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web spot invasivi
- Subject: web spot invasivi
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 01 Apr 2002 19:42:27 +0200
dal manifesto il manifesto - 24 Marzo 2002 Spot invasivi e interstiziali FRANCO CARLINI Spot invasivi e interstiziali Dal semplice banner, magari un po' movimentato, si è rapidamente arrivati alla paginata di pubblicità da sorbirsi obbligatoriamente prima di poter accedere all'informazione che ci interessa FRANCO CARLINI Anche in Italia, purtroppo, sono comparsi i cosiddetti «banner interstiziali» nelle maggiori testate online come Corriere.it o Repubblica.it. Funzionano così: quando un navigatore clicca sul titolo di una notizia, non gli è più consentito di saltare direttamente al contenuto, ma per alcuni secondi, a pieno schermo, deve ammirare una pagina pubblicitaria di un qualche inserzionista: è come se, schiacciando il tasto del telecomando per cambiare canale si dovesse vedere un obbligatorio intermezzo pubblicitario (chissà che qualcuno non ci stia già pensando). Interstiziale, in effetti, è ogni forma di pubblicità, nel senso che sempre il «consiglio per gli acquisti» si insinua all'interno di una fruizione di contenuti altri, sia che si tratti di una rivista, di un quotidiano, di un programma radiofonico o televisivo. Per sua definizione e natura, insomma, la pubblicità è sempre invadente, perché è il suo scopo è quello di intercettare l'attenzione del lettore-spettatore, deviandola - almeno provvisoriamente - dal suo fine primario. Molti avranno notato, per esempio, che alcune riviste hanno cominciato a mettere le inserzioni pubblicitarie sulle pagine di destra, dove, sfogliando, cade immediatamente l'occhio e anche questo è un esempio della spasmodica lotta per la conquista dell'attenzione del lettore. Dunque sulla rete va succedendo esattamente quello che già avviene sugli altri media, di che stupirsi? Un momento, per favore, perché non tutti i mezzi di comunicazione sono uguali - anche se simili - e non è detto affatto che le stesse modalità possano essere usate con uguale profitto in contesti diversi. Il non averlo capito e l'insistere tenaci su percorsi importati da altre esperienze è probabilmente alla base delle molte delusioni economiche della pubblicità online. Due sono le differenze fondamentali tra la pubblicità Internet e quella tradizionale (in essa comprendendo tutto il restante e consolidato mondo dell'advertising, dai cartelloni stradali agli spot televisivi). La prima è contingente e potrebbe essere rapidamente superata: mentre i precedenti formati hanno trovato un loro stile e una loro piacevolezza che riesce a farla apprezzare e a offrire godimento, nel caso della pubblicità sul web la qualità è mediamente bassa e persino un po' respingente. Dunque se in televisione capita assai spesso di guardare la pubblicità anche quando interrompe uno spettacolo interessante, sull'Internet quasi sempre ciò non avviene: non c'è un piacere visivo né sensoriale in quei banner che si fanno sempre più grandi, senza offrire gratificazione alcuna. La seconda differenza è ancora più importante e riguarda il diverso atteggiamento psicologico dello spettatore televisivo rispetto al navigatore Internet. Il primo sta seduto in poltrona per rilassarsi, disponibile a farsi inondare dal flusso di immagini e di suoni che arriva dallo schermo. Con dispregio qualcuno parla di «patate lesse in poltrona», ma ognuno di noi in qualche momento della giornata ha bisogno di tali momenti e spazi di relativo vuoto perché non siamo fatti, né fisicamente, né psicologicamente, per essere sempre attivi e interattivi. In una situazione del genere e anche quando lo spettacolo scelto sia interessante, l'irruzione degli spot non viene percepita come eccessivamente disturbante. Capita persino che siano più belli loro del programma che si sta seguendo. Chi invece naviga per la rete (oggi a partire dal suo personal computer, domani dal televisore-Pc) ha un altro stato mentale: è in cerca di qualcosa. Anche quando la navigazione non è per fini utilitaristici (tipo trovare al più presto i commenti alle partite di calcio appena finite) l'atteggiamento è quello di essere in qualche modo proteso verso un fine e in questa condizione ogni elemento di distrazione viene considerato come un disturbo da eliminare. Per evitare tali interferenze i navigatori mettono in opera strategie diverse e inconsce, ma sempre distruttive della pubblicità. La più diffusa è un'operazione di filtro visivo e cognitivo: dal punto di vista fisiologico si vede tutto il monitor, ma l'occhio della mente esplora rapidamente e si concentra solo su ciò che serve, scartando tutto il rumore circostante. Si fa cieco ai disturbi. In tale situazione il tentativo dei banner di aumentare la loro visibilità facendosi più grandi, animati e lampeggianti, non ha molto successo e l'unico risultato è di aumentare il rumore di fondo senza mai riuscire a farsi «segnale». Un analogo sociale di questo fenomeno è l'effetto cocktail party, da tempo studiato dagli psicologi: in una festa molto affollata è difficile farsi sentire dal proprio interlocutore e così si alza la voce, per sovrastare lo sfondo sonoro, ma poiché tutti hanno la stessa esigenza, tutti lo fanno, e il risultato è che tutti gridano, ma nessuno sente. Un altro sistema molto diffuso di cancellazione del disturbo web potrebbe essere chiamato «kill the window», uccidi la finestra, e funziona così: poiché alcuni siti aprono una seconda finestra web che si sovrappone alla pagina cercata (fra tutti il più implacabile è il quotidiano il nuovo.it), il navigatore quando vede scoppiare sullo schermo tale oggetto non desiderato (Pop Up), muove rapidamente il mouse, punta il quadratino della finestra in alto a destra, segnato con una X, e clicca chiudendola (la stessa operazione si può fare con i tasti, usando la combinazione Control-W). E' un po' come un videogioco e il navigatore trarrà particolare soddisfazione dall'uccidere la finestra prima ancora che essa si riempia di contenuti, quali che essi siano: non sei tu che voglio, pussa via!
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