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per una nuova globalizzazione sostenibile
- Subject: per una nuova globalizzazione sostenibile
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 30 Mar 2002 07:07:09 +0100
da boiler.it Per una nuova globalizzazione estratto dall’introduzione di Christopher Flavin a: State of the World 2002 – Rapporto annuale del Worldwatch Institute (a cura di Christopher Flavin, Hilary French e Gary Gardner) Edizioni Ambiente 2002 21,50 euro – 325 pagine IL SUMMIT MONDIALE sullo sviluppo sostenibile, che si terrà a Johannesburg ad agosto 2002, costituirà una preziosa opportunità per i leader mondiali di avvicinarsi ad alcuni tra i temi più cruciali che la specie umana sta affrontando all’alba del nuovo secolo. L’economia globale troverà un nuovo equilibrio con i sistemi naturali delle terra? E sapremo soddisfare le necessità elementari del miliardo e più di poveri attuali, così come quelle dei 2-3 miliardi che andranno ad accrescere l’umanità nei prossimi decenni? All’inizio del 2001, con i miei colleghi del Worldwatch decidemmo che dare un contributo alla definizione dell’agenda per il World Summit era l’obiettivo più significativo su cui avremmo potuto focalizzare State of the World 2002. Erano passati dieci anni dallo storico Earth Summit di Rio de Janeiro, un buon momento, quindi, per ripercorrere i passi compiuti a partire da quell’incontro e pensare a come accelerare il ritmo del cambiamento nel prossimo decennio. Negli ultimi dieci anni, chi si batte per la causa di un mondo sostenibile ha visto dei successi quanto ha sofferto delle delusioni: da tutto quello che è successo si possono trarre importanti lezioni. Instabilità ecologica e umana L’urgenza di questo sforzo è drammaticamente aumentata dopo l’11 settembre. Era mattino presto, quel giorno, quando tra gli autori di State of the World riuniti nella nostra sede di Washington iniziarono a circolare voci di un aereo e poi di un altro che avevano centrato le torri del World Trade Center a New York, con un terzo aereo che si abbatteva sul Pentagono, appena al di là del Potomac. Non appena ci riprendemmo dallo shock e dalla confusione iniziale, con i miei colleghi iniziammo a pensare alle più profonde implicazioni di quella tragedia. Alla fine, questi inquietanti eventi ci ricordano in maniera drammatica che all’instabilità ecologica del mondo contemporaneo si affianca un’instabilità nelle questioni umane che richiede urgentemente attenzione. Rispondere ai più elementari bisogni umani, rallentare una crescita della popolazione senza precedenti, proteggere risorse naturali vitali, le acque potabili, le foreste, le risorse ittiche, sono tutti prerequisiti di una società sana e stabile. Costruire un mondo più sostenibile e sicuro – e che sia basato sui valori umani universali e sulla solidarietà – non potrebbe essere più urgente. Se è nuova l’urgenza, non sono nuovi i temi, che derivano direttamente dall’agenda dell’Earth Summit del 1992. Al centro c’era un consenso globale sull’idea che il mondo avesse bisogno di un nuovo approccio allo sviluppo, in grado di garantire che i bisogni umani siano soddisfatti secondo modalità che non compromettano l’ambiente naturale e non pregiudichino le prospettive delle generazioni future. Il Summit di Rio condusse ad alcuni risultati di portata storica: due trattati globali che sono pietre miliari per quanto riguarda il cambiamento climatico e la biodiversità, e un documento noto come “Agenda 21”, un piano in 40 capitoli per raggiungere lo sviluppo sostenibile. Due questioni alle quali rispondere Questi accordi rappresentano un significativo cambiamento nel modo di vedere e un allargamento degli orizzonti per la comunità umana. Ma il grande entusiasmo del pubblico e l’intensa copertura dei media per la più ampia riunione di leader mondiali mai registrata diede una percezione falsata della distanza da percorrere per un radicale riordino delle priorità mondiali. La stessa Agenda 21 era un elenco di obiettivi piuttosto vago, privo di chiari programmi di attuazione o di requisiti normativi vincolanti. Mentre i governi si preparano per il summit di Johannesburg, e riflettono sulle lezioni dell’11 settembre, due questioni chiedono una risposta: perché sono stati fatti così pochi progressi sull’ambiziosa agenda stilata dieci anni fa? E che cosa va fatto per garantirsi che il prossimo sia un decennio di sviluppo sostenibile per la società e l’ambiente? La risposta alla prima domanda è contemporaneamente semplice e complessa: i governi, come gli individui, in tutto mondo continuano ad affrontare temi come la crescita della popolazione, la perdita di biodiversità, l’accumularsi dei gas serra nell’atmosfera nello stesso modo in cui affronta problemi locali di inquinamento dell’aria o dell’acqua, problemi che possono essere risolti semplicemente ordinando di aumentare i dispositivi di controllo. L’umanità non ha ancora mostrato la capacità di affrontare i cambiamenti di portata globale e a lungo termine nella biosfera, in particolare quando questi richiedono una risposta “di sistema”, come la creazione di tecnologie totalmente differenti, lo sviluppo di nuovi modelli economico-finanziari, l’adozione di nuovi valori e stili di vita. Ad oggi, la nostra straordinaria abilità nell’espandere di numero e di livello i consumi materiali ha largamente sorpassato la nostra capacità di comprendere la dimensione dei problemi che stiamo creando a noi stessi. Solo di recente abbiamo imparato a usare le immagini dal satellite per mappare la distruzione di vaste aree forestali o per sviluppare i modelli che ci consentono di determinare, anche se in modo approssimativo, i cambiamenti nel clima che si verificheranno se immettiamo ancora più anidride carbonica nell’atmosfera Ma la neo-acquisita conoscenza degli scienziati è difficile da tradurre nel linguaggio comune dell’individuo medio, o nel gergo specialistico degli uomini d’affari o dei politici. Fenomeni che lasciano attoniti, come il fatto che il 50 per cento delle zone umide nel mondo è stato distrutto – e buona parte di esse nei dieci anni dopo Rio – sono difficili da cogliere ed è altrettanto difficile formulare risposte. Il fatto che il 12 per cento delle specie di uccelli è minacciato di estinzione va oltre la nostra normale capacità di immaginazione. E il fatto che 1,1 miliardi di persone non abbiano accesso a fonti adeguate di acqua potabile – più del doppio delle persone che usano il computer – indica un livello di povertà che stride con la nostra immagine del Ventunesimo secolo. Niente avversari, solo alleati… (…) Una delle principali sfide che affronteranno i leader mondiali che si riuniranno a Johannesburg sarà lo sviluppo di un nuovo concetto di globalizzazione, che non sia pensata solo nella ristretta ottica del commercio e della finanza, che ha portato a distorcere il dibattito internazionale e ha suscitato una forte opposizione nel pubblico, tanto nei paesi industrializzati quanto in quelli in via di sviluppo. La creazione di un’armoniosa comunità globale sarà possibile solo basandosi sui principi universali del rispetto dei diritti umani, del soddisfacimento dei bisogni elementari dell’uomo, e conservando l’ambiente naturale per le future generazioni. In questo sforzo, governi, organismi internazionali, imprese del settore privato e cittadini, hanno tutti un importante ruolo da interpretare. (…) Se i nobili obiettivi fissati a Rio fossero stati raggiunti, forse le crisi di quest’ultimo anno non si sarebbero verificate. Ma si tratta di obiettivi enormi, che richiedevano tempo per essere raggiunti. Nel 2002 la sfida è ancora più grande, ma l’estrema urgenza potrebbe dare finalmente quello scossone che è necessario se si deve rimettere ordine tra le priorità globali. In particolare, affrontare questa sfida richiederà una comunità di intenti che unisca i paesi ricchi a quelli poveri, superando quella sorta di apartheid globale che si era tradotto, a Rio, in una profonda divisione tra nazioni ricche e povere che aveva fortemente caratterizzato i negoziati, e che è proseguita fino a oggi. Nella lotta per creare un mondo sostenibile esistono solo alleati, non avversari. Johannesburg può essere un passo importante per “svegliare” il mondo tanto quanto richiedono la dimensione della sfida cui ci troviamo di fronte e gli impegni che sarà necessario assumere.
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