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se anche gli automi collaborano
- Subject: se anche gli automi collaborano
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 06 Mar 2002 06:39:41 +0100
dal manifesto 03 Marzo 2002 Se anche gli automi cooperano Il ruolo del modello delle reti neurali quando la complessità dei problemi supera le capacità FRANCO CARLINI Cooperazione in rete, sistemi P2P, movimento Open Source, possono essere fatti rientrare in un filone culturale robusto e vastissimo che negli ultimi anni ha attraversato un po' tutte le discipline, specialmente quelle scientifiche. Genericamente appartiene al paradigma, a sua volta ormai troppo vasto e generico della "complessità". Più da vicino si alimenta di un settore specifico, le teorie che i matematici chiamano degli Automi Cellulari. In sostanza di questo si tratta: fenomeni collettivi di natura anche molto diversa possono essere descritti in maniera efficace facendo ricorso a dei modelli in cui una molteplicità di soggetti (celle) interagiscono tra di loro; anzi, più precisamente, ogni cella risente e influenza solo un certo numero di "vicini", di solito sulla base di poche e elementari regole. Per effetto delle interazioni locali, a ogni passo il panorama si trasforma e a ogni passo si applicano nuovamente le regole a tutte le celle della configurazione. Iterando i cicli più e più volte, si ottengono dei risultati finali che non erano in alcun modo predicibili. Il sistema è deterministico, nel senso che data una certa configurazione di partenza e certe regole, il suo destino è segnato, ma, a differenza di altri sistemi fisici, non esiste una legge generale che ne descriva le traiettorie. Per sapere dove sarà al passo n-simo si può soltanto provare e osservare. Per dirla in modo suggestivo: "il locale determina il globale; il micro determina il macro". Modelli di questo tipo sono stati applicati con successo in molti casi in cui non era possibile utilizzare un'equazione generale per rappresentare il fenomeno. Non c'è bisogno invece di ricorrere agli Automi Cellulari quando tali leggi esistono: non avrebbe senso descrivere in questa maniera il moto di un pendolo o la discesa di una sfera lungo un piano inclinato. Si useranno invece, per esempio, per modellizzare il comportamento globale di un cristallo, a partire dalle interazioni a corto raggio che ognuno degli atomi ha con quelli più prossimi. Anche le "reti neurali" appartengono a questo filone. Le celle in questo caso rappresentano i neuroni, di cui in modo semplicato vengono descritte le regole di interazione. Queste stabiliscono soltanto in che condizione (on-off, ovvero eccitato-non eccitato) si troverà il neurone all'istante successivo per effetto degli input eccitatori e inibitori che riceve dai vicini con cui è in contatto attraverso le sinapsi. Nel caso delle reti neurali l'idea sottostante è questa: modificando opportunamente l'architettura (quali neuroni sono in contatto con quali altri) e le caratteristiche dell'interazione, si spera di ottenere un comportamento globale interessante; per esempio la capacità della rete di fare semplici operazioni matematiche, di riconoscere il volto di un uomo da quello di una donna eccetera. Questo approccio è radicalmente diverso da quello classico che cerca di descrivere i sistemi complessi con leggi generali. Nel caso delle reti neurali ad esso si è fatto ricorso per due motivi, l'uno pratico e l'altro culturale. Quello pratico sono gli insuccessi che hanno punteggiato le ricerche più ambiziose di Intelligenza Artificiale che cercavano di modellizzare il pensiero umano facendo ricorso a funzioni cognitive alte e astratte, di tipo simbolico. Negli anni `50 quando i primi studiosi di quella disciplina che poi si sarebbe chiamata intelligenza artificiale (AI), scelsero dama e scacchi come banchi di prova per collaudare le capacità furbe delle loro creature. In quella scelta c'era un'ingenuità tipicamente ingegneristica e una piccola furbizia, quasi un sotterfugio. Scacchi e dama, infatti, pur essendo estremamente complicati quanto al numero di combinazioni possibili, hanno un grandissimo pregio: sono dei giochi a piena visibilità, senza alcun elemento aleatorio. In altre parole ogni giocatore conosce tutto, a differenza del poker, dove non si sa cosa l'altro abbia in mano. L'informazione è completa e dunque si presta perfettamente a una trattazione razionale. In altre parole, e almeno in linea di principio, un giocatore dotato di un cervello prodigioso (magari un "cervello elettronico") potrebbe esaminare tutte le possibili mosse e contromosse sue e dell'avversario e scegliere quella che porta, come esito finale, alla vittoria sua e alla sconfitta dell'altro. Alcuni giochi da tavolo con un numero molto ridotto di mosse, sono perfettamente trattabili in tale maniera, anche soltanto dotandosi di un pezzo di carta e di un po' di pensiero sistematico. Si trattava dunque di fare lo stesso alla grande, per la dama e gli scacchi. L'ingenuità furba di quei tecnologici consisteva nel dare per scontato (o nel lasciare intendere) che l'intelligenza umana, quella da riprodurre sui computer, coincidesse con il pensiero razionale e matematico. In tal modo si liberavano di colpo di tutte le complicazioni derivanti dalle situazioni non pienamente definite o ambigue - sono tali per esempio quelle del linguaggio naturale e delle sue infinite sfumature. Pensavano che intanto si poteva affrontare il problema più facile (sia pure di grande complessità numerica) e per poi passare a quelli più complicati. Le ricerche di allora portarono ad alcuni successi significativi, specialmente nel campo della dama, e soprattutto alla realizzazione di alcuni programmi come il Logic Theorist, che erano in grado di formulare la dimostrazione di teoremi matematici o addirittura di trovarne di nuovi. In questo caso il brillante successo (e non c'è dubbio che fosse tale) era tuttavia stato ottenuto confinando il ruolo della macchina a quello che, per sua struttura e definizione sa fare, anzi che fa meglio del cervello umano: instancabilmente e sistematicamente esplorare tutte le possibili strade, a ogni bivio fermandosi e chiedendosi: cosa succede se faccio così e cosa succede se faccio cosà? In pratica usando infinite volte il costrutto logico fondamentale della programmazione: if ... then ..., else ... (se ... allora ... altrimenti ...). Le cose non hanno funzionato quando l'AI ha cercato di cimentarsi con altre prestazioni intelligenti come la comprensione del linguaggio naturale o il riconoscimento delle immagini ed è qui che sono entrate in gioco le reti neurali che cercano di arrivare allo stesso obbiettivo salendo dal basso, anziché scendendo dall'alto. In questo caso il programma coincide appunto con un reticolo di singole unità, ognuna delle quali svolge delle piccole trasformazioni dei segnali che riceve in ingresso e a sua volta emette dei segnali in uscita, influenzando il comportamento di altre celle.
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