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il tempo del lavoro
- Subject: il tempo del lavoro
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 18 May 2002 11:05:32 +0200
dal corriere di giovedi 16 maggio 2002 Giovedì 16 Maggio 2002 Mestieri ambiti e rifiutati IL TEMPO DEL LAVORO Il mercato del lavoro assomiglia a una sala cinematografica: diverse poltrone sono occupate, ma molte sono vuote, e molta gente se ne sta in piedi in fondo alla sala, senza capire bene quale film stia per essere trasmesso. Milano, metropoli caotica e affannata, non sfugge a questa immagine. Sono molte le opportunità di lavoro che offre, ma molte occasioni restano vacanti. E’ un problema di culture del lavoro e di mancanza di orientamento. L’ultimo caso è quello degli ausiliari della sosta, i vicevigili: su un migliaio di posti disponibili, circa 700 sono vacanti. Nessuno si candida. Eppure ci saranno persone disponibili a prendere da 600 (orario ridotto) a 1.200 euro lordi (tempo pieno) al mese per dare multe ai milanesi? Il rifiuto di questi posti sta nella loro temporaneità (contratti di sei mesi, rinnovabili) e, probabilmente, nella speranza del posto fisso: il Comune ha infatti annunciato la volontà di passare dagli attuali 3.200 vigili a 5 mila. E si tratta di posti fissi e sicuri. Insomma, il mito del posto fisso si aggira anche nella metropoli del lavoro flessibile. Segno, probabilmente, che siamo arrivati a un punto limite: l’accettabilità dei posti a termine si sposa con l’età e con i più giovani. Ma quando questa fascia è relativamente satura, non si trovano persone più avanti con gli anni disponibili al posto a tempo. Quando si ha o si vuol metter su famiglia e prender casa, il posto temporaneo non serve, anzi. Il risultato è chiaro: non ci si sposa, niente mutuo, niente casa, niente famiglia. Ma anche i più giovani «sembrano» avere le idee chiare. Vogliono posti di lavoro che permettano loro di imparare e di crescere. Mentre spesso si vedono offrire posti non adeguati, nel loro immaginario, al titolo di studio e alle loro aspettative. Vogliono un lavoro che lasci loro del tempo e offra occasioni per apprendere. E poi rifiutano la «fabbrica», ma anche l’«azienda». Ne hanno un’immagine vecchia, spesso non corrispondente alla realtà, e non la prendono in considerazione. Preferiscono vagheggiare il mito di posti elitari e lontani (il top manager, il diplomatico, il direttore di giornali), mentre sotto sotto aspettano la dritta dei più grandi (la raccomandazione) o il concorso per un posto pubblico. Ambirebbero a posti da liberi professionisti (possibilmente notai e commercialisti), ma in fondo si «accontenterebbero» di un posto in banca. Nella metropoli del lavoro, ancora scossa dall’ultimo appello del cardinal Martini («No al lavoro precario e totalizzante, che richiede una dedizione così totale e monopolizzante che lo si potrebbe catalogare sotto l’elenco delle idolatrie deprecate dalla Scrittura»), cui hanno fatto eco dichiarazioni per la verità in parte dissonanti del Papa («Con il lavoro l’uomo diventa più uomo»), c’è tanta fame di orientamento. I giovani esprimono un disagio e una difficoltà verso il lavoro, un disorientamento da esploratori senza bussole e senza direzione. Per questo è necessario che dentro il Patto per il lavoro recentemente firmato a Milano sia dato uno spazio grande alla formazione e all’orientamento. Ma chi dovrà fare orientamento? Riusciranno le imprese, le famiglie, la scuola, le istituzioni, i sindacati a svolgere un orientamento all’altezza della situazione? di WALTER PASSERINI
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