scandali finanziari e sistema



da affari e finanza

 
 
lunedi 01 Luglio 2002 
 
  
"E’ difficile che gli scandali siano finiti perché è tutto il sistema che
non va"

GIUSEPPE TURANI 

«A breve il solo consiglio che mi sento di dare alla gente, ai
risparmiatori, è quello di essere molto, ma molto prudenti". Gianluca
Verzelli, direttore degli investimenti di Bnp, una delle maggiori banche
del mondo, non ha nell'immediato una visione molto positiva delle Borse.
Pensa anche lei che i prezzi siano ancora troppo alti rispetto agli utili
che poi le aziende riescono a produrre?
«Ma, non so se il vero problema è questo. Se ci voltiamo indietro, vediamo
che c'è stato un bel ridimensionamento. Il Nasdaq, rispetto ai livelli del
marzo 2000, ha perso per strada circa il 70 per cento, lo Standard & Poor's
ha perso il 36 per cento, il Mib 30 il 40 per cento. E così via. Un certo
ridimensionamento c'è stato. In qualche caso, come il Nasdaq, è stato
certamente molto violento. E quindi sono cambiati anche i famosi p/e, cioè
il rapporto prezzi utili. Nel febbraio di quest'anno il p/e dello Standard
& Poor's era pari a 24, adesso siamo già a 19. Insomma, mi sento di dire
che un ridimensionamento ci voleva e che probabilmente il grosso lo abbiamo
già fatto».
Insomma, le Borse hanno fatto il loro dovere. I mercati si erano gonfiati e
poi si sono sgonfiati.
«Questo è certamente avvenuto. Adesso è difficile dire se siamo arrivati al
pavimento, se finalmente abbiamo raggiunto il giusto equilibrio fra prezzi
e utili. Ma credo che, oggi, ci siano problemi più urgenti».
Quali?
«Ma insomma prima di tutto bisogna che gli utili, alti o bassi che siano,
siano veri, e non immaginari, costruiti a tavolino come stiamo scoprendo
che è accaduto in passato».
Questo che cosa comporta?
«Due cose distinte. Nel breve periodo, ad esempio, al di là del fatto che i
p/e siano giusti o un po' più alti del dovuto, prevedo una certa
instabilità dei mercati e una certa loro volatilità perché non si può
escludere che saltino fuori altri casi Enron o Worldcom. Anzi, non è
possibile che ci siamo già lasciati alle spalle tutto questo. Non è
possibile che gli altri bilanci siano tutti a posto. Ma, se le cose stanno
così, e lo abbiamo visto in settimana con la voci su General Motors, allora
non posso che prevedere appunto molta instabilità. In più c'è la
disaffezione dei risparmiatori».
E' molto forte?
«Sì, soprattutto in America, perché là il risparmiatore aveva creduto molto
alle imprese, ai conti delle imprese, agli utili, e oggi si sente tradito
preso in giro. Ma anche in Italia la disaffezione verso la Borsa è molto
forte: la gente ha voglia di andare al mare senza titoli in portafoglio,
leggera e libera».
E perché?
«Delusione profonda. Qui da noi, in genere, i portafogli della gente erano
stati costruiti duetre anni fa e da allora non ci sono stati molti
interventi. C'è stata una gestione un po' burocratica e sonnolenta, e la
gente, alla fine, ha scoperto di aver perso molti soldi. Adesso ha solo
voglia di farsi un'estate senza doversi chiedere quali sono i prezzi dei
propri titoli».
Quindi sul breve lei non vede bene i mercati?
«Ci possono essere rimbalzi tecnici anche importanti, ma mediamente il
clima è quello che è: più che i numeri, credo che qui pesi proprio il fatto
che non si sa più in che misura quei numeri sono veri. E' giusto, insomma,
richiamare la gente alla ferrea logica dei p/e, ma quando non si sa di che
utili stiamo parlando (veri o costruiti), che cosa si fa? Quindi vedo una
Borsa che di fronte a cattive notizie, e ce ne saranno, può capovolgere i
propri trend».
Come se ne esce?
«C'è una sola strada, e mi sembra che sia già stata imboccata. E cioè
l'America deve fare la sua rivoluzione capitalistica. Più controlli, regole
di governance diverse, una nuova classe di manager. In sostanza, l'America
deve mettere in atto tutte quelle misure che consentano di tornare a
credere ai conti delle aziende, e che quindi consentano di ragionare
serenamente sui numeri, sui rapporti, sui p/e sui Roe e su tutto il resto». 
Non è un compito da poco.
«E in effetti non bisogna credere che sia una faccenda semplice. E' tutto
un sistema che va ridisegnato e poi bisogna mandare in campo una nuova
generazione di manager, responsabili, eticamente a posto. Non sarà un
lavoro semplice. Anche se, come vediamo tutti i giorni, l'America qualcosa
sta già facendo. Alla fine credo che cambierà anche il rapporto con la
politica».
Cioè? 
«Negli Stati Uniti le aziende finanziano apertamente la politica, ma è
ovvio che, quando a finanziare la politica sono aziende con bilanci
falsificati in modo così clamoroso, bisogna cambiare qualcosa. Penso che
quella Americana sarà una rivoluzione lunga e complessa, profonda. Ma
questa è anche la premessa per poter riportare i mercati a un funzionamento
normale. Oggi, invece, siamo in balia non dei numeri, ma del fatto che i
conti del tale azienda o di quell'altra sono falsi e che gli utili sui
quali fino a ieri abbiamo ragionato erano immaginari».
Se tutto questo si farà, e in fretta, nel 2003 potremo contare su delle
Borse finalmente normali?
«Con qualche grossa diversità rispetto a oggi. Nel senso che la gente e i
mercati, non saranno più disposti a fare sconti alle aziende. Non
accetteranno più di pagare oggi un prezzo alto perché l'azienda dice che i
suoi utili sono in crescita. La gente e i risparmiatori vorranno vedere gli
utili, toccarli con mano, avere sufficienti garanzie che si tratta di roba
vera e non costruita a tavolino non la complicità di qualche società di
revisione o di qualche banca. Le aziende, insomma, dovranno mettere in
conto un atteggiamento molto più diffidente da parte dei mercati. E questo
si farà sentire».
Come?
«La crescita dei mercati, se la ripresa prenderà corpo e se gli utili
riprenderanno a salire, sarà molto più graduale, passo dopo passo. I
mercati si muoveranno, insomma, come quando si sta attraversando una
palude, un piede dopo l'altro e con molta calma. Tutto questo,
naturalmente, sarà in stretto rapporto con la portata e la profondità della
"rivoluzione" contabile e etica a cui accennavo prima. In ogni caso non
credo che vedremo più i comportamenti disinvolti a cui abbiamo assistito
fino a oggi».
In questa vicenda che cosa l'ha colpita di più?
«L'indifferenza europea, come se quello che sta accadendo in America sia
una cosa che non ci riguarda. Dagli Stati Uniti abbiamo importato tante
cose (a cominciare dalle stock options). Quando la loro "rivoluzione" si
metterà in moto dovremo importare molte altre cose: ci sarà un po' di
rivoluzione da fare anche da queste parti. Bisognerà essere più rigorosi e
più efficienti anche qui. Intanto, bisognerà stare attenti alle altre bolle".
Cioè?
«Mi riferisco al settore immobiliare, dove vedo circolare dei prezzi che
stanno andando nella direzione della bolla. Molta gente, delusa dalla
Borsa, va a comprare case pensando di affittarle e di ricavarne un reddito.
Ma queste cose costano ormai troppo e poi la gente non ha idea, di solito,
dei problemi che comporta avere un patrimonio immobiliare affittato».
Insomma, è meglio stare cauti?
«Molto cauti. Tutto è in movimento. Ma, ripeto, prima di tornare a
osservare le Borse con occhi lucidi, bisogna che sia fatta pulizia e che ci
siano nuove regole». 
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