non c'e' innovazione senza cultura



dal sole24ore    
 
          
Martedì 16 Luglio 2002  ore 18:34  
 
Non c'è innovazione senza la cultura 
di Carlo Mario Guerci È ben noto che uno dei maggiori problemi della nostra
impresa piccola e media è rappresentato dalla loro generalizzata incapacità
di crescere oltre certe dimensioni di nicchia. Vari fattori, spesso
discussi anche in passato, limitano la crescita delle nostre aziende: la
scarsità di grandi imprese che svolgano un effetto di trascinamento sulla
crescita delle imprese minori; la pressione fiscale; la flessibilità del
lavoro; la carenza di scuole e di centri di formazione in diverse
specializzazioni tecniche; l'eccesso di burocrazia; l'incertezza che domina
i processi amministrativi. E come ulteriore motivo di freno si cita spesso
la numerosità di imprese familiari anche se una generalizzazione su questo
limite è pericolosa. Imprese "familiari" quali Benetton, Luxottica, Mapei,
Marcegaglia, Safilo, Scm e Tecnogym hanno mostrato una formidabile
propensione alla crescita mentre imprese manageriali pure hanno fatto meno
bene. Tutti i fattori di freno ricordati non bastano a spiegare la perdita
di competitività della nostra industria: il fattore troppo spesso
trascurato è quello dell'innovazione tecnologica, perché questa è la prima
forza che spinge la crescita e sostiene la competitività. I diversi
aspetti. "Innovazione" è un concetto molto ampio e presenta aspetti
molteplici. Fino a oggi le innovazioni che hanno sostenuto lo sviluppo
italiano sono state prevalentemente le innovazioni basate sul concetto di
novità (innovazione di stile), quelle architetturali (che utilizzano in
modo originale tecnologie e componenti già disponibili per creare nuovi
prodotti o processi, soprattutto prodotti) e l'innovazione custom (che
personalizza prodotti e processi), affiancate da sforzi sulla qualità e sul
miglioramento continuo, mentre è stata decisamente scarsa l'innovazione
tecnologica su base organizzata. Il grafico qui a lato riporta un elenco di
imprese che hanno prodotto innovazione e si nota che la creatività è più
presente della tecnologia. Il posizionamento risente ovviamente anche di
nostre valutazioni soggettive. Nella tabella, invece, proponiamo una
esemplificazione di alcuni fattori fondamentali che penalizzano la nostra
attività di ricerca. Tutti gli indicatori utilizzati mostrano una grande
distanza dell'Italia dai maggiori Paesi industriali, in particolare la
propensione alla cooperazione, l'interazione università-industria e
l'intensità di ricerca nelle imprese high tech. La ricerca sommersa. Come
avviene per il lavoro - dove l'Italia è tra i Paesi che sviluppano una
grande quantità di lavoro sommerso, che non viene rilevato nelle
statistiche - così è per la ricerca. Le imprese italiane, in particolare
quelle piccole, sviluppano una quantità di ricerca che non compare, cioè di
ricerca che definiamo "sommersa". Può essere trattata come attualmente si
sta facendo per il lavoro nero? Può essere fatta emergere? Riteniamo che la
risposta sia sostanzialmente negativa. Una parte rilevante della nostra
ricerca "sommersa" non può essere fatta emergere, perché è connaturata al
modello organizzativo della maggior parte delle nostre imprese minori. Se
si condivide questa diagnosi allora la quota di R&S per parte privata può
crescere a)aumentando la quantità di ricerca della impresa minore;
b)aumentando la presenza di imprese high tech. Impensabile un rilancio
delle grandi imprese, se non moltiplicando gli sforzi al Sud per attrarre
investimenti stranieri. Vi sono certamente spazi per accrescere gli
orientamenti alla tecnologia, anche accrescendo la quantità di ricerca
organizzata, ma è indispensabile evitare di interferire con il
funzionamento della macchina. Infatti il sistema produttivo presenta una
capacità di utilizzo delle spese di ricerca che è limitata dalla sua stessa
struttura: è solo operando sull'insieme dei fattori che influenzano la
capacità delle imprese di assorbire e utilizzare la ricerca a fini
produttivi che l'aumento della spesa supera favorevolmente un giudizio di
costi/benefici. Elevare la ricerca nelle imprese minori significa elevare
la cultura delle risorse umane presenti, a ogni livello, e ciò
evidentemente richiede un formidabile riorientamento della politica
scolastica e universitaria. Si ricorda spesso che l'Italia è ricca di
imprenditori, che si caratterizza anche per l'elevato numero di nuove
imprese che compaiono ogni anno. Ma un elemento negativo emerge quando si
compara il grado di istruzione dei nuovi imprenditori con quello presente
in altri Paesi. La quota di imprenditori nuovi in possesso di laurea o di
corsi post laurea è decisamente più bassa, particolarmente nelle start up
high tech. Che fare? Conviene sviluppare le osservazioni conclusive
suddividendole, solo per convenienza espositiva, in quattro blocchi: il
contesto, il ruolo delle università e del capitale umano nella ricerca
pubblica, l'innalzamento della ricerca privata ad ogni livello,
l'attivazione di misure per aumentare la presenza di imprese high tech. Il
contesto. Tutte le analisi recenti in materia di ricerca e innovazione
convergono nel mostrare che l'ambiente esterno, in tutta la sua
complessità, è fondamentale nell'influenzare i risultati. È velleitario
immaginare di potere agire attraverso la politica della ricerca se
contestualmente non si opera per il raggiungimento di un Paese più fluido
ed efficiente in ogni aspetto della vita economia e sociale. Sottolineiamo
che gli sforzi per accrescere la quota di ricerca nel Pil devono essere
graduati in funzione della capacità di assorbimento e utilizzo delle
imprese. Altrimenti vi è il rischio che quella spesa possa essere dirottata
verso impieghi diversi o meno efficienti. In particolare, il tema
dell'efficienza dovrebbe costituire una priorità di intervento nei centri
di ricerca pubblici. Università e capitale umano. Una nostra analisi sui
distretti industriali tecnologici nel mondo (svolta per conto della
Fondazione Bnc) mostra il ruolo determinante delle università e dei centri
di ricerca per la creazione e lo sviluppo di tali distretti. Non a caso i
distretti industriali italiani, che non si sono sviluppati attorno alle
università, non presentano vocazioni high tech. È indispensabile creare un
flusso permanente di ricercatori dall'università all'industria sia
rifondando l'istituto del dottorato, sia rivedendo i percorsi di carriera
con obiettivi di ringiovanimento. Va rivisto il valore legale del titolo di
laurea. Innalzare il livello della ricerca privata. Il modello
architetturale, prevalente nelle nostre imprese, ha retto la competitività
nazionale dal dopoguerra ad oggi ma adesso richiede l'innesto di modelli
nuovi anche nei settori tradizionali. Incrementare le attività di ricerca
delle imprese, a ogni livello, ma soprattutto nelle imprese minori è quindi
sempre più una necessità. Questo innalzamento deve avvenire con diversi
meccanismi concorrenti, che tengano conto delle specificità del nostro
modello di innovazione: creare una condizione di necessità della relazione
tra imprese e università agganciando almeno parte della valutazione del
personale docente alla capacità di attrarre ricerca di impresa con il
risultato di generare nuove leve di laureati, dottori e ricercatori già
formati alla ricerca applicata; creare una maggiore diffusione della
cultura della ricerca nelle imprese attraverso la mobilità dei ricercatori,
soprattutto dalle università; puntare più decisamente sulla ricerca di
innovazioni radicali, creando, con un iniziale supporto pubblico, centri
privati specializzati in grado di formare quella massa critica che le
imprese minori non potrebbero attivare. È necessario partire dalle aree
distrettuali più importanti. Aumentare la presenza di imprese high tech. È
l'operazione necessariamente più a lungo termine perché presuppone il
cambiamento culturale più profondo. La creazione di imprese high tech deve
avvenire in quel contesto sofisticato e complesso che è il distretto
tecnologico. È indispensabile prevedere la costituzione di una serie di
poli di ricerca di base specializzati in tecnologie emergenti
(nanotecnologie, meccatronica, bioelettronica). Questo centri dovranno
attrarre talenti italiani e internazionali dall'estero (brain drain
inverso) per progetti di ricerca di base su tematiche che avranno impatto,
prevedibilmente su una scala dei tempi di lungo periodo, 10-15 anni. (La
versione integrale dello studio di cui si è parlato può essere richiesta a
Evidenze Srl, corso Venezia 36, Milano, o reperita a partire da fine luglio
sul sito di AtKearney).