socialismo : riforme al tempo del mercato globale



dal corriere

 
  
 
   
  
 Mercoledì 6 Febbraio 2002 
 
 
Come coniugare nuovo capitalismo ed eguaglianza: sulla rivista
«Italianieuropei» una discussione tra Giuliano Amato e il teorico della
Terza via Anthony Giddens

SOCIALISMO Le riforme al tempo del mercato globale

colloquio tra GIULIANO AMATO e ANTHONY GIDDENS


Dal numero di Italianieuropei oggi in edicola, pubblichiamo uno stralcio
del dibattito tra Giuliano Amato, vicepresidente della Convenzione europea,
e il sociologo inglese Anthony Giddens, teorico della Terza via e
consigliere di Tony Blair, sulle idealità del socialismo europeo . 
Giuliano Amato - Se estraggo il senso del socialismo dal complessivo
contesto delle nostre esperienze, non trovo corretto identificarlo con
l’anticapitalismo, ed è in questo spirito che ho letto le stesse istanze
sollevate dai movimenti critici verso la globalizzazione. Come la nostra
migliore tradizione del Novecento ha dimostrato, il socialismo non è la via
per abolire il capitalismo, ma per civilizzarlo. Attraverso la lotta alla
discriminazione, la redistribuzione del reddito, la creazione delle
istituzioni del Welfare , il socialismo ha civilizzato l’economia
capitalista, evitando che questa diventasse una macchina distruttiva e
unilaterale. E tuttavia oggi siamo di fronte ad una evoluzione
significativa dello stesso concetto di socialismo, di cui il New Labour è
tra gli esempi migliori. Perché se un tempo i partiti socialisti
rappresentavano classi sociali ben definite, i cambiamenti strutturali
della società ci hanno condotto a guardare non più esclusivamente alle
tradizionali classi lavoratrici ma a «coloro che lavorano» come soggetto
fondamentale della nostra azione politica. E si tratta naturalmente di una
differenza sostanziale. 
Allo stesso tempo sono convinto che si debba evitare di cadere in dispute
ideologiche che chiedono di scegliere fra libertà ed eguaglianza, poiché il
socialismo si propone di adottarle entrambe. Credo che l’attenzione che in
tutta Europa i socialisti per primi riservano ai temi cruciali del nostro
tempo - la formazione delle risorse umane e l’istruzione - lo confermi. Noi
perseguiamo la libertà e l’eguaglianza perché è l’individuo il centro delle
nostre politiche: l’essere umano come membro potenziale di una grande
comunità di uguali. E lo facciamo avendo come punto di riferimento la
creazione di una società equa. 
Anthony Giddens - Non si può negare che vi sia continuità con le idealità
del passato, ma tendo a pensare che il socialismo in quanto dottrina
segnata dalla lettura del capitalismo come sistema irrazionale sia
sostanzialmente morta. Di fatto, la sinistra riconosce ormai che il mercato
è il contesto migliore per giungere ad un’economia efficace e razionale. La
questione da sciogliere è piuttosto quella dei modi per conciliare, nella
realtà della globalizzazione, un’economia competitiva con una società equa.
Ciò che rappresentano i movimenti no-global non è tanto la classica somma
delle tesi anticapitaliste, quanto una sorta di fanteria delle
organizzazioni non governative: sono queste organizzazioni, che lavorano in
una dimensione globale per giungere a mutamenti significativi dello stato
del mondo, ad essere uno dei principali elementi di novità degli ultimi
trent’anni. I gruppi anti-capitalisti non sono che le frange di un dissenso
molto più radicato, che riflette l’assenza di equilibrio nella società
globalizzata fra le tre componenti necessarie per ottenere una società
equa: ovvero una società all’interno della quale un’economia di mercato
efficiente dovrebbe essere compensata da una società civile profondamente
umanizzata, bilanciata a sua volta da un governo responsabile. 
Amato - Anche se non possiamo aspettarci che soluzioni magiche arrivino
dall’Europa, essa ci è ormai indispensabile. Poiché oggi siamo costretti
per necessità, e non per scelta ideologica, ad affidarci a sistemi di
governo sovranazionale che rappresentano l’unica strada da percorrere in un
mondo globalizzato per tentare di dare soluzione a quelle molteplici
dimensioni dell’agire umano che non trovano più sufficiente spazio
all’interno delle giurisdizioni nazionali. Una delle conseguenze di un
mondo senza frontiere è proprio il netto ridimensionamento del potere degli
Stati nazionali, che preoccupa e spaventa una parte dei nostri cittadini.
Noi europei dobbiamo considerarci fortunati perché la nostra storia ci
affida un’architettura sovranazionale che ci fornisce gli strumenti per
andare avanti, e questo è divenuto ancora più chiaro dopo l’11 settembre. 
Certo, dobbiamo prima ricomporre il divario fra la percezione comune della
missione affidata all’Europa e quella dei complessi macchinari che ne
permettono concretamente lo svolgimento. Per questo ho fiducia nel lavoro
della Convenzione per la riforma dell’Unione. Partendo dalla consapevolezza
che quello che più conta sono le aspettative che dell’Europa ha l’opinione
pubblica, occorre superare la disputa ideologica sul «traguardo finale»
della costruzione europea. Il punto fondamentale è il «processo» della
costruzione europea, e tale processo deve continuare in avanti ponendo al
suo centro i bisogni reali dei cittadini. 
Giddens - Sono d’accordo: quello che conta è veramente il «processo», e
sarebbe un errore concentrarsi troppo sui meccanismi tecnici della
costruzione europea. Il punto di partenza sono i cittadini europei, e
l’importante è che l’Europa riesca a incontrare i loro bisogni e le loro
aspettative per il futuro con un progetto che tenga conto del diverso
contesto internazionale che abbiamo dinanzi a noi dalla fine della guerra
fredda e delle diverse finalità che questo contesto necessita rispetto agli
anni Cinquanta. La posizione della Gran Bretagna nei confronti dell’Europa
e dell’euro dipende, di fatto, dalla percezione che l’opinione pubblica ha
delle conseguenze economiche e sociali dell’adesione alla moneta unica. Gli
ultimi sondaggi dimostrano che la maggioranza della popolazione può essere
definita «eurorealista»: ovvero non incondizionatamente filoeuropea né
favorevole alla moneta unica, ma consapevole che la Gran Bretagna deve
mettersi al passo con l’Europa. E ciò dimostra un evidente cambiamento di
tendenza nel mio Paese. Tuttavia un referendum sull’adesione all’euro
avrebbe un significato politico decisivo e il Labour non può permettersi di
perderlo. 
Non dobbiamo tuttavia dimenticare che l’Europa non è uno Stato, e che le
sue politiche passeranno sempre attraverso le istituzioni comunitarie che
danno forma alla genuina collaborazione tra le nazioni. Dopo gli attentati
terroristici di settembre l’Europa è già in grado di delineare un approccio
distinto alla globalizzazione e dunque alla convivenza fra le diverse
culture. Il centrosinistra dovrebbe dichiararsi a favore della
globalizzazione sulla base però di un significato più esteso del concetto.
Penso all’assoluta necessità di affrontare i problemi posti dalla
globalizzazione dell’economia, davanti ai quali la sinistra non deve
battere in ritirata ma ricercare soluzioni che traducano a livello
internazionale quei valori di inclusione e indipendenza che applica già a
livello nazionale. La relazione fra la violenza e il nuovo ordine globale
richiede una diversa concezione della sicurezza di fronte all’emergere di
una combinazione inedita fra guerra, terrorismo e internazionalizzazione
dei conflitti. È dunque compito del centrosinistra affermare in seno alla
comunità mondiale quei valori cruciali su cui fonda già le sue politiche
nazionali. 
Amato - Quei valori che fanno anche da eccellente antidoto contro le
eccessive limitazioni delle libertà civili determinate dal bisogno di
sicurezza. Anche in questo sta la differenza rispetto al centrodestra, dove
è forte un estremismo unilaterale che non riesce a separare né a
distinguere i vari problemi sul tappeto. L’atteggiamento proprio del
centrosinistra tende invece alla distinzione, e per questo fin dall’inizio
di questa crisi internazionale abbiamo sottolineato la differenza fra
terrorismo e Islam. Noi sappiamo distinguere, e ciò è essenziale per
difendere i valori della coesistenza nel mondo. 
Lo stesso atteggiamento vale per l’uso della forza militare. Che anche
quando viene reputata un passo necessario, è sempre uno strumento che in
primo luogo deve essere strettamente ancorato al principio di
proporzionalità; e poi non può prescindere dall’azione della politica che
deve ricostruire sulle rovine la comunità distrutta, ritessere le relazioni
umane e instaurare o restaurare la democrazia. E anche questo è il nostro
modo di distinguere, di isolare il nemico e di coinvolgere tutti gli altri
in un tessuto rispettoso delle diversità e, insieme, dei fondamentali
valori comuni.