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socialismo : riforme al tempo del mercato globale
- Subject: socialismo : riforme al tempo del mercato globale
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 08 Feb 2002 19:16:43 +0100
dal corriere Mercoledì 6 Febbraio 2002 Come coniugare nuovo capitalismo ed eguaglianza: sulla rivista «Italianieuropei» una discussione tra Giuliano Amato e il teorico della Terza via Anthony Giddens SOCIALISMO Le riforme al tempo del mercato globale colloquio tra GIULIANO AMATO e ANTHONY GIDDENS Dal numero di Italianieuropei oggi in edicola, pubblichiamo uno stralcio del dibattito tra Giuliano Amato, vicepresidente della Convenzione europea, e il sociologo inglese Anthony Giddens, teorico della Terza via e consigliere di Tony Blair, sulle idealità del socialismo europeo . Giuliano Amato - Se estraggo il senso del socialismo dal complessivo contesto delle nostre esperienze, non trovo corretto identificarlo con l’anticapitalismo, ed è in questo spirito che ho letto le stesse istanze sollevate dai movimenti critici verso la globalizzazione. Come la nostra migliore tradizione del Novecento ha dimostrato, il socialismo non è la via per abolire il capitalismo, ma per civilizzarlo. Attraverso la lotta alla discriminazione, la redistribuzione del reddito, la creazione delle istituzioni del Welfare , il socialismo ha civilizzato l’economia capitalista, evitando che questa diventasse una macchina distruttiva e unilaterale. E tuttavia oggi siamo di fronte ad una evoluzione significativa dello stesso concetto di socialismo, di cui il New Labour è tra gli esempi migliori. Perché se un tempo i partiti socialisti rappresentavano classi sociali ben definite, i cambiamenti strutturali della società ci hanno condotto a guardare non più esclusivamente alle tradizionali classi lavoratrici ma a «coloro che lavorano» come soggetto fondamentale della nostra azione politica. E si tratta naturalmente di una differenza sostanziale. Allo stesso tempo sono convinto che si debba evitare di cadere in dispute ideologiche che chiedono di scegliere fra libertà ed eguaglianza, poiché il socialismo si propone di adottarle entrambe. Credo che l’attenzione che in tutta Europa i socialisti per primi riservano ai temi cruciali del nostro tempo - la formazione delle risorse umane e l’istruzione - lo confermi. Noi perseguiamo la libertà e l’eguaglianza perché è l’individuo il centro delle nostre politiche: l’essere umano come membro potenziale di una grande comunità di uguali. E lo facciamo avendo come punto di riferimento la creazione di una società equa. Anthony Giddens - Non si può negare che vi sia continuità con le idealità del passato, ma tendo a pensare che il socialismo in quanto dottrina segnata dalla lettura del capitalismo come sistema irrazionale sia sostanzialmente morta. Di fatto, la sinistra riconosce ormai che il mercato è il contesto migliore per giungere ad un’economia efficace e razionale. La questione da sciogliere è piuttosto quella dei modi per conciliare, nella realtà della globalizzazione, un’economia competitiva con una società equa. Ciò che rappresentano i movimenti no-global non è tanto la classica somma delle tesi anticapitaliste, quanto una sorta di fanteria delle organizzazioni non governative: sono queste organizzazioni, che lavorano in una dimensione globale per giungere a mutamenti significativi dello stato del mondo, ad essere uno dei principali elementi di novità degli ultimi trent’anni. I gruppi anti-capitalisti non sono che le frange di un dissenso molto più radicato, che riflette l’assenza di equilibrio nella società globalizzata fra le tre componenti necessarie per ottenere una società equa: ovvero una società all’interno della quale un’economia di mercato efficiente dovrebbe essere compensata da una società civile profondamente umanizzata, bilanciata a sua volta da un governo responsabile. Amato - Anche se non possiamo aspettarci che soluzioni magiche arrivino dall’Europa, essa ci è ormai indispensabile. Poiché oggi siamo costretti per necessità, e non per scelta ideologica, ad affidarci a sistemi di governo sovranazionale che rappresentano l’unica strada da percorrere in un mondo globalizzato per tentare di dare soluzione a quelle molteplici dimensioni dell’agire umano che non trovano più sufficiente spazio all’interno delle giurisdizioni nazionali. Una delle conseguenze di un mondo senza frontiere è proprio il netto ridimensionamento del potere degli Stati nazionali, che preoccupa e spaventa una parte dei nostri cittadini. Noi europei dobbiamo considerarci fortunati perché la nostra storia ci affida un’architettura sovranazionale che ci fornisce gli strumenti per andare avanti, e questo è divenuto ancora più chiaro dopo l’11 settembre. Certo, dobbiamo prima ricomporre il divario fra la percezione comune della missione affidata all’Europa e quella dei complessi macchinari che ne permettono concretamente lo svolgimento. Per questo ho fiducia nel lavoro della Convenzione per la riforma dell’Unione. Partendo dalla consapevolezza che quello che più conta sono le aspettative che dell’Europa ha l’opinione pubblica, occorre superare la disputa ideologica sul «traguardo finale» della costruzione europea. Il punto fondamentale è il «processo» della costruzione europea, e tale processo deve continuare in avanti ponendo al suo centro i bisogni reali dei cittadini. Giddens - Sono d’accordo: quello che conta è veramente il «processo», e sarebbe un errore concentrarsi troppo sui meccanismi tecnici della costruzione europea. Il punto di partenza sono i cittadini europei, e l’importante è che l’Europa riesca a incontrare i loro bisogni e le loro aspettative per il futuro con un progetto che tenga conto del diverso contesto internazionale che abbiamo dinanzi a noi dalla fine della guerra fredda e delle diverse finalità che questo contesto necessita rispetto agli anni Cinquanta. La posizione della Gran Bretagna nei confronti dell’Europa e dell’euro dipende, di fatto, dalla percezione che l’opinione pubblica ha delle conseguenze economiche e sociali dell’adesione alla moneta unica. Gli ultimi sondaggi dimostrano che la maggioranza della popolazione può essere definita «eurorealista»: ovvero non incondizionatamente filoeuropea né favorevole alla moneta unica, ma consapevole che la Gran Bretagna deve mettersi al passo con l’Europa. E ciò dimostra un evidente cambiamento di tendenza nel mio Paese. Tuttavia un referendum sull’adesione all’euro avrebbe un significato politico decisivo e il Labour non può permettersi di perderlo. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che l’Europa non è uno Stato, e che le sue politiche passeranno sempre attraverso le istituzioni comunitarie che danno forma alla genuina collaborazione tra le nazioni. Dopo gli attentati terroristici di settembre l’Europa è già in grado di delineare un approccio distinto alla globalizzazione e dunque alla convivenza fra le diverse culture. Il centrosinistra dovrebbe dichiararsi a favore della globalizzazione sulla base però di un significato più esteso del concetto. Penso all’assoluta necessità di affrontare i problemi posti dalla globalizzazione dell’economia, davanti ai quali la sinistra non deve battere in ritirata ma ricercare soluzioni che traducano a livello internazionale quei valori di inclusione e indipendenza che applica già a livello nazionale. La relazione fra la violenza e il nuovo ordine globale richiede una diversa concezione della sicurezza di fronte all’emergere di una combinazione inedita fra guerra, terrorismo e internazionalizzazione dei conflitti. È dunque compito del centrosinistra affermare in seno alla comunità mondiale quei valori cruciali su cui fonda già le sue politiche nazionali. Amato - Quei valori che fanno anche da eccellente antidoto contro le eccessive limitazioni delle libertà civili determinate dal bisogno di sicurezza. Anche in questo sta la differenza rispetto al centrodestra, dove è forte un estremismo unilaterale che non riesce a separare né a distinguere i vari problemi sul tappeto. L’atteggiamento proprio del centrosinistra tende invece alla distinzione, e per questo fin dall’inizio di questa crisi internazionale abbiamo sottolineato la differenza fra terrorismo e Islam. Noi sappiamo distinguere, e ciò è essenziale per difendere i valori della coesistenza nel mondo. Lo stesso atteggiamento vale per l’uso della forza militare. Che anche quando viene reputata un passo necessario, è sempre uno strumento che in primo luogo deve essere strettamente ancorato al principio di proporzionalità; e poi non può prescindere dall’azione della politica che deve ricostruire sulle rovine la comunità distrutta, ritessere le relazioni umane e instaurare o restaurare la democrazia. E anche questo è il nostro modo di distinguere, di isolare il nemico e di coinvolgere tutti gli altri in un tessuto rispettoso delle diversità e, insieme, dei fondamentali valori comuni.
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