certificazioni chi controlla i controllori



dal manifesto

     
    
 
    
 

19 Marzo 2002 
  
 
   
Chi controlla i controllori? 
MARCO D'ERAMO 




Quando arrivava la società di certificazione dei bilanci, al manifesto si
respirava un'aria diversa. Salivamo felpati in amministrazione e ci veniva
detto di non disturbare, a voce bassa, preoccupata, come parenti fuori
dalla corsia in cui giace un malato grave. Ce ne andavamo in punta di
piedi. Quando poi la società si accomiatava, prorompeva un sospiro di
sollievo, perché anche quell'anno ce l'avevamo fatta (da un po' di tempo la
certificazione dei bilanci non è più obbligatoria). Il problema è che noi
non abbiamo mai saputo truccare i bilanci come li cucinava la Enron, e -
soprattutto - non conoscevamo le società di certificazione su cui solo le
disavventure della Arthur Andersen di Chicago di permettono di sollevare un
velo.
Intanto le dimensioni. Noi le vedevamo come grandi studi di comercialisti,
magari presenti in 84 paesi come la Andersen, ma pur sempre 84 studi di
commercialisti. Scopriamo oggi che la sola Andersen ha 88.000, sì, avete
capito bene, 88.000 dipendenti in tutto il mondo. E la Andersen è solo una
delle più piccole tra le Big Five (tutte statunitensi) di certificazione,
consulenza e assistenza finanziaria. La prima in assoluto è la
PricewaterhouseCoopers, detta familiarmente PwC (niente a che vedere con il
polimero), che ha ben 150.000 dipendenti in 150 paesi con utili netti di
22,2 miliardi di dollari (più di 25 miliardi di euro). Segue distanziata la
Kpmg, con 100.000 dipendenti (e 11,7 miliardi di fatturato nel 2001),
tallonata dalla Deloitte Touche Tohmatsu, 95.000 dipendenti e 11,3 miliardi
di $ di utili netti. Viene poi la Ernst Young con 84.000 dipendenti e 9,9
miliardi di utili.
Tutte insieme le Big Five hanno l'incredibile cifra di 517.000 dipendenti.
Stiamo parlando di ordini di grandezza paragonabili alle grandi industrie:
la Mercedes si aggira intorno ai 100.000 dipendenti, la Fiat ai 200.000.
Siamo cioè di fronte non all'operaio massa, ma al ragioniere massa.
Tocchiamo qui con mano lo slittamento dall'economia industriale
all'economia di servizi, non perché le industrie scompaiano, ma perché esse
stesse creano occupazione più nel terziario che in quello manufatturiero,
perché la stessa impresa automobilistica che licenzia (o al meglio non
assume) operai, invce genera migliaia di posti di lavoro nell'auditing. Ma
il più sorprendente è che, lungi dal verificare il mito del "piccolo è
bello", del decentramento, queste nuove strutture finanziarie sono colossi
gerarchizzati degni dei più grandi trust dell'acciaio dell'800. 150.000
dipendenti, nel caso della PwC, non sono possibili senza un'integrazione
sia verticale che orizzontale, con compartimentazioni di tipo militare. In
un certo senso, vediamo riprodursi nell'economia immateriale strutture
organizzative date per obsolete e arcaiche.
Come si spiegano queste dimensioni elefantiache? In parte per quello che
sempre ci descrive Saskia Sassen nei suoi libri sulle città globali, e cioè
che un'economia delocalizzata ha bisogno di servizi centralizzati: nella
sua sede centrale di Chicago l'Andersen dà lavoro a 5.000 persone, quanto
una fabbrica di media grandezza. Insieme ai grandi studi internazionali
(tutti basati negli Usa o nella city londinese) e alle soceità
d'intermediazione come Merryl e Lynch, le società di consulenza finanziaria
sono quelle che più hanno profittato della globalizzazione: a esse si
rivolgono corporations, banche, istituzioni finanziarie, i servizi
pubblici, quando devono firmare contratti con imprese di paesi di cui
ignorano legislazione fiscale e societaria. In questo caso le società di
auditing funzionano come consulenti fiscali internazionali e consulenti di
diritto societario internazionale; più sono i paesi in cui queste compagnie
sono impiantate, più è vantaggioso chiederne i servizi: piuttosto che
aprire una sezione turca al proprio ufficio fiscale, meglio rivolgersi a un
consulente fiscale impiantato in Turchia. In altri casi, queste società
sostituiscono gli studi notarili o attuariali. In altri ancora gestiscono
le politiche assicurative delle varie imprese, intermediando con le
compagnie di assicurazione.
Ecco per esempio i servizi che elenca la Ernst & Young (che si vanta di
certificare il 18,4% delle prime mille società globali): servizi di
consulenza interna, di supporto alle transazioni e alle fusioni, servizi
attuariali, consulenze fiscali, consulenza assicurativa e immobiliare,
consulenza agli affari, e poi tutti i servizi sui rischi, sui rischi di
sicurezza e tecnologia, sui rischi di management delle società, sui rischi
d'impresa. Basta dare un'occhiata ad alcuni clienti della Kpmg (tra quelli
che la società considera più rappresentativi), per avere un'idea
dell'estensione di competenze disparate che devono concentrararvisi:
società informatiche come Cisco, Compaq, Microsoft; automobilistiche come
Honda; università come Yale; servizi pubblici come l'azienda dei trasporti
di Chicago; fino alle unità militari come l'Army and Air Force Exchange
Service o la Us Army National Guard.
D'altronde basta guardare i più significativi tra i clienti che, dopo lo
scandalo Enron, e dopo l'incriminazione da parte del governo federale,
hanno abbandonato la nave dell'Arthur Andersen che sta affondando. Il 13
febbraio ha disdetto il contratto il Sun Trust, il 1 marzo il gigante
farmaceutico Merck, il 6 marzo la Freddie M., il 7 il colosso
dell'automobile Ford e la compagnia aerea Delta; l'11 è stata la volta del
corriere internazionale Federal Express, il 15 marzo poi il gruppo di beni
di consumo Sara Lee, la Brunswick Corporation e infine lo stesso governo
degli Usa: quest'ultima defezione rivela inavvertitamente un fatto poco
noto: negli Usa lo stato si fa certificare i bilanci da un'agenzia privata.
In realtà, a navigare su Internet, ci si accorge che - come tutti i giganti
delgi altri campi dell'economia - anche questi colossi della consulenza
finanziaria hanno avuto inizi 1) più antichi e 2) più modesti e artigianali
di quel che potessimo pensare. Uno dei pionieri della professione fu
William Welch Deloitte, nipote del conte de Loitte, fuggito dalla Francia
durante la rivoluzione del 1789, che aprì il proprio ufficio nel 1845
all'età di 25 anni. Arthur Andersen era professore universitario in
Illinois quando fondò la società nel 1913. Ma fino alla II guerra mondiale
queste imprese, per quanto avessero sede sia negli Usa sia in Inghilterra,
mantennero dimensioni "umane". solo dopo il 1945, con l'emergere degli
Stati uniti come sola superpotenza capitalistica, che - lentamente - queste
società cominciano a prendere taglie extra-large. La Andersen nel 1950
aveva redditi netti di solo 8 milioni di dollari, nel 1970 aveva raggiunto
i 130 milioni di dollari, 16 volte di più in valore nominale. Non solo, ma
negli anni `60 Andersen aprì i suoi primi cinque uffici nell'Europa
continentale.
Ma è a partire dagli anni `70 che il sistema finanziario internazionale
subisce la sua trasformazione più rivoluzionaria: le banche, che fino ad
allora erano state i perni di questo sistema, hanno perso progressivamente
peso, sono diventate un terminal secondario di raccolta di liquidità e di
deposito di proprietà delle azioni. I flussi vengono ormai canalizzati
dalle grandi società d'intermediazione, come Salomon & Brothers, gestiti
dagli elefantiaci studi legali (i più grandi hanno decine di migliaia di
dipendenti), e dalle società di consulenza, appunto. Questo spostamento di
competenze fuori dall'area di spettanza delle banche è dovuto al fatto che
in molti paesi europei e asiatici, dopo il 1945, il sistema bancario fu
sottoposto a rigidi controlli, quando non nazionalizzato, come avvenne in
gran parte in Francia e in Italia, o - in modo più surrettizio - in
Germania (attraverso le casse di risparmio dei Länder) e in Giappone.
Dirottare competenze e flussi dalle banche significò sottrarli al controllo
statale. Lo svuotamento delle funzioni vitali delle banche fu concausa
della loro privatizzazione.
Dopo la caduta dell'Urss si è naturalemente accelerato e intensificato
questo processo di estensione a tutto il mondo del modello statunitense di
condurre gli affari (attraverso controlli privati e per mezzo di azioni
legali private). Così, l'anno scorso, prima della caduta degli dei, il 48%
degli utili dell'Andersen proveniva dal Nordamerica, il il 30,7%
dall'Europa occidentale, il 12,8% dall'area del Pacifico, l'1,2%
dall'America Latina, e solo l'1,2% da tutto il resto della terra che
comprende ex blocco sovietico, Medio Oriente, India e Africa. Questa
ripartizione geografica esprime con chiarezza sia il peso economico delle
varie aree, sia la loro reale integrazione nel capitalismo globalizzato. Su
queste tendenze di lunga duranta si è innestata la bolla speculativa
clintoniana: basti pensare che per la sola Andersen gli utili netti sono
passati da 2,05 miliardi di dollari nel 1992, a 5,3 nel 1997 a 7,4 nel `99,
a 9,3 nel 2001.
Oggi però le Big Five rischiano di diventare Big For, perché la Andersen
sta combattendo una lotta (disperata) per la sopravvivenza. Ma il suo
fallimento getta un'ombra su tutto il settore che fa parte di quelle aree
studiate da una corrente del pensiero economico che va da Kenneth Arrow ad
Amartya Sen passando per Alfred Hirschmann, che mette in evidenza i fattori
extraeconomici dell'attività economica. Tutti i fattori che non hanno
prezzo ma rendono possibili gli affari. Per esempio, l'attività dei
diamantieri è basata sulla fiducia (nessuno si porta in giro una partita di
diamanti, ma il cliente si fida della qualità garantita dal venditore).
Quando la fiducia viene a mancare è la fine. quel che sta succedendo
nell'auditing. Basta leggere il depliant della Kpmg che spiega perché la
loro compagnia è la migliore: "La nostra forza strategica è costituita dai
vantaggi competitivi su cui la nostra reputazione è basata. Essi sono
basati sui nostri valori e sulle aspettative che noi fissiamo a noi
stessi... La nostra forza strategica ci mette in una categoria a parte". E
la Kpmg si pavoneggia nel dire che "i nostri servizi personalizzati hanno
cristallizzato il tasso di mantenimento dei nostri clienti al 100% per i
primi 50 clienti e al 95% per i primi 150". Valori, aspettative, fedeltà,
sembra di uscire dall Etica protestante e lo spirito del capitalismo.
D'altronde la Dtt fa notare che sono sue clienti da un secolo società come
General Electric o Procter & Gamble (fin da quando era solo un fabbricante
di sapone e candele, tengono a sottolineare).
Ma adesso il governo federale scopre che a ottobre scorso, a Houston, la
Andersen ha distrutto documenti importanti relativi alla gestione
finanziaria Enron. Mica una bazzecola: sono passati nel trita-carta ben 30
camion e 26 casse di documenti: l'equivalente di una biblioteca di facoltà.
Per di più la Andersen era recidiva, perché già nel 2000 aveva dovuto
ammettere di aver distrutto documenti relativi alla mala gestione di Waste
Management (la grande corporation di rifiuto di smaltimenti urbani) che
aveva nascosto deficit per 1,4 miliardi di dollari. questa recidiva che sta
costando la vita alla Andersen, sostiene il New York Times. la fine
dell'etica protestante, saremmo più propensi a rispondere, soprattutto
perché la Enron è una società di Houston, Texas, terra dei più estremi
fondamentalisti Usa, gli integralisti cristiani che hanno mandato alla Casa
bianca un certo George W. Bush.