la partita economica e i rischi per l'europa



da repubblica

GIOVEDÌ, 31 GENNAIO 2002 
  
La partita economica e i rischi per l'Europa  
  
  
  
  
ANTONIO POLITO  

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Mentre l'Europa sogna una Costituzione all'americana, e si prepara a fare
di Bruxelles la Philadelphia europea, la Costituzione che già ha, quella
economica scritta a Maastricht, è di fronte alla sua prova più difficile,
dal cui esito potrebbe uscire stracciata, riscritta o rafforzata. La
decisione della Commissione Prodi di emettere per la prima volta un
avvertimento («early warning») nei confronti della Germania e del
Portogallo, entrambi a rischio di sforare quel mitico 3% di deficit che per
anni è stato il tormento dell'Italia, apre un capitolo nuovo e uno scontro
politico nel cuore dell'Europa dai risultati imprevedibili. Intanto
certifica ciò che di cui tutti si erano accorti da tempo: la grande
perdente dell'euro è stata proprio la Germania, il colosso che aveva
rinunciato al marco per ottenere il via libera alla sua riunificazione
politica. 
Il rallentamento economico ha colpito più duramente il paese
tradizionalmente più virtuoso, il primo della classe, perché l'Euro l'ha
spogliato di quel vantaggio competitivo che prima aveva nei confronti degli
altri partner europei: grazie alla moneta unica, Francia e Italia hanno
chiuso il ciclo dell'inflazione, e ora sono alla pari. Per un paese
esportatore come la Germania, in cui la domanda interna è illanguidita da
una sorta di stanchezza del benessere, le estreme rigidità sindacali e
legislative sono diventate ancora meno tollerabili, costringendolo alla
stagnazione della crescita e a più di quattro milioni di disoccupati.
Theo Waigel, il ministro delle Finanze tedesco che nel '96 inventò il Patto
di Stabilità con le sue salatissime multe per i paesi che sgarrano, al fine
di tenere fuori l'indisciplinata Italia, oggi non riesce a credere che vi
sia incappato proprio il suo successore, il socialdemocratico Eichel, in un
sorprendente contrappasso dantesco. Molto del futuro di Eurolandia e della
moneta unica dipendono ora da come la Germania di Schroeder, ferita
nell'orgoglio nel pieno di una campagna elettorale tutta in salita contro
il democristiano Stoiber, reagirà allo schiaffo di Bruxelles. Se abbozzerà
alle caute parole del Commissario Solbes, che ha lanciato l'«avvertimento»
ma senza raccomandare alcun cambio di politica fiscale, l'Europa avrà dato
prova che una forma di governo comune dell'economia non si applica solo
alla piccola Irlanda ma anche ai paesi leader. In fin dei conti, agli stati
della federazione americana è proibito entro certi limiti di finanziarsi
col deficit. Se invece la Germania reagirà, chiamando a raccolta i governi
per far bocciare la proposta della Commissione nel prossimo Ecofin del 12
febbraio, si aprirà una crisi senza precedenti, governi contro Bruxelles,
che non potrà non avere effetti sui mercati, attenti osservatori di questo
primo, vero «showdown» dell'Euro, già gravemente indebolito dopo
l'euroforia di inizio d'anno (meno 2,3%), e di nuovo in corsa verso minimi
storici.
Schroeder sa che potrebbe vincere facilmente la battaglia: Francia, Italia
e Gran Bretagna correrebbero in suo aiuto, impazienti di dare un colpo
all'autorità della Commissione e di mettersi al riparo da future analoghe
bacchettate. L'intero edificio di Eurolandia andrebbe però ridisegnato,
perché avrebbe dimostrato di non reggere alle tensioni che il rallentamento
economico ha aperto nelle sue fondamenta: troppo rigide, inflessibili,
incapaci di adattarsi alle scosse dell'economia mondiale.
Gli ottimisti della Commissione sperano che Berlino tenga fede al suo ruolo
di fulcro dell'integrazione europea, e che non mandi tutto all'aria la
prima volta che tocca a lei. Si fanno forza dei Trattati, che impongono
alla Commissione di esserne guardiana e notaio, di fare ciò che vi è
scritto senza discrezionalità politica e senza guardare in faccia a
nessuno: «Abbiamo fatto il nostro dovere — dice Prodi — e il nostro dovere
è di non curarci delle reazioni che questo provoca». Avvertono che se
l'Ecofin la boccerà «si assumerà la sua responsabilità politica, come noi
ci siamo assunta la nostra».
Scrutano la finora moderata reazione di Berlino traendone buoni auspici. In
fin dei conti, la Spd si trova nella condizione in cui si trovò l'Ulivo in
campagna elettorale. L'avvertimento di Bruxelles è un colpo alla sua
credibilità nella gestione dell'economia, ma è anche uno stop alle
ambizioni elettorali di Stoiber, che annuncia di voler tagliare le tasse e
aumentare la spesa: in queste condizioni di bilancio, dice Bruxelles, non è
possibile. In aggiunta, Schroeder avrebbe un buon argomento per frenare i
sindacati, lanciati in onerosi rinnovi contrattuali.
Eppure, anche nell'applicazione pignola e notarile dei Trattati, la
decisione della Commissione mette a nudo alcune apparenti stranezze e
schizofrenie del Patto e delle regole europee. È curioso che alla Germania,
cui si lancia un «avvertimento» formale, non si suggerisca poi nessun
cambiamento di politica fiscale, mentre all'Italia, promossa a pieni voti,
si suggerisca invece di guardare al suo debito ancora troppo alto, alle
pensioni ancora non riformate abbastanza, alle misure «una tantum» che
l'anno prossimo non avranno gli effetti benefici di quest'anno. Ed è
curioso che la Germania si becchi un «avvertimento» perché cresce poco
mentre all'Irlanda, l'anno scorso, fu comminata una censura perchè cresceva
troppo, accendendo l'inflazione.
Queste apparenti contraddizioni mostrano con grande evidenza la difficoltà
intrinseca di tenere insieme in una moneta unica dodici stati ed economie
diverse, ognuna con la sua storia e il suo governo. Ma proprio quando si
applica una qualche forma di governo comune, che dovrebbe essere la
risposta, la difficoltà si accresce, e anzi assume caratteri esplosivi. Sul
bilancio della Germania si sta insomma giocando una partita che è il cuore
della domanda posta alla Convezione Giscard: deve prevalere l'integrazione
comunitaria o la sovranità degli stati nazione? Dall'esito della partita
tedesca dipenderà anche la piega che prenderà il dibattito sull'efficacia
del Patto di Stabilità in tempi di vacche magre: lasciarlo così com'è o
cominciare a cambiarlo, a partire dal vertice di Barcellona di marzo,
ammorbidendolo un po'?
Manco a farlo apposta, ieri la Commissione ha preso un'altra decisione
destinata ad aprire forti tensioni nell'edificio comunitario e a mettere in
primo piano la complessità del suo più grande progetto politico:
l'allargamento a est. Nel definirne i costi, Bruxelles ha dichiarato che i
fondi della politica agricola comunitaria che vanno direttamente ai
produttori non saranno elargiti alla Polonia e ai nuovi entranti con la
stessa generosità con cui sono oggi elargiti a Francia e Germania. I
contadini dell'ex impero sovietico vivranno per dieci anni in serie B,
ottenendo in partenza solo il 25% di quello che va ai contadini
dell'Occidente. I paesi candidati, Varsavia in testa, già si organizzano
per resistere a quella che ritengono essere una inaccettabile
discriminazione. E così anche il più nobile dei progetti europei dovrà fare
i conti col vil denaro, da sempre alfa e omega della ambiziosa ma
zoppicante costruzione dell'Europa unita.