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l'alternativa agroecologica
- Subject: l'alternativa agroecologica
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 20 Jun 2002 06:57:19 +0200
il manifesto - 16 Giugno 2002 -------------------------------------------------- Ricetta di salvataggio GIANNI MORIANI ---------------------------------------------------------------------------- ---- apertura ---------------------------------------------------------------------------- ---- Ricetta di salvataggio L'alternativa agroecologica per combattere inquinamento e fame prodotti dall'industria agroalimentare GIANNI MORIANI Con i metodi attualmente utilizzati, l'agricoltura fornisce grandi quantità di cibo distruggendo ecosistemi, mentre intere popolazioni soffrono la fame e le comunità rurali gradualmente scompaiono assieme ai loro habitat isteriliti dalla chimicizzazione dei campi. Così esordisce Brian Halweil nel suo illuminante saggio apparso in State of the World '02 (Edizioni Ambiente). Nel 2001 David Tilman (Università di Minnesota) ha addirittura ipotizzato che nei prossimi decenni l'agricoltura industriale arriverà a modificare l'intera biosfera del pianeta con «impatti ambientali di vasta portata e irreversibili». Alternativo a questo devastante sistema alimentare è il modello agroecologico. Un approccio che considera le aziende agricole come ecosistemi più autosufficienti e perciò meno condizionati dall'uso di sostanze chimiche: una svolta che consentirà di conciliare le esigenze del settore agricolo con l'ambiente, offrendo una speranza agli agricoltori più poveri. Imboccare questa strada favorirà il risveglio delle comunità rurali e richiederà anche la riformulazione della catena alimentare, con i consumatori che sempre più si rivolgeranno direttamente agli agricoltori e si preoccuperanno dell'origine di ciò che mangiano. Questi erano gli ambiziosi obiettivi elaborati al Summit della Terra di Rio di Janeiro (1992). A dieci anni di distanza non si può non constatare che la realizzazione di tali obiettivi sia stata oltremodo deludente. Il prossimo Summit di Johannesburg costituisce un'occasione per rilanciare l'agroecologia: necessità che si presenta estremamente urgente per l'insostenibilità dell'agricoltura moderna. Ricercatori dell'Università di Essex hanno infatti stimato che nella sola Gran Bretagna l'agricoltura industrializzata costa alla comunità oltre 2 miliardi di dollari all'anno per le spese derivanti: dalla rimozione dei pesticidi dall'acqua potabile, dal danno causato dall'erosione del terreno, dalle intossicazioni alimentari e dal morbo della mucca pazza. Cosicché i cittadini britannici pagano tre volte ciò che mangiano: una volta tramite le sovvenzioni agli agricoltori, una seconda volta per riparare i danni arrecati all'ambiente dai metodi agricoli inquinanti e un'altra volta ancora al momento dell'acquisto. La selvaggia tecnologizzazione dei campi ha messo l'agricoltura in conflitto con l'ambiente. A livello mondiale, i fertilizzanti utilizzati dagli agricoltori sono 10 volte superiori a quelli impiegati nel 1950, ma la produzione di derrate è soltanto triplicata; nello stesso periodo la spesa dei pesticidi è aumentata di 17 volte, mentre la quota di raccolto perduta a causa dei parassiti è rimasta sostanzialmente invariata. Emblematico è l'esempio di una delle regioni più produttive del pianeta, il Midwest USA, dove l'80% dei terreni viene coltivato soltanto a mais e soia: ciò richiede un uso massiccio di fertilizzanti e pesticidi, poiché le monocolture attirano i parassiti e sottraggono molti nutrienti al terreno. Oltre alla diffusione dell'inquinamento, l'agricoltura del nostro tempo, è anche responsabile del drammatico depauperamento delle risorse idriche: quasi il 10% dei cereali mondiali viene oggi prodotto prosciugando queste risorse. Drammatica è la situazione nella Cina settentrionale, dove i contadini estraggono più acqua di quanta ne venga reintegrata dalle precipitazioni, con il risultato di provocare l'abbassamento di 1-1,5 metri all'anno delle falde idriche. Cosicché, il dissennato uso dell'acqua per l'irrigazione minaccia oltre la metà delle mille grandi zone umide considerate vitali per la comunità del globo. La riprova più tangibile di quanto sia incompatibile l'attuale sistema di produzione alimentare è data dal fatto che gli agricoltori costituiscono la categoria produttiva più povera del pianeta: degli oltre 1,2 miliardi di persone che in tutto il mondo guadagnano non più di un dollaro al giorno, il 75% lavora, sopravvive e muore in zone rurali. Le ridotte opportunità di campare con l'agricoltura hanno attivato esodi di massa dalle zone rurali. Per andare incontro agli agricoltori poveri, l'innovazione deve aumentare la stabilità della produzione, garantendo sufficiente flessibilità in modo da poter trovare applicazione in contesti ecologicamente diversi. Per molti aspetti si tratta di un approccio più sofisticato, in quanto dipende da una profonda comprensione delle interazioni ecologiche dei territori agricoli. L'uso ottimale delle risorse e delle conoscenze locali garantisce più efficacia ed efficienza di qualsiasi sostanza chimica, ritrovato tecnologico o applicazione delle innaturali biotecnologie. Anziché ricorrere a strumenti utilizzati ovunque allo stesso modo, l'approccio agroecologico si inspira a principi la cui applicazione varia a seconda dei luoghi. La sua utilità, in particolare per gli agricoltori più poveri, è stata confermata da uno studio condotto dall'Università di Essex su oltre 200 progetti agricoli di matrice agroecologica nei paesi in via di sviluppo. La ricerca ha evidenziato che in tutti gli interventi (9 milioni di aziende agricole per un totale di quasi 30 milioni di ettari) la produzione aumentava in media del 93%. Ma l'aspetto ancora più rilevante risiede nel fatto che la maggior parte di questi progetti riusciva ad aumentare la produzione in condizioni avverse e in aree marginali in cui qualsiasi altro intervento aveva in precedenza fallito. Naturalmente, affinché questo tipo di agricoltura possa prosperare, gli agricoltori dovranno controllare l'utilizzo delle risorse e prendere decisioni secondo criteri non sempre convenzionali. La mancanza di un tale orientamento è una delle cause principali per cui molti sistemi agricoli a basso costo, ma ad alta produttività non hanno successo, soprattutto se si considera che il successo di qualsiasi tecnica agricola ecologica dipende dalla conoscenza e dall'adattamento alle caratteristiche specifiche locali. Un altro limite alla diffusione dell'agricoltura ecologica è costituito dal limitato ruolo che le donne hanno nelle decisioni del settore agricolo. Eppure nei paesi in via di sviluppo le donne lavorano i campi, seminano, estirpano le piante infestanti, trasportano l'acqua necessaria ai campi e alla famiglia, procurano il cibo e lo cucinano. Il loro ruolo di «custodi alimentari» è cresciuto ulteriormente con la massiccia emigrazione degli uomini verso la città. Ad esempio, in quasi il 40% dei nuclei familiari delle zone rurali dell'India, il capofamiglia è adesso una donna. Ciononostante, i programmi di sviluppo rurale ignorano costantemente le donne, discriminandole e favorendo gli uomini nei crediti e in altri servizi. Un altro limite allo sviluppo dell'agroecologia è dovuto al fatto che la maggioranza dei terreni agricoli è nelle mani di una minoranza elitaria, che spesso determina il modo in cui tali terreni vengono utilizzati. Circa 500 milioni di persone (100 milioni di famiglie) occupate nel settore agricolo (la maggior parte delle popolazioni rurali dell'Asia meridionale e sud-orientale, dell'America centrale e meridionale e dell'Africa meridionale e orientale) non godono di diritti di proprietà sulle terre che coltivano. Questo quadro evidenzia con forza anche tutta la contraddizione tra la retorica della riduzione della povertà delle grandi istituzioni internazionali (Banca Mondiale in primis) e la materiale indifferenza nei confronti delle zone rurali, dove di fatto risiede la maggior parte dei poveri del mondo. E' scandaloso che gli aiuti internazionali in favore dell'agricoltura siano diminuiti di due terzi dagli anni Ottanta: nel 2000 gli investimenti della Banca Mondiale in questa direzione ammontavano a meno del 10% delle somme complessive erogate. Negli ultimi anni un nuovo soggetto si è affacciato sul mondo della produzione agricola: il consumatore. Il poeta-agricoltore Wendell Berry non ci ricorda che «nutrirsi è un evento agricolo»? Per il consumatore medio questo ha implicato l'assunzione di una nuova identità: il classico cliente distratto si è trasformato in un soggetto dotato di senso critico verso il sistema alimentare, perché sempre più curioso delle origini e della storia degli alimenti. Siamo di fronte a una maggiore sensibilità dei consumatori che dovrebbe portali a percepire i recenti allarmi alimentari non come incidenti isolati, ma come sintomi di un sistema agricolo malato bisognoso di essere ri-sanato.
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