art.18 obbiettivo flessibilita'



  
il manifesto - 13 Aprile 2002 
 
 
Art.18 e non solo...
Obiettivo flessibililità 
Le leggi delega del governo sono sempre piene di sorprese. A leggere bene
c'è di tutto. Dietro la definizione di flessibilità si nasconde un preciso
obiettivo: la piena supremazia del capitale sul lavoro, cioè sulle
condizioni di vita dei lavoratori.
PAOLO ANDRUCCIOLI
Le leggi delega del governo Berlusconi sono piene di sorprese. Non si
finisce mai di stupirsi andandole a spulciare con un po' di pazienza tra i
noiosi commi e rimandi a quella legislazione vigente che si vuole smontare
pezzo a pezzo. Si è parlato tanto dell'articolo 18, dell'arbitrato, degli
ammortizzatori sociali (per i quali non ci sono soldi), delle nuove forme
del lavoro flessibile, della fine della concertazione e quindi della
modificazione del sindacato. Ma forse è sfuggito un altro particolare
contenuto nella legge delega attualmente in votazione al senato sul mercato
del lavoro: la definitiva trasformazione del lavoro in una merce che si può
affittare a vita (leasing), trasferire da uno stabilimento all'altro,
prestarsi tra imprenditori. Forse siamo esagerati, ma una delle intenzioni
del governo di destra ci sembra quella di trasformare il mercato del lavoro
italiano in un esercito di «interinali» a vita. Nella delega governativa
all'articolo 1 si prevede per esempio il superamento della legge 1369 del
1960 e della riforma dell'articolo 2112 del codice civile, delle norme cioè
che regolano il mantenimento delle garanzie per i lavoratori che vengono
trasferiti da un'azienda a un'altra o da un settore all'altro della stessa
azienda. Siccome la materia è alquanto ostica, per comprenderla meglio, ci
siamo avvalsi del lavoro di un gruppo di giuristi che insieme ad alcuni
sindacalisti della Cgil specialisti in mercato del lavoro hanno pubblicato
un'analisi dettagliata del Libro bianco di Maroni e delle deleghe sul
lavoro (Lavoro, ritorno al passato, edizioni Ediesse, 2002). Ebbene i
giuristi che hanno lavorato al libro (Alleva, Ghezzi, ecc.), ma anche
moltissimi altri (Pivetti, Mattone, ecc.) sostengono che la filosofia di
base dei provvedimenti del governo punta da una parte a una riduzione
dell'orario nel senso del progressivo svuotamento delle prestazioni fisse
in azienda del lavoratore assunto a tempo indeterminato (una riduzione del
lavoro che non è certo quindi liberazione dal lavoro e la condivisione del
lavoro da parte di tutti come l'avevamo pensata noi) e dall'altra alla
riduzione del lavoratore «a una merce liberamente commerciabile». In questo
contesto si spiega la liberalizzazione del collocamento privato (ed è anche
per questo che il ministro Maroni accelera sulla riforma varata giovedì che
svuota il collocamento pubblico) e della interposizione di manodopera, un
fenomeno che in futuro non sarà più temporaneo come è oggi con le agenzie
di lavoro interinali (il lavoro in affitto), ma permanente. «In sostanza -
si legge nel libro della Cgil - ogni impresa, invece di assumere suoi
dipendenti, potrebbe affittare e utilizzare a tempo indeterminato i
lavoratori di una certa scuderia, di un certo fornitore di fiducia, vero e
proprio commerciante in lavoro altrui». Anche secondo Marco Pivetti,
magistrato con una lunga esperienza «lavoristica», l'abrogazione della
legge 23 ottobre 1960, n.1369 sull'appalto di manodopera, rischia di
autorizzare senza alcuna limitazione la somministrazione di manodopera. Se
fosse davvero così la trasformazione dei rapporti di produzione e in
generale dei rapporti sociali sarebbe evidente. Ci si chiede anche come si
possa conciliare questa trasformazione del lavoro in prestazioni in affitto
con l'ideologia dello stesso governo di destra che auspica una maggiore
partecipazione e integrazione dei lavoratori nella gestione delle imprese.
Dagli antichi ricordi della democrazia economica si passa alla
«somministrazione» del lavoro, senza limiti di tempo. «Volete un
lavoratore: chiedetecelo a tutte le ore, noi ve lo forniremo». Potrebbe
essere questo lo slogan del nuovo business della intermediazione di
manodopera.

Ma non c'è solo il lavoro in affitto, o le tante forme di scomposizione del
lavoro. C'è anche un progetto per la riorganizzazione delle imprese e del
tessuto produttivo funzionali a questo modello. Si tende a legalizzare quel
processo nascosto che in questi anni ha caratterizzato il lavoro in
appalto, subappalto, in concessione e via dicendo, soprattutto in alcuni
settori come il tessile-abbigliamento e l'edilizia. Fenomeni di
scomposizione delle aziende in tante scatole cinesi, una dentro l'altra, ma
irresponsabili l'una dell'altra al momento della crisi e dei licenziamenti.
Con le deleghe il governo italiano va nella direzione opposta a quella
scelta dalla Francia, soprattutto dopo il caso Danone. Se passasse tutto lo
schema ideato nelle deleghe tra qualche anno le imprese italiane saranno
sicuramente più libere, ma sicuramente meno responsabili. Potranno
nascondersi e scomparire molto meglio di oggi. Anche qui non si capisce
come tutto ciò si possa conciliare con la battaglia per l'emersione del
sommerso. Battaglia - tra parentesi - che il ministro Tremonti sta per ora
miseramente perdendo, visti i risultati della legge dei cento giorni. Dal
punto di vista dei lavoratori, quello che si prospetta è un futuro più
flessibile e precario. Il lavoratore - privato anche del sostegno dei
sindacati e in generale della solidarietà dei suoi compagni di lavoro -
sarà sempre più solo.