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liberarsi da microsoft
- Subject: liberarsi da microsoft
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 09 May 2002 17:55:19 +0200
il manifesto - 05 Maggio 2002 Liberarsi da Microsoft Numerosi paesi, sviluppati e no, migrano verso i sistemi operativi open source F. C. Nei tempi più recenti è aumentato il numero di paesi in via di sviluppo che hanno deciso di abbandonare i sistemi software di Microsoft (Windows, Office e dintorni) per abbracciare invece il software Open Source, proposto da aziende di distribuzione alternative e di solito basato sul sistema operativo Linux. L'ultimo in ordine di tempo è stato il Perù. Anche nei paesi sviluppati e ricchi, per altro, la tendenza è a usare Linux in molte situazioni governative: nelle università, in intere aree dell'Unione Europea, in diversi dipartimenti o ministeri. Per Bill Gates è una tendenza allarmante, che richiede perciò immediate contromisure. Un successo la Microsoft l'ha spuntato in Messico: questo paese aveva deciso di far crescere la propria cultura di base informatica e l'informatizzazione diffusa proprio usando Linux, ma il progetto non era stato sviluppato adeguatamente e così il mese scorso il governo messicano e la stessa Microsoft hanno firmato un accordo di collaborazione di lunga durata, che in sostanza annulla i precedenti progetti. Il risultato è stato ottenuto grazie a un intenso lavoro diplomatico e anche grazie ai buoni uffici del Dipartimento di Stato americano che ha per così dire stretto nell'angolo il presidente messicano Fox. Messico a parte, la tendenza dei paesi a liberarsi (o a ridurre) il peso eccessivo dei prodotti Microsoft è evidente. Questo avviene sia per motivi di costo (un sistema Linux completo, autoinstallante, costa tra i 50 e i 100 dollari e le licenze sono multiple), sia perché al di sopra della piattaforma Linux esistono ormai programmi applicativi affidabili e quasi confrontabili con quelli Microsoft, sia perché si tratta di software aperto: di esso i programmatori locali possono vedere «cosa c'è dentro» ed eventualmente modificarlo secondo le proprie esigenze e questa è una formidabile occasione di flessibilità e personalizzazione. Nessuna meraviglia dunque che molte delle parole offerte da Bill Gates alla conferenza di Seattle con i funzionari governativi di tutto il mondo siano state dedicate al ruolo dell'industria del software come creatrice di ricchezza nazionale e al tema del software Open Source. Nell'occasione Gates ha sviluppato questa teoria: «L'approccio capitalistico» (alla generazione di ricchezza) prevede che il software debba generare dei posti di lavoro e che la ricerca e sviluppo dei governi debba fare altrettanto; perciò «la R&S deve essere condotta in modo tale da poter essere commercializzata». A prima vista la frase sembra arcana o ovvia, ma c'è un elemento razionale sotto e c'è una paura, da parte dello stesso Gates, il quale da qualche mese va conducendo un'azione di lobby e propaganda perché il governo americano in primo luogo la smetta di finanziarie ricerche software che vengono svolte sotto la filosofia dei sistemi aperti. E come mai? Perché quando un software è Open Source, viene vincolato a una speciale licenza d'uso, chiamata Gpl, la quale suona così: questo software può essere liberamente diffuso, riprodotto e modificato, ma non può essere appropriato da nessuno. In altre parole: se Microsoft trova un dipartimento universitario che ha realizzato un ottimo algoritmo per il riconoscimento vocale, lo può liberamente usare, ma non può chiuderlo in un suo prodotto e venderlo come proprio. Gates invece pensa che le università debbano liberamente sviluppare idee e software - è un'ottima cosa dice - ma senza licenza Gpl, di modo che una Microsoft di turno possa eventualmente acquistarlo e commercializzarlo. In altre parole la mano pubblica deve operare al servizio dell'ecosistema economico dell'Information Technology, e quello che è pubblico (le idee, i programmi) deve diventare privato per poter produrre ricchezza, privata e pubblica. Il modello è coerente e finora ha funzionato, ma specialmente per Microsoft stessa. Solo che oggi è in crisi e Gates lo sa: «Che bisogno c'è di rendere aperto il codice sorgente di un sistema operativo?» si è chiesto nell'occasione. Tutto quello che vi serve è che funzioni bene, che sia standard e che non vi crei problemi. Il fatto è che i problemi li crea (per esempio i bug di sicurezza e di malfunzionamento), ma soprattutto che quando uno abbia esigenze diverse, deve solo sperare che Microsoft prima o poi adotti le modifiche sperate. Ma non può farci niente. Al contrario, un paese in via di sviluppo che acquisti dei camion Toyota può sempre alzare il cofano (aprire il codice), cambiare il carburatore, modificare l'anticipo del motore, insomma adattare quei veicoli alle esigenze delle sue strade e del suo clima. E' la cosiddetta legge di proprietà per cui quando si acquista un bene se ne può fare ciò che si vuole. Ma che non vale per il software, che non viene venduto, ma solo ceduto in licenza d'uso, con rigida proibizione di aprirlo e toccarlo dentro.
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