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dall'intelligenza alla vita artificiale
- Subject: dall'intelligenza alla vita artificiale
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 05 Mar 2002 18:29:40 +0100
dal manifesto 03 Marzo 2002 Dall'intelligenza alla vita artificiale F. C. L'idea di affidare a dei circuiti artificiali di unità discrete il compito di svolgere dei compiti complessi risale almeno agli anni `80; la letteratura scientifica in proposito è sterminata e molte applicazioni pratiche di tali sistemi sono state realizzate. Dal punto di vista concettuale è una sorta di rovesciamento di prospettiva: non c'è bisogno infatti di specificare con esattezza tutte le regole, ma ci si affida invece alla possibilità che il comportamento globale emerga come frutto spontaneo di una moltitudine di trasformazioni locali. In questo caso quello che fa la differenza tra una rete neurale e un'altra è la sua struttura (quali celle sono collegate con quali altre) e l'intensità di tali connessioni (se la cella A influenzi più vistosamente il comportamento di B o di C o di Z). Proprio per questo, sistemi di tal genere vennero fin dagli inizi dotati di una dote importante: la plasticità, ovvero la possibilità di modificare le proprie connessioni e il loro peso, a seconda di quanto i programmatori evidentemente decidessero ovvero - e meglio - per effetto della propria esperienza. E' lì il fondamento dell'apprendimento. Ma non ci si ferma qua: gli sviluppi più recenti affidano la sperimentazione a una sorta di evoluzione darwiniana in laboratorio. Si parte da molte varianti dello stesso software e le mette alla prova, per esempio facendole giocare l'una contro l'altra; dopo di che i vincitori passano al turno successivo, nel corso del quale fanno dei figli: in altre parole vengono generate altre versioni che contengono lo stesso patrimonio genetico dei genitori, ma con alcune varianti, prodotte a caso. Anche i figli vengono messi in competizione e il processo continua, ogni volta scartando i peggiori e facendo riprodurre i migliori. Nemmeno questo modo di procedere, a essere sinceri, è una novità: da almeno una decina d'anni il settore dell'evoluzione del software è tra i più promettenti, avendo il suo epicentro e santuario concettuale a Santa Fé, nel New Mexico. La disciplina ha anche un nome suggestivo, Artificial Life, e si assegna due compiti in qualche modo complementari: da un lato può fornire un banco di prova artificiale ma controllato per lo studio dei meccanismi dell'evoluzione naturale. In questo caso ha già offerto delle applicazioni utili, sotto forma di modelli matematici che cercano di prevedere l'andamento nel tempo di popolazioni naturali e il cambiamento di un habitat per effetto di piccole variazioni di uno dei suoi componenti. Dall'altro è un modo saggiamente modesto di affidare all'evoluzione dei programmi software quello che non si riesce a risolvere con un'equazione o un modello generale. In altre parole, in assenza di teorie soddisfacenti, si lascia che l'evoluzione segu il suo corso e faccia emergere lei, attraverso milioni di tentativi, il migliore software per una certa prestazione. Tutto ciò è particolarmente utile quando in cui il problema è per sua natura poco definito (per esempio il riconoscimento di forme) o troppo complesso per consentire una teoria generale (è il caso degli scacchi). Per dirla in termini provocatori: non essendo l'uomo abbastanza intelligente da capire tutto, rinuncia almeno temporaneamente a sviluppare teorie e modelli e si affida a un gigantesco esperimento basato su tentativi, errori e correzioni. Il motivo culturale va fatto risalire all'idea della maggioranza degli studiosi del sistema nervoso che la spiegazione "vera" dei processi cognitivi elevati possa essere ottenuta solo a partire dalla conoscenza intima dei "mattoncini" di base. Non per caso questa disciplina prende talora il nome di Connessionismo.L'applicazione di modelli del genere ai comportamenti e alle interazioni sociali va fatta con grande cautela e soprattutto buon senso. Anche gli Automi Cellulari, come i Frattali o la dimenticata Teoria delle Catastrofi, rischiano altrimenti di essere solo delle mode matematiche temporanee, degli apparati concettuali che sembrano spiegare tutto, quasi fossero una legge generale di natura, e invece finiscono per non spiegare nulla, se applicati su terreni non adatti. Senza dunque scomodare leggi universali e grandi narrazioni, balza comunque agli occhi il fascino ma anche l'ambiguità della metafora di rete. In termini analitici una rete è un insieme di nodi, variamente collegati tra di loro da frecce che indicano in che senso avviene l'interazione. Ma ci sono infinite reti quanto a strutture e regole di funzionamento; e poi facilmente esse si strutturano in sottoreti gerarchizzate con dei nodi che assumono funzioni più rilevanti rispetto agli altri; "rete" non è automaticamente sinonimo di egualitario. La stessa Internet può essere guardata a diversi livelli: quello dell'infrastruttura fisica di trasporto, quello dei siti web e dei link che li connettono e infine quello delle persone che sono in rete e che formano comunità elettive. Tutte queste mappe possono essere sovrapposte, ma ognuna è diversa e rivela aspetti diversi del mondo Internet. Ogni livello poi richiede un'analisi specifica statica (l'architettura) e una dinamica (le interazioni), e si dovranno usare ogni volta le metodologie più appropriate. Nello stesso tempo come nessun nodo è solo all'interno di un livello, così ogni in qualche modo influenza gli altri e ne viene influenzato. Così al livello che qui più interessa, quello degli umani cooperanti in rete, andrà notato come le modalità di relazione e di altruismo abbiano assunto, grazie alla presenza dell'Internet, anche caratteristiche affatto originali: da un lato la Rete ha ridato spazio a comportamenti atavici di collaborazione, ma dall'altro ha favorito - da quel mezzo innovativo che è - la creazione di una cultura e di una prassi prima inesistenti o semplicemente repressi.
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