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centrodestra e fondazioni bancarie
- Subject: centrodestra e fondazioni bancarie
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 09 Feb 2002 06:43:09 +0100
dalla repubblica MARTEDÌ, 05 FEBBRAIO Le mire del centrodestra sul futuro delle Fondazioni Non è soltanto una questione di denaro: infatti chi alla fine dominerà questi enti, domani potrà nominare i vertici dei maggiori gruppi bancari È dai tempi dell'impero Dc che non si vedeva un disegno così prepotente di colonizzazione politica Un obiettivo che vede in prima fila Tremonti e Bossi MASSIMO RIVA ---------------------------------------------------------------------------- ---- Tutto è cominciato con un colpo di mano legislativo a sorpresa, eseguito con la stessa tecnica dei raid notturni delle teste di cuoio. Ma il seguito promette di essere la più grandiosa e sensazionale campagna di occupazione del potere mai realizzata dopo la caduta dell'impero democristiano. È da quei tempi, infatti, che nessuno aveva più osato concepire un disegno tanto prepotente e ambizioso di colonizzazione politica di così vaste ricchezze dell'economia nazionale, come quelle che fanno capo alle Fondazioni di origine bancaria. C'è da giurare che Franco Evangelisti si stia letteralmente rigirando nella tomba all'idea che un'orda di nuovi barbari, guidati da Attila Bossi e Genserico Tremonti, stia allungando le proprie mani voraci sull'eredità dell'immenso patrimonio di quelle Casse di Risparmio il cui nome, secondo il fedele scudiero di Giulio Andreotti, avrebbe dovuto essere perennemente inciso niente meno che sullo scudo crociato della vecchia Dc. Ma — «sic transit gloria mundi» — questo è oggi proprio quel che minaccia di verificarsi. I più arditi manipoli del polo berlusconiano si preparano a dare l'assalto finale contro le cittadelle sguarnite delle Fondazioni, dopo averne abilmente indebolito le difese che una legge con l'altisonante nome di Carlo Azeglio Ciampi aveva realizzato con il proposito di precludere ogni ritorno alle sciagurate pratiche della lottizzazione politica. Il primo sapiente atto di ostilità — ovvero il «blitz» richiamato all'inizio — è stato un emendamento presentato all'improvviso dal governo nella baraonda finale dei voti a valanga sulla legge finanziaria. Profittando del caos tipico di questi passaggi parlamentari, il ministro Tremonti ha infilato nella tramoggia legislativa di Montecitorio la richiesta di un mandato a modificare la disciplina delle Fondazioni. Il tutto — ecco il punto cruciale — secondo criteri che ora rischiano di rovesciare quanto fin qui realizzato per dare una soluzione civile e avanzata alle spinose questioni lasciate irrisolte dalla riforma del settore. Si ricorderà che con l'invenzione delle Fondazioni da parte di Giuliano Amato si era dato sì un primo taglio al cordone ombelicale fra banche pubbliche e partiti politici, ma le Fondazioni lasciate a se stesse minacciavano di trasformarsi in potentati autoreferenziali e fuori di ogni controllo. Per forzare il passo verso la definitiva fuoriuscita dei nuovi enti dal sistema creditizio e per inquadrarli in una disciplina organica era allora intervenuto lo stesso Ciampi, da ministro del Tesoro, che aveva ridisegnato le Fondazioni in modo da stabilirne il carattere privatistico di enti aperti soprattutto alla società civile. Un'iniziativa di ispirazione nettamente liberale, tanto dal punto di vista politico che economico. Ma a ribaltare questo processo evolutivo del sistema, ecco ora la mossa dei sedicenti liberisti del polo berlusconiano, la quale si contraddistingue per tre novità, che sono in realtà tre clamorosi passi all'indietro. Primo, si stabilisce che negli organi di gestione delle Fondazioni dovrà essere prevalente la rappresentanza degli enti territoriali ovvero Comuni, Province e Regioni: esattamente come ai bei tempi della lottizzazione delle Casse di Risparmio. Secondo, si dilata il campo delle materie di investimento da parte delle Fondazioni fino a farvi entrare doveri sostitutivi di competenze tipiche degli enti locali o addirittura dello Stato. Terzo, in conseguenza dei primi due punti, si getta alle ortiche l'impronta privatistica che le riforme AmatoCiampi avevano cercato di dare alle Fondazioni, nel tentativo di arginare gli appetiti spartitori della politica. Non c'è bisogno di essere dei von Clausewitz per capire quali siano gli scopi che ci si ripromette di raggiungere con questi nuovi strumenti legislativi. La posta in gioco è l'asservimento delle Fondazioni al controllo politico del centrodestra, soprattutto nelle regioni del Nord dove l'indiscussa prevalenza del polo berlusconiano nelle amministrazioni locali si coniuga felicemente con la presenza degli enti di gran lunga più ricchi: per esempio, la Fondazione Cariplo, il cui attivo consolidato a fine 2001 era stimato nella rispettabile cifra di 6.410 milioni di euro. Ovvero qualcosa come oltre 12mila miliardi di vecchie lire i cui frutti, in base alla disciplina modificata, potranno essere utilizzati per sovvenire — com'è intuibile — le spese dei sindaci e dei presidenti di Province o Regioni politicamente amici. Obiettivo strategico che spiega anche perché la battaglia in corso vede in prima fila la consolidata accoppiata politica BossiTremonti. La «devolution» reclamata dal leader leghista minaccia di avere costi non agevolmente sostenibili dalle finanze statali: ma se si mettono le mani sulle casse delle Fondazioni, tutto diventa più facile... Ritenere, però, che i «conquistadores» berlusconiani abbiano di mira soltanto i soldi delle Fondazioni sarebbe fare un torto alla loro visione strategica. È opportuno ricordare che non poche Fondazioni mantengono tuttora una posizione di rilievo nell'azionariato di alcuni istituti di credito. Per esempio, è nelle mani di Fondazioni il controllo o quasi dei maggiori gruppi bancari del paese: San Paolo, IntesaBci, Unicredit, fino alla preziosa cassaforte di Mediobanca. Morale: chi domani avrà il dominio delle Fondazioni, potrà dopodomani decidere chi nominare ai vertici delle banche. E qui siamo al piatto forte di tutta la vicenda. Se il polo berlusconiano riesce a mettere uomini propri anche nei consigli di amministrazione dei più importanti gruppi creditizi il cerchio del potere si chiude e lo spazio vitale del centrodestra potrà consolidarsi fino al punto da far impallidire la pluridecennale signoria democristiana sul mercato del credito e, di riflesso, sull'economia nazionale. Il progetto politico di Silvio Berlusconi raggiungerebbe così il suo traguardo finale: perché dall'azienda divenuta partito si passerebbe al partito che diventa Stato. Di fronte a una simile minaccia per le libertà mercantili e politiche degli italiani sarebbe di conforto poter registrare un impegno di vigilanza del Quirinale e qualche sussulto di battaglia da parte dell'opposizione. Purtroppo il Colle, se non assente, è per ora silente, mentre l'Ulivo appare attorcigliato su se stesso in uno sterile dibattito sui ruoli da assegnare a Francesco Rutelli piuttosto che a Massimo D'Alema. Dum Romae consulitur...
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