l'alternativa agroecologica



     
    
 
il manifesto - 16 Giugno 2002
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Ricetta di salvataggio 
GIANNI MORIANI
 
  
   
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 apertura
 
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Ricetta di salvataggio 
L'alternativa agroecologica per combattere inquinamento e fame prodotti
dall'industria agroalimentare
GIANNI MORIANI
Con i metodi attualmente utilizzati, l'agricoltura fornisce grandi quantità
di cibo distruggendo ecosistemi, mentre intere popolazioni soffrono la fame
e le comunità rurali gradualmente scompaiono assieme ai loro habitat
isteriliti dalla chimicizzazione dei campi. Così esordisce Brian Halweil
nel suo illuminante saggio apparso in State of the World '02 (Edizioni
Ambiente). Nel 2001 David Tilman (Università di Minnesota) ha addirittura
ipotizzato che nei prossimi decenni l'agricoltura industriale arriverà a
modificare l'intera biosfera del pianeta con «impatti ambientali di vasta
portata e irreversibili».

Alternativo a questo devastante sistema alimentare è il modello
agroecologico. Un approccio che considera le aziende agricole come
ecosistemi più autosufficienti e perciò meno condizionati dall'uso di
sostanze chimiche: una svolta che consentirà di conciliare le esigenze del
settore agricolo con l'ambiente, offrendo una speranza agli agricoltori più
poveri. Imboccare questa strada favorirà il risveglio delle comunità rurali
e richiederà anche la riformulazione della catena alimentare, con i
consumatori che sempre più si rivolgeranno direttamente agli agricoltori e
si preoccuperanno dell'origine di ciò che mangiano.

Questi erano gli ambiziosi obiettivi elaborati al Summit della Terra di Rio
di Janeiro (1992). A dieci anni di distanza non si può non constatare che
la realizzazione di tali obiettivi sia stata oltremodo deludente. Il
prossimo Summit di Johannesburg costituisce un'occasione per rilanciare
l'agroecologia: necessità che si presenta estremamente urgente per
l'insostenibilità dell'agricoltura moderna. Ricercatori dell'Università di
Essex hanno infatti stimato che nella sola Gran Bretagna l'agricoltura
industrializzata costa alla comunità oltre 2 miliardi di dollari all'anno
per le spese derivanti: dalla rimozione dei pesticidi dall'acqua potabile,
dal danno causato dall'erosione del terreno, dalle intossicazioni
alimentari e dal morbo della mucca pazza. Cosicché i cittadini britannici
pagano tre volte ciò che mangiano: una volta tramite le sovvenzioni agli
agricoltori, una seconda volta per riparare i danni arrecati all'ambiente
dai metodi agricoli inquinanti e un'altra volta ancora al momento
dell'acquisto.

La selvaggia tecnologizzazione dei campi ha messo l'agricoltura in
conflitto con l'ambiente. A livello mondiale, i fertilizzanti utilizzati
dagli agricoltori sono 10 volte superiori a quelli impiegati nel 1950, ma
la produzione di derrate è soltanto triplicata; nello stesso periodo la
spesa dei pesticidi è aumentata di 17 volte, mentre la quota di raccolto
perduta a causa dei parassiti è rimasta sostanzialmente invariata.
Emblematico è l'esempio di una delle regioni più produttive del pianeta, il
Midwest USA, dove l'80% dei terreni viene coltivato soltanto a mais e soia:
ciò richiede un uso massiccio di fertilizzanti e pesticidi, poiché le
monocolture attirano i parassiti e sottraggono molti nutrienti al terreno.

Oltre alla diffusione dell'inquinamento, l'agricoltura del nostro tempo, è
anche responsabile del drammatico depauperamento delle risorse idriche:
quasi il 10% dei cereali mondiali viene oggi prodotto prosciugando queste
risorse. Drammatica è la situazione nella Cina settentrionale, dove i
contadini estraggono più acqua di quanta ne venga reintegrata dalle
precipitazioni, con il risultato di provocare l'abbassamento di 1-1,5 metri
all'anno delle falde idriche.

Cosicché, il dissennato uso dell'acqua per l'irrigazione minaccia oltre la
metà delle mille grandi zone umide considerate vitali per la comunità del
globo.

La riprova più tangibile di quanto sia incompatibile l'attuale sistema di
produzione alimentare è data dal fatto che gli agricoltori costituiscono la
categoria produttiva più povera del pianeta: degli oltre 1,2 miliardi di
persone che in tutto il mondo guadagnano non più di un dollaro al giorno,
il 75% lavora, sopravvive e muore in zone rurali. Le ridotte opportunità di
campare con l'agricoltura hanno attivato esodi di massa dalle zone rurali.

Per andare incontro agli agricoltori poveri, l'innovazione deve aumentare
la stabilità della produzione, garantendo sufficiente flessibilità in modo
da poter trovare applicazione in contesti ecologicamente diversi. Per molti
aspetti si tratta di un approccio più sofisticato, in quanto dipende da una
profonda comprensione delle interazioni ecologiche dei territori agricoli.
L'uso ottimale delle risorse e delle conoscenze locali garantisce più
efficacia ed efficienza di qualsiasi sostanza chimica, ritrovato
tecnologico o applicazione delle innaturali biotecnologie. Anziché
ricorrere a strumenti utilizzati ovunque allo stesso modo, l'approccio
agroecologico si inspira a principi la cui applicazione varia a seconda dei
luoghi. La sua utilità, in particolare per gli agricoltori più poveri, è
stata confermata da uno studio condotto dall'Università di Essex su oltre
200 progetti agricoli di matrice agroecologica nei paesi in via di
sviluppo. La ricerca ha evidenziato che in tutti gli interventi (9 milioni
di aziende agricole per un totale di quasi 30 milioni di ettari) la
produzione aumentava in media del 93%. Ma l'aspetto ancora più rilevante
risiede nel fatto che la maggior parte di questi progetti riusciva ad
aumentare la produzione in condizioni avverse e in aree marginali in cui
qualsiasi altro intervento aveva in precedenza fallito.

Naturalmente, affinché questo tipo di agricoltura possa prosperare, gli
agricoltori dovranno controllare l'utilizzo delle risorse e prendere
decisioni secondo criteri non sempre convenzionali. La mancanza di un tale
orientamento è una delle cause principali per cui molti sistemi agricoli a
basso costo, ma ad alta produttività non hanno successo, soprattutto se si
considera che il successo di qualsiasi tecnica agricola ecologica dipende
dalla conoscenza e dall'adattamento alle caratteristiche specifiche locali.

Un altro limite alla diffusione dell'agricoltura ecologica è costituito dal
limitato ruolo che le donne hanno nelle decisioni del settore agricolo.
Eppure nei paesi in via di sviluppo le donne lavorano i campi, seminano,
estirpano le piante infestanti, trasportano l'acqua necessaria ai campi e
alla famiglia, procurano il cibo e lo cucinano. Il loro ruolo di «custodi
alimentari» è cresciuto ulteriormente con la massiccia emigrazione degli
uomini verso la città. Ad esempio, in quasi il 40% dei nuclei familiari
delle zone rurali dell'India, il capofamiglia è adesso una donna.
Ciononostante, i programmi di sviluppo rurale ignorano costantemente le
donne, discriminandole e favorendo gli uomini nei crediti e in altri servizi.

Un altro limite allo sviluppo dell'agroecologia è dovuto al fatto che la
maggioranza dei terreni agricoli è nelle mani di una minoranza elitaria,
che spesso determina il modo in cui tali terreni vengono utilizzati. Circa
500 milioni di persone (100 milioni di famiglie) occupate nel settore
agricolo (la maggior parte delle popolazioni rurali dell'Asia meridionale e
sud-orientale, dell'America centrale e meridionale e dell'Africa
meridionale e orientale) non godono di diritti di proprietà sulle terre che
coltivano.

Questo quadro evidenzia con forza anche tutta la contraddizione tra la
retorica della riduzione della povertà delle grandi istituzioni
internazionali (Banca Mondiale in primis) e la materiale indifferenza nei
confronti delle zone rurali, dove di fatto risiede la maggior parte dei
poveri del mondo. E' scandaloso che gli aiuti internazionali in favore
dell'agricoltura siano diminuiti di due terzi dagli anni Ottanta: nel 2000
gli investimenti della Banca Mondiale in questa direzione ammontavano a
meno del 10% delle somme complessive erogate.

Negli ultimi anni un nuovo soggetto si è affacciato sul mondo della
produzione agricola: il consumatore. Il poeta-agricoltore Wendell Berry non
ci ricorda che «nutrirsi è un evento agricolo»? Per il consumatore medio
questo ha implicato l'assunzione di una nuova identità: il classico cliente
distratto si è trasformato in un soggetto dotato di senso critico verso il
sistema alimentare, perché sempre più curioso delle origini e della storia
degli alimenti. Siamo di fronte a una maggiore sensibilità dei consumatori
che dovrebbe portali a percepire i recenti allarmi alimentari non come
incidenti isolati, ma come sintomi di un sistema agricolo malato bisognoso
di essere ri-sanato.