a partire da fine luglio sul sito di AtKearney).
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