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mettere in pratica la sostenibilita'
- Subject: mettere in pratica la sostenibilita'
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 28 Mar 2002 18:44:09 +0100
da boiler.it Mettere in pratica la sostenibilità estratto dall’introduzione di Gianfranco Bologna a: State of the World 2002 – Rapporto annuale del Worldwatch Institute (a cura di Christopher Flavin, Hilary French e Gary Gardner) Edizioni Ambiente 2002 21,50 euro – 325 pagine (…) IL WORLDWATCH INSTITUTE, fondato nel 1974 dal grande analista dei problemi planetari Lester Brown, dal 1984 pubblica il suo rapporto annuale State of the World (un’idea sempre di Lester Brown) che, ormai tradotto in più di trenta lingue da vari anni, costituisce un punto di riferimento ineludibile per chiunque voglia comprendere le interconnessioni delle problematiche ambientali, economiche e sociali presenti sul nostro pianeta. Questo straordinario istituto di analisi è stato uno dei grandi protagonisti del dibattito internazionale sullo sviluppo sostenibile; non a caso proprio il rapporto annuale State of the World è stato sempre sottotitolato “A Worldwatch Institute Report on Progress Toward a Sustainability Society”, e non è un caso che lo stesso Lester Brown abbia pubblicato nel 1981 uno dei suoi libri con il titolo Building a Sustainable Society. Inevitabilmente lo State di quest’anno è tutto dedicato al bilancio, dieci anni dopo la conferenza di Rio, al Summit di Johannesburg e lo fa, come sempre, nel suo stile brillante, ricco di dati e informazioni, di interpretazioni e analisi particolarmente innovative; questo è il quindicesimo anno che curo l’edizione italiana dello State e non posso non sottolineare anche quest’anno, come ho sempre fatto in questi miei capitoli introduttivi ai vari State, la ricchezza intellettuale e il piacere personale che in tutti questi anni ho ricevuto dall’amicizia dei ricercatori del Worldwatch, in primis proprio dal rapporto personale con Lester Brown, figura che costituirà sempre per me un fondamentale punto di riferimento culturale e di approccio interdisciplinare innovativo. Lo scorso anno Lester Brown ha lasciato il Worldwatch Institute, di cui resta membro del Board, per fondare l’Earth Policy Institute, un istituto dedicato alla diffusione, a tutti i livelli, dell’eco-economia. Christopher Flavin – che era già nell’Istituto pochi anni dopo la sua fondazione – ne è divenuto il nuovo presidente. Questo è il primo State of the World che non contiene neanche uno scritto di Brown, ma in tutto il volume si avverte l’“impronta” del fondatore dell’Istituto. La psicologia dell’alcolizzato (…) Dieci anni fa, l’uscita dello State of the World 1992 aveva ovviamente molti riferimenti all’Earth Summit di Rio de Janeiro. Sandra Postel, grande esperta dei cicli idrici che dopo aver lasciato il Worldwatch Institute è diventata direttrice del World Water Policy Project, scrisse in quell’anno il capitolo introduttivo con il titolo “La rinuncia all’azione in un decennio decisivo”. In quelle pagine la Postel scrive: «Tanto la psicologia quanto la scienza, perciò, condizioneranno il destino del pianeta, poiché l’azione dipende dal superamento dell’atteggiamento di rinuncia, uno tra i più paralizzanti nelle reazioni umane. Tale atteggiamento, mentre influisce sulla maggior parte di noi a livelli differenti, spesso colpisce particolarmente in profondità coloro che puntano in maniera decisa sullo status quo, compresi i leader politici ed economici che hanno il potere di plasmare l’ordine delle priorità mondiali. Questo tipo di atteggiamento può essere pericoloso per la società e l’ambiente naturale come quello dell’etilista lo è per la sua salute e la sua famiglia». La Postel continua ricordando come nella cura all’etilismo esista una pratica di intervento nella quale familiari e amici del malato, aiutati da uno specialista, tentano di scuotere l’etilista dal suo atteggiamento rinunciatario e ricorda che un simile “intervento” è necessario per fermare la malattia mondiale del degrado ambientale. «La Conferenza delle Nazioni Unite che si terrà a Rio de Janeiro offre un’opportunità storica di scuotere le nostre coscienze, per ammettere, individualmente come cittadini del mondo e collettivamente come comunità di nazioni, che è assolutamente indispensabile correggere il drammatico corso degli eventi. La costruzione di un mondo sicuro dal punto di vista ambientale, un mondo in cui i bisogni e i desideri umani vengono soddisfatti senza distruggere i sistemi naturali, richiede un assetto economico del tutto nuovo, basato sul riconoscimento che gli alti livelli di consumo, la crescita demografica e la povertà stanno pilotando il degrado ambientale». E più in là la Postel scrive: «Detto semplicemente, il sistema economico mondiale è incapace di affrontare insieme il problema della povertà e quello della protezione ambientale. Curare i mali ecologici della Terra separatamente dai problemi legati a situazioni debitorie, squilibri commerciali, sperequazioni nei livelli di reddito e di consumo è come cercare di curare una malattia cardiaca senza combattere l’obesità del paziente e la sua dieta carica di colesterolo: non esiste possibilità di successo finale». Lo sviluppo sostenibile da Rio a oggi (…) Da Rio a oggi tutti i politici del mondo si sono riempiti la bocca della magica parola “sviluppo sostenibile”, senza però, tranne in casi rari, riempirla dei significati giusti e della conseguente operatività concreta. Anche l’applicazione dell’Agenda 21 in tutti i paesi ha faticato incredibilmente a fare passi in avanti significativi. Applicare in concreto la sostenibilità ai nostri modelli economici e sociali non è certo cosa semplice. Sappiamo bene che la grande sfida che tutti i sistemi politici e i governi di tutto il mondo devono affrontare è quella di riuscire a vivere su questa Terra con un numero di esseri umani che ha già oltrepassato i 6 miliardi (e che potrà superare i 10 entro questo secolo), in maniera dignitosa ed equa per tutti, senza distruggere irrimediabilmente i sistemi naturali da cui traiamo le risorse per vivere e senza oltrepassare la capacità che questi sistemi hanno di supportare gli scarti e i rifiuti delle nostre attività produttive. Come risolvere questa sfida dovrebbe costituire l’argomento prioritario delle agende politiche di tutti i paesi del mondo, perché un mondo insostenibile è certamente un mondo più in balia del terrorismo, dei disagi sociali, delle guerre e dei conflitti. Quindi la priorità della politica e dell’economia dovrebbe essere indirizzata a creare le basi per un nuovo modo di sviluppare le nostre società che sia ecologicamente, economicamente e socialmente meno insostenibile dell’attuale. Negli ultimi decenni non abbiamo fatto solo progressi nel cercare di comprendere meglio lo stato dei sistemi naturali del pianeta, ma abbiamo fatti grandi passi in avanti nella teoria e nella potenziale prassi applicativa dei principi della sostenibilità, una sorta di vasto campo interdisciplinare dove l’ecologia, l’economia e la sociologia si intrecciano notevolmente, aprendo innovativi campi di applicazione. Una nuova disciplina, l’economia ecologica, si è andata consolidando negli ultimi due decenni (…). Johannesburg dovrebbe, in qualche modo, dare strumenti operativi per concretizzare tanto di quello che è stato prodotto in questi campi innovativi; consentendo l’avvio di una nuova economia ecologica che, ad esempio, riesca finalmente a tenere in stretta e simultanea considerazione tanto una contabilità economica quanto una contabilità ecologica, che tenga conto, sempre, dei costi sociali delle azioni intraprese, che riesca e far esprimere il “costo” reale, completo, di ogni prodotto, che penalizzi le attività e i percorsi di sviluppo negativi per l’ambiente e incentivi invece le attività e i processi compatibili con l’ambiente. “Un problema di dimensioni planetarie” (…) Sappiamo che la nostra conoscenza sui sistemi naturali è ancora largamente imperfetta e che in queste condizioni è difficile poter definire una qualsiasi attività umana che impatta sui sistemi naturali, “sostenibile” per gli stessi. Sappiamo però che non possiamo non agire, stare fermi in attesa e fare come se nulla fosse. Abbiamo l’obbligo di “governare” anche in situazioni di oggettiva incertezza, cercando di utilizzare il meglio delle conoscenze disponibili, fissando qualche punto fermo per indicare una sorta di guard-rail della sostenibilità e infine agendo costantemente con la coscienza che la sostenibilità è un mix di evoluzione, flessibilità, adattamento, opportunità e cambiamento. Punti fermi di base per attivare uno sviluppo sostenibile riguardano due concetti in particolare: non si devono sorpassare i “limiti” biofisici imposti dai sistemi naturali ed è fondamentale mantenere i meccanismi essenziali dell’evoluzione sul nostro pianeta. L’evoluzione mantiene la possibilità delle opzioni che consentono l’adattabilità al cambiamento. Oggi, purtroppo, l’azione umana riduce sempre più le possibilità delle opzioni evolutive, minando alla base le stesse capacità di sopravvivenza. Lo scienziato Edward Wilson della Harvard University (1999) scrive: «Poche persone osano dubitare che il genere umano si sia creato un problema di dimensioni planetarie. Anche se nessuno lo desiderava, siamo la prima specie ad essere diventata una forza geofisica in grado di alterare il clima della Terra, ruolo precedentemente riservato alla tettonica, alle reazioni cromosferiche e ai cicli glaciali. Dopo il meteorite di dieci chilometri di diametro che 65 milioni di anni fa precipitò nello Yucatan, ponendo fine all’era dei rettili, i più grandi distruttori della vita siamo noi. Con la sovrappopolazione ci siamo creati il pericolo di finire il cibo e l’acqua. Ci attende dunque una scelta molto faustiana: accettare il nostro comportamento corrosivo e rischioso, come prezzo inevitabile della crescita demografica ed economica, oppure fare l’inventario di noi stessi e andare alla ricerca di una nuova etica ambientale». Ogni giorno che passa tutto diventa più difficile. È arrivato veramente il momento di cambiare rotta: è ormai imperativo applicare l’economia ecologica. Johannesburg non può fallire.
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