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web divergenze digitali
- Subject: web divergenze digitali
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 13 Apr 2002 07:30:51 +0200
il manifesto - 06 Aprile 2002 HIGHTECH Il paradosso del gossip La fine della vecchia Internet e lo sviluppo della Rete, dove le imprese cercano di colonizzare la comunicazione on line. «Divergenze digitali», l'ultimo libro di Franco Carlini BENEDETTO VECCHI Internet è morta, ma sulle sue ceneri si è sviluppata la Rete, una ragnatela che avvolge il mondo, riflettendo le tensioni, i conflitti, gli stili di vita, le strategie imprenditoriali che vivono al di fuori degli schermi dei computer connessi tra loro. Il decesso del «vecchio» World Wide Web è però da considersi un fenomeno «naturale» e non serve a nulla rimpiangere il bel tempo antico in cui Internet era una terra di nessuno che consentiva di vivere in libertà e offriva riparo da una realtà pervasa da una logica mercantile che tende a ridurre tutto a merce. Questo appartiene al passato e il presente ha bisogno di essere compreso, analizzato, a partire da quella lenta, ma inesorabile colonizzazione da parte della logica mercantile. Strumento idoneo a questa necessaria «decodificazione» è la registrazione puntuale di ciò che accade. E' questo il contesto in cui si inscrive il lavoro, oramai ventennale, di Franco Carlini di indagine sull'industria informatica e non solo - da articoli scritti per questo giornale a libri «pionieri» sull'«era digitale» - e, che si arricchisce in questi giorni con il volume Divergenze digitali (manifestolibri, pp. 195, 14,46 euro). Franco Carlini è una firma storica di questo giornale, sin dalla sua fondazione quando, giovanissimo, cominciò a scrivere per il manifesto da Genova. Una presenza costante che ha avuto il merito di aprire il giornale alla riflessione sulla «grande trasformazione» provocata dal personal computer. Un'attenzione che non è mai venuta meno, come testimonia la pagina settimanale Chip&Salsa da lui curata da orami un decennio. Analisi quindi serrata e conclusioni mai avventate sui mutamenti work in progress del mondo dell'high-tech, sempre fuggendo dalla tentazione di apodittiche affermazioni su questo o quell'aspetto della «rivoluzione informatica». Una metodologia che viene riproposta anche in Divergenze digitali. Un libro che segnala quindi lo stato dell'arte della diffusione della Rete, senza voler arrivare ad affrettate sintesi, né a nessuna proposta «rivoluzionaria», ma che vuole offrire una asciutta ricognizione di una realtà che non conosce punti di equilibrio, ma solo tendenze tra loro conflittuali: dal commercio elettronico alla trasformazione di Internet in una pervasiva televisione interattiva, dall'evoluzione del diritto d'autore alla tesi che vede la «rete» come il medium della cosiddetta new economy. La rete non è più quella di vent'anni o dieci anni fa. E' cresciuta in termini di nodi, di connnessioni, di utenti, al punto che va considerata davvero un «medium» globale, nonostante l'accesso a Internet continui a essere precluso alla maggioranza della popolazione mondiale. Internet è cioè diventato uno strumento di comunicazione alla portata di tutti, più o meno come il telefono. E come valeva e vale per il telefono, l'impossibilità o meno di avere un apparecchio in ogni casa dipende da altri fattori - politici, economici, di potere - inerenti ai rapporti sociali. La trasformazione di Internet in medium globale attiene quindi ai rapporti di potere all'interno della società industriale e alla capacità del capitalismo di presentarsi come un modello di società «universale». Una delle prime conseguenze della trasformazione di Internet in una tecnologia della comunicazione globale è l'uso che ne stanno facendo le imprese per «fare affari». Questa è, afferma con ragione Franco Carlini, la novità degli ultimi anni. Ciò non significa che i tentativi di usare Internet per «commerciare» abbiano avuto successo. Al contrario solo una parte marginale degli scambi economici avviene in Rete. Allo stesso tempo, i tentativi di trasformare Internet in una televisione interattiva sono anch'essi segnati da clamorosi insuccessi. Questo non significa che Internet non rappresenti un mercato appettibile per le grandi corporation della comunicazione, come segnalano, tra le altre cose, i massicci investimenti fatti dai colossi dell'intrattenimento o la corsa a concentrazioni oligopoliste. Ma anche in questo caso, secondo l'autore, possono essere considerate più delle sperimentazioni che una tendenza vincente nella colonizzazione mercantile della rete. Per Carlini, Internet è nata per «chiaccherare», e poco importa se di cose futili o importanti. Da qui nasca la affermazione che la rete sarà conquistata solo da chi sfrutterà questa sua caratteristica «genetica». Ed è proprio su questo paradosso di Internet - gli investimenti multimiliardari da parte delle multinazionali che incontrano l'indifferenza degli oltre mezzo miliardo di uomini e donne che quotidianamente si collegano a Internet solo per «chiaccherare» - che il volume si dilunga di più. Partendo dalla nota vicenda di Napster. Nato come sito per scambiarsi brani musicali da parte dei teenager americani, Napster è diventato il nemico numero uno delle case discografiche Usa per la violazione dei diritti d'autore. Ne è nata una causa giudiziaria che ha visto prevalere le ragioni dei discografici. Ma da quando Napster è diventato a pagamento, le connessioni sono crollate, mentre i siti a pagamento messi in piedi da alcune case discografiche si sono rivelate un fallimento. Per Carlini questa è la vicenda che meglio rappresenta lo «spirito» dominante nella rete con il quale fare i conti: non si capisce perché bisogna pagare qualcosa che ha a che fare con i gusti, le preferenze, quel piacere conviviale di scambiarsi opinioni su questo o quello. Inoltre, scambiarsi brani musicali non impedisce l'acquisto del cd del gruppo o del solista preferito. Anzi, spesso è una forma indiretta di promozione, cioè di quel «marketing virale» che sucita interesse. E' questa la nuova frontiera di Internet, sia per le imprese che per chi è alieno dalla logica mercantile: come garantire l'accesso e la gratuità Di Internet, chiedono politicamente i libertari del cyberspazio. Come fare affari senza intaccare questa preferenza per la gratuità espressa dai navigatori di Internet, si domandano i manager più spregiudicati. Questa parte del libro è sicuramente quella che più risente dell'attualità. Da buon giornalista Carlini sa benisssino che quello che brilla al sole oggi, può essere dimenticato domani. E tuttavia è indubitale che è in atto una tendenza irreversibile a concentrare nella mani di pochi l'accesso alla rete, la sua produzione di contenuti «immateriali», di software... Tendenza che non viene smentita, ma anzi rafforzata dalla fioritura di imprese basate su una buona idea, mentre il «surplus» prodotto dalla speculazione finanziaria sembra essere un polmone inesauribile di denaro fresco per spregiudicate operazioni di capital venture e start-up. Anche in questo caso Carlini mette in guardia e invita a guardare alla struttura «profonda» del capitalismo. Ma proprio guardando a quanto avviene nella new economy questa predilizione verso la sola «struttura» fa perdere di vista il labirinto delle soggettività, delle forme di vita, dei conflitti che animano la new economy, ridiemensionando il fatto che le piccole e dinamiche imprese high-tech sono il vettore dell'innovazione che si avvale di una cooperazione sociale «in libertà vigilata». Una impresa dot.com, così vengono chiamate le imprese operanti su Internet, spesso produce solo idee, merci «immateriali», chiacchere. Non mettere in rapporto ciò con i mutamenti proprietari avvenuti su Internet rischia di far perdere la bussola anche al più smaliziato dei naviganti. Inoltre, questo vociante atelier della cooperazione sociale che rende il diritto d'autore la frontiera su cui si gioca il conflitto più aspro dell'era digitale o dell'«era dell'accesso», come sostiene Jeremy Rifkin. Va detto subito, e a scanso di equivoci, che l'analisi di Carlini sul diritto d'autore e il diritto d'accesso è più convincente di quella dello studioso americano. Da una parte il diritto d'autore e il diritto d'accesso sono terreni di conflitto dentro e oltre lo schermo e non una tendenza lineare governata dalle grandi multinazionali della conoscenza che incontra rare e marginali opposizioni, come invece sostiene Rifkin. Ma il diritto d'autore è lo strumento giuridico e quindi politico per «sussumere» la comunicazione alla logica capitalista. Anche in questo caso Franco Carlini è cauto nel tirare conclusioni. Riconosce che è questa la frontiera dove si gioca il futuro della «nuova Internet», ma non vuole azzardare previsioni. Una cautela che rinvia solamente a quella caratteristica «genetica» della Rete che rifiuta la dimensione economica, da considerare quindi come l'unico antidoto alla sua completa colonizzazione da parte delle imprese. Ma se il diritto d'autore è il nodo che tutti cercano di sbrogliare, l'analisi della struttura capitalistica deve arricchirsi dei conflitti che popolano il mondo dentro e fuori lo schermo. Altra strada da percorrere non c'è all'orizzonte. E Franco Carlini, da grande amante e conoscitore della montagna, sa individuare i sentieri poco battuti. L'auspicio è che la prossima tappa della sua ricognizione del World Wide Web contempli la necessità di cominciare a tracciare quella mappa per uscire dal labirinto della cooperazione sociale assoggettata alla logica capitalistica.
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