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certificazioni chi controlla i controllori
- Subject: certificazioni chi controlla i controllori
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 28 Mar 2002 06:36:10 +0100
dal manifesto 19 Marzo 2002 Chi controlla i controllori? MARCO D'ERAMO Quando arrivava la società di certificazione dei bilanci, al manifesto si respirava un'aria diversa. Salivamo felpati in amministrazione e ci veniva detto di non disturbare, a voce bassa, preoccupata, come parenti fuori dalla corsia in cui giace un malato grave. Ce ne andavamo in punta di piedi. Quando poi la società si accomiatava, prorompeva un sospiro di sollievo, perché anche quell'anno ce l'avevamo fatta (da un po' di tempo la certificazione dei bilanci non è più obbligatoria). Il problema è che noi non abbiamo mai saputo truccare i bilanci come li cucinava la Enron, e - soprattutto - non conoscevamo le società di certificazione su cui solo le disavventure della Arthur Andersen di Chicago di permettono di sollevare un velo. Intanto le dimensioni. Noi le vedevamo come grandi studi di comercialisti, magari presenti in 84 paesi come la Andersen, ma pur sempre 84 studi di commercialisti. Scopriamo oggi che la sola Andersen ha 88.000, sì, avete capito bene, 88.000 dipendenti in tutto il mondo. E la Andersen è solo una delle più piccole tra le Big Five (tutte statunitensi) di certificazione, consulenza e assistenza finanziaria. La prima in assoluto è la PricewaterhouseCoopers, detta familiarmente PwC (niente a che vedere con il polimero), che ha ben 150.000 dipendenti in 150 paesi con utili netti di 22,2 miliardi di dollari (più di 25 miliardi di euro). Segue distanziata la Kpmg, con 100.000 dipendenti (e 11,7 miliardi di fatturato nel 2001), tallonata dalla Deloitte Touche Tohmatsu, 95.000 dipendenti e 11,3 miliardi di $ di utili netti. Viene poi la Ernst Young con 84.000 dipendenti e 9,9 miliardi di utili. Tutte insieme le Big Five hanno l'incredibile cifra di 517.000 dipendenti. Stiamo parlando di ordini di grandezza paragonabili alle grandi industrie: la Mercedes si aggira intorno ai 100.000 dipendenti, la Fiat ai 200.000. Siamo cioè di fronte non all'operaio massa, ma al ragioniere massa. Tocchiamo qui con mano lo slittamento dall'economia industriale all'economia di servizi, non perché le industrie scompaiano, ma perché esse stesse creano occupazione più nel terziario che in quello manufatturiero, perché la stessa impresa automobilistica che licenzia (o al meglio non assume) operai, invce genera migliaia di posti di lavoro nell'auditing. Ma il più sorprendente è che, lungi dal verificare il mito del "piccolo è bello", del decentramento, queste nuove strutture finanziarie sono colossi gerarchizzati degni dei più grandi trust dell'acciaio dell'800. 150.000 dipendenti, nel caso della PwC, non sono possibili senza un'integrazione sia verticale che orizzontale, con compartimentazioni di tipo militare. In un certo senso, vediamo riprodursi nell'economia immateriale strutture organizzative date per obsolete e arcaiche. Come si spiegano queste dimensioni elefantiache? In parte per quello che sempre ci descrive Saskia Sassen nei suoi libri sulle città globali, e cioè che un'economia delocalizzata ha bisogno di servizi centralizzati: nella sua sede centrale di Chicago l'Andersen dà lavoro a 5.000 persone, quanto una fabbrica di media grandezza. Insieme ai grandi studi internazionali (tutti basati negli Usa o nella city londinese) e alle soceità d'intermediazione come Merryl e Lynch, le società di consulenza finanziaria sono quelle che più hanno profittato della globalizzazione: a esse si rivolgono corporations, banche, istituzioni finanziarie, i servizi pubblici, quando devono firmare contratti con imprese di paesi di cui ignorano legislazione fiscale e societaria. In questo caso le società di auditing funzionano come consulenti fiscali internazionali e consulenti di diritto societario internazionale; più sono i paesi in cui queste compagnie sono impiantate, più è vantaggioso chiederne i servizi: piuttosto che aprire una sezione turca al proprio ufficio fiscale, meglio rivolgersi a un consulente fiscale impiantato in Turchia. In altri casi, queste società sostituiscono gli studi notarili o attuariali. In altri ancora gestiscono le politiche assicurative delle varie imprese, intermediando con le compagnie di assicurazione. Ecco per esempio i servizi che elenca la Ernst & Young (che si vanta di certificare il 18,4% delle prime mille società globali): servizi di consulenza interna, di supporto alle transazioni e alle fusioni, servizi attuariali, consulenze fiscali, consulenza assicurativa e immobiliare, consulenza agli affari, e poi tutti i servizi sui rischi, sui rischi di sicurezza e tecnologia, sui rischi di management delle società, sui rischi d'impresa. Basta dare un'occhiata ad alcuni clienti della Kpmg (tra quelli che la società considera più rappresentativi), per avere un'idea dell'estensione di competenze disparate che devono concentrararvisi: società informatiche come Cisco, Compaq, Microsoft; automobilistiche come Honda; università come Yale; servizi pubblici come l'azienda dei trasporti di Chicago; fino alle unità militari come l'Army and Air Force Exchange Service o la Us Army National Guard. D'altronde basta guardare i più significativi tra i clienti che, dopo lo scandalo Enron, e dopo l'incriminazione da parte del governo federale, hanno abbandonato la nave dell'Arthur Andersen che sta affondando. Il 13 febbraio ha disdetto il contratto il Sun Trust, il 1 marzo il gigante farmaceutico Merck, il 6 marzo la Freddie M., il 7 il colosso dell'automobile Ford e la compagnia aerea Delta; l'11 è stata la volta del corriere internazionale Federal Express, il 15 marzo poi il gruppo di beni di consumo Sara Lee, la Brunswick Corporation e infine lo stesso governo degli Usa: quest'ultima defezione rivela inavvertitamente un fatto poco noto: negli Usa lo stato si fa certificare i bilanci da un'agenzia privata. In realtà, a navigare su Internet, ci si accorge che - come tutti i giganti delgi altri campi dell'economia - anche questi colossi della consulenza finanziaria hanno avuto inizi 1) più antichi e 2) più modesti e artigianali di quel che potessimo pensare. Uno dei pionieri della professione fu William Welch Deloitte, nipote del conte de Loitte, fuggito dalla Francia durante la rivoluzione del 1789, che aprì il proprio ufficio nel 1845 all'età di 25 anni. Arthur Andersen era professore universitario in Illinois quando fondò la società nel 1913. Ma fino alla II guerra mondiale queste imprese, per quanto avessero sede sia negli Usa sia in Inghilterra, mantennero dimensioni "umane". solo dopo il 1945, con l'emergere degli Stati uniti come sola superpotenza capitalistica, che - lentamente - queste società cominciano a prendere taglie extra-large. La Andersen nel 1950 aveva redditi netti di solo 8 milioni di dollari, nel 1970 aveva raggiunto i 130 milioni di dollari, 16 volte di più in valore nominale. Non solo, ma negli anni `60 Andersen aprì i suoi primi cinque uffici nell'Europa continentale. Ma è a partire dagli anni `70 che il sistema finanziario internazionale subisce la sua trasformazione più rivoluzionaria: le banche, che fino ad allora erano state i perni di questo sistema, hanno perso progressivamente peso, sono diventate un terminal secondario di raccolta di liquidità e di deposito di proprietà delle azioni. I flussi vengono ormai canalizzati dalle grandi società d'intermediazione, come Salomon & Brothers, gestiti dagli elefantiaci studi legali (i più grandi hanno decine di migliaia di dipendenti), e dalle società di consulenza, appunto. Questo spostamento di competenze fuori dall'area di spettanza delle banche è dovuto al fatto che in molti paesi europei e asiatici, dopo il 1945, il sistema bancario fu sottoposto a rigidi controlli, quando non nazionalizzato, come avvenne in gran parte in Francia e in Italia, o - in modo più surrettizio - in Germania (attraverso le casse di risparmio dei Länder) e in Giappone. Dirottare competenze e flussi dalle banche significò sottrarli al controllo statale. Lo svuotamento delle funzioni vitali delle banche fu concausa della loro privatizzazione. Dopo la caduta dell'Urss si è naturalemente accelerato e intensificato questo processo di estensione a tutto il mondo del modello statunitense di condurre gli affari (attraverso controlli privati e per mezzo di azioni legali private). Così, l'anno scorso, prima della caduta degli dei, il 48% degli utili dell'Andersen proveniva dal Nordamerica, il il 30,7% dall'Europa occidentale, il 12,8% dall'area del Pacifico, l'1,2% dall'America Latina, e solo l'1,2% da tutto il resto della terra che comprende ex blocco sovietico, Medio Oriente, India e Africa. Questa ripartizione geografica esprime con chiarezza sia il peso economico delle varie aree, sia la loro reale integrazione nel capitalismo globalizzato. Su queste tendenze di lunga duranta si è innestata la bolla speculativa clintoniana: basti pensare che per la sola Andersen gli utili netti sono passati da 2,05 miliardi di dollari nel 1992, a 5,3 nel 1997 a 7,4 nel `99, a 9,3 nel 2001. Oggi però le Big Five rischiano di diventare Big For, perché la Andersen sta combattendo una lotta (disperata) per la sopravvivenza. Ma il suo fallimento getta un'ombra su tutto il settore che fa parte di quelle aree studiate da una corrente del pensiero economico che va da Kenneth Arrow ad Amartya Sen passando per Alfred Hirschmann, che mette in evidenza i fattori extraeconomici dell'attività economica. Tutti i fattori che non hanno prezzo ma rendono possibili gli affari. Per esempio, l'attività dei diamantieri è basata sulla fiducia (nessuno si porta in giro una partita di diamanti, ma il cliente si fida della qualità garantita dal venditore). Quando la fiducia viene a mancare è la fine. quel che sta succedendo nell'auditing. Basta leggere il depliant della Kpmg che spiega perché la loro compagnia è la migliore: "La nostra forza strategica è costituita dai vantaggi competitivi su cui la nostra reputazione è basata. Essi sono basati sui nostri valori e sulle aspettative che noi fissiamo a noi stessi... La nostra forza strategica ci mette in una categoria a parte". E la Kpmg si pavoneggia nel dire che "i nostri servizi personalizzati hanno cristallizzato il tasso di mantenimento dei nostri clienti al 100% per i primi 50 clienti e al 95% per i primi 150". Valori, aspettative, fedeltà, sembra di uscire dall Etica protestante e lo spirito del capitalismo. D'altronde la Dtt fa notare che sono sue clienti da un secolo società come General Electric o Procter & Gamble (fin da quando era solo un fabbricante di sapone e candele, tengono a sottolineare). Ma adesso il governo federale scopre che a ottobre scorso, a Houston, la Andersen ha distrutto documenti importanti relativi alla gestione finanziaria Enron. Mica una bazzecola: sono passati nel trita-carta ben 30 camion e 26 casse di documenti: l'equivalente di una biblioteca di facoltà. Per di più la Andersen era recidiva, perché già nel 2000 aveva dovuto ammettere di aver distrutto documenti relativi alla mala gestione di Waste Management (la grande corporation di rifiuto di smaltimenti urbani) che aveva nascosto deficit per 1,4 miliardi di dollari. questa recidiva che sta costando la vita alla Andersen, sostiene il New York Times. la fine dell'etica protestante, saremmo più propensi a rispondere, soprattutto perché la Enron è una società di Houston, Texas, terra dei più estremi fondamentalisti Usa, gli integralisti cristiani che hanno mandato alla Casa bianca un certo George W. Bush.
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