hi tech in rosso fisso



  
il manifesto - 23 Aprile 2002  
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Hi tech in rosso fisso
20.000 esuberi in Ericsson, 6.000 da Lucent. Bill Gates davanti ai giudici
antitrust
E la bolla continua Non si ferma il tracollo dei titoli tecnologici e
telefonici. Ieri la Worldcom ha perso il 33%, trascinando in caduta il Nasdaq
FRANCESCO PICCIONI
La ripresa è cominciata, dicono i «sette grandi» e il Fondo monetario
internazionale. Può darsi - dimostrano i mercati - ma si continua a vedere
nero, perlomeno a breve termine. A pagare il prezzo più alto di questa
incertezza sono ancora le società più rappresentative del settore hi tech.
E' non è di buon augurio. La giornata di ieri ha portato notizie tragiche
sia dall'Europa che dagli Stati uniti. I vertici di Ericsson, gigante
svedese della telefonia, hanno reso noto che la società ha chiuso il primo
trimestre con perdite pari a 5,4 miliardi di corone svedesi (1.150 miliardi
di vecchie lire), molto superiori alle attese degli analisti; e senza
previsioni di ritorno a breve alla redditività. Il tracollo di Ericsson
abbatteva le borse, che pure avevano digerito nei giorni scorsi anche le
brutta performance di Nokia. Abbatteva certo di più i lavoratori
dell'azienda, cui è stato annunciato un piano di tagli da 20.000 posti
entro il 2003. La bolla della new economy è esplosa ormai da tempo,
insomma, ma il «botto» continua a spargere macerie. D'altro canto non si
capisce come si possa, in tempi ostici per i consumi di massa - depressi da
blocco dello sviluppo di molti paesi emergenti, ondate di licenziamenti in
occidente, precarietà occupazionale e bassi salari - sperare che le spese
per la «comunicazione non di prima necessità» riprendano a crescere.

La conferma, a stretto giro di fuso orario, arrivava da New York. Worldcom,
la seconda società statunitense di telefonia a lunga distanza, ha rivisto
al ribasso - per la seconda volta in pochi mesi - le previsioni relative a
vendite e utili per il 2002. Il titolo ha perso in pochi minuti oltre il
33%, contribuendo a riportare il Nasdaq ai minimi dell'anno. Per un titolo
che già aveva perso, in meno di 3 anni, oltre il 94% si prospetta così lo
spettro di un finale a la Enron. L'accostamento non è davvero casuale:
soltanto un mese fa la Sec (l'organismo federale di controllo della Borsa)
aveva chiesto informazioni sulla contabilità del gruppo. Sembrava infatti
«strano» che i vertici dell'azienda accordassero all'amministratore
delegato, Bernard Ebbers, un prestito personale da 400 milioni di dollari
dopo che le banche avevano già chiuso diverse linee di credito.

Il quadro della giornata sembrava già grave con l'annuncio di Lucent
Technology, primo produttore Usa di apparecchiature per le tlc - vendite in
calo del 40%, perdite miracolosamente scese a 495 milioni dollari e tagli
all'occupazione per circa 6.000 posti - quando Bill Gates andava a sedersi
per la prima volta davanti ai giudici della causa antitrust intentatagli da
18 stati e dalla presidenza Usa sotto Bill Clinton. L'ormai maturo marpione
cercava immediatamente di volgere a proprio favore l'aria pessimistica che
arrivava da Wall Street: «Le sanzioni richieste svaluteranno la società e
obbligheranno Microsoft a ritirare Windows dal mercato». Con quali
conseguenze? «Le modifiche richieste dagli stati - separazione tra sistema
operativo e programmi applicativi, browser per Internet in primo luogo -
costerebbero al gruppo 10 miliardi di dollari. Il valore della società
sarebbe portato a zero». Chiaro come il sole: il titolo Microsoft strava in
quel momento perdendo il 3% a Wall Street e il discorso andava letto perciò
così: volete voi contribuire al crollo generale del mercato e del sistema
americano? Di fronte a tale pericolo, cosa volete che sia una violazione
sistematica e strategica delle normative antitrust (che però, a rigore,
sono uno dei più sbandierati vessilli che identificano il «sistema
americano»)? Vedremo nelle prossime settimane se questa mozione
«terroristica» avrà fatto effetto sui giudici. Per ora, e di certo, di
«ripresa» si continua a parlare con formula interrogativa.