web spot invasivi



dal manifesto

   
il manifesto - 24 Marzo 2002 
 
Spot invasivi e interstiziali 
FRANCO CARLINI
 
 
Spot invasivi e interstiziali 
Dal semplice banner, magari un po' movimentato, si è rapidamente arrivati
alla paginata di pubblicità da sorbirsi obbligatoriamente prima di poter
accedere all'informazione che ci interessa
FRANCO CARLINI
Anche in Italia, purtroppo, sono comparsi i cosiddetti «banner
interstiziali» nelle maggiori testate online come Corriere.it o
Repubblica.it. Funzionano così: quando un navigatore clicca sul titolo di
una notizia, non gli è più consentito di saltare direttamente al contenuto,
ma per alcuni secondi, a pieno schermo, deve ammirare una pagina
pubblicitaria di un qualche inserzionista: è come se, schiacciando il tasto
del telecomando per cambiare canale si dovesse vedere un obbligatorio
intermezzo pubblicitario (chissà che qualcuno non ci stia già pensando).

Interstiziale, in effetti, è ogni forma di pubblicità, nel senso che sempre
il «consiglio per gli acquisti» si insinua all'interno di una fruizione di
contenuti altri, sia che si tratti di una rivista, di un quotidiano, di un
programma radiofonico o televisivo. Per sua definizione e natura, insomma,
la pubblicità è sempre invadente, perché è il suo scopo è quello di
intercettare l'attenzione del lettore-spettatore, deviandola - almeno
provvisoriamente - dal suo fine primario.

Molti avranno notato, per esempio, che alcune riviste hanno cominciato a
mettere le inserzioni pubblicitarie sulle pagine di destra, dove,
sfogliando, cade immediatamente l'occhio e anche questo è un esempio della
spasmodica lotta per la conquista dell'attenzione del lettore.

Dunque sulla rete va succedendo esattamente quello che già avviene sugli
altri media, di che stupirsi? Un momento, per favore, perché non tutti i
mezzi di comunicazione sono uguali - anche se simili - e non è detto
affatto che le stesse modalità possano essere usate con uguale profitto in
contesti diversi. Il non averlo capito e l'insistere tenaci su percorsi
importati da altre esperienze è probabilmente alla base delle molte
delusioni economiche della pubblicità online.

Due sono le differenze fondamentali tra la pubblicità Internet e quella
tradizionale (in essa comprendendo tutto il restante e consolidato mondo
dell'advertising, dai cartelloni stradali agli spot televisivi). La prima è
contingente e potrebbe essere rapidamente superata: mentre i precedenti
formati hanno trovato un loro stile e una loro piacevolezza che riesce a
farla apprezzare e a offrire godimento, nel caso della pubblicità sul web
la qualità è mediamente bassa e persino un po' respingente.

Dunque se in televisione capita assai spesso di guardare la pubblicità
anche quando interrompe uno spettacolo interessante, sull'Internet quasi
sempre ciò non avviene: non c'è un piacere visivo né sensoriale in quei
banner che si fanno sempre più grandi, senza offrire gratificazione alcuna.

La seconda differenza è ancora più importante e riguarda il diverso
atteggiamento psicologico dello spettatore televisivo rispetto al
navigatore Internet. Il primo sta seduto in poltrona per rilassarsi,
disponibile a farsi inondare dal flusso di immagini e di suoni che arriva
dallo schermo. Con dispregio qualcuno parla di «patate lesse in poltrona»,
ma ognuno di noi in qualche momento della giornata ha bisogno di tali
momenti e spazi di relativo vuoto perché non siamo fatti, né fisicamente,
né psicologicamente, per essere sempre attivi e interattivi. In una
situazione del genere e anche quando lo spettacolo scelto sia interessante,
l'irruzione degli spot non viene percepita come eccessivamente disturbante.
Capita persino che siano più belli loro del programma che si sta seguendo.

Chi invece naviga per la rete (oggi a partire dal suo personal computer,
domani dal televisore-Pc) ha un altro stato mentale: è in cerca di
qualcosa. Anche quando la navigazione non è per fini utilitaristici (tipo
trovare al più presto i commenti alle partite di calcio appena finite)
l'atteggiamento è quello di essere in qualche modo proteso verso un fine e
in questa condizione ogni elemento di distrazione viene considerato come un
disturbo da eliminare. Per evitare tali interferenze i navigatori mettono
in opera strategie diverse e inconsce, ma sempre distruttive della
pubblicità. La più diffusa è un'operazione di filtro visivo e cognitivo:
dal punto di vista fisiologico si vede tutto il monitor, ma l'occhio della
mente esplora rapidamente e si concentra solo su ciò che serve, scartando
tutto il rumore circostante. Si fa cieco ai disturbi. In tale situazione il
tentativo dei banner di aumentare la loro visibilità facendosi più grandi,
animati e lampeggianti, non ha molto successo e l'unico risultato è di
aumentare il rumore di fondo senza mai riuscire a farsi «segnale».

Un analogo sociale di questo fenomeno è l'effetto cocktail party, da tempo
studiato dagli psicologi: in una festa molto affollata è difficile farsi
sentire dal proprio interlocutore e così si alza la voce, per sovrastare lo
sfondo sonoro, ma poiché tutti hanno la stessa esigenza, tutti lo fanno, e
il risultato è che tutti gridano, ma nessuno sente. Un altro sistema molto
diffuso di cancellazione del disturbo web potrebbe essere chiamato «kill
the window», uccidi la finestra, e funziona così: poiché alcuni siti aprono
una seconda finestra web che si sovrappone alla pagina cercata (fra tutti
il più implacabile è il quotidiano il nuovo.it), il navigatore quando vede
scoppiare sullo schermo tale oggetto non desiderato (Pop Up), muove
rapidamente il mouse, punta il quadratino della finestra in alto a destra,
segnato con una X, e clicca chiudendola (la stessa operazione si può fare
con i tasti, usando la combinazione Control-W). E' un po' come un
videogioco e il navigatore trarrà particolare soddisfazione dall'uccidere
la finestra prima ancora che essa si riempia di contenuti, quali che essi
siano: non sei tu che voglio, pussa via!