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la partita economica e i rischi per l'europa
- Subject: la partita economica e i rischi per l'europa
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 04 Feb 2002 06:49:14 +0100
da repubblica GIOVEDÌ, 31 GENNAIO 2002 La partita economica e i rischi per l'Europa ANTONIO POLITO ---------------------------------------------------------------------------- ---- Mentre l'Europa sogna una Costituzione all'americana, e si prepara a fare di Bruxelles la Philadelphia europea, la Costituzione che già ha, quella economica scritta a Maastricht, è di fronte alla sua prova più difficile, dal cui esito potrebbe uscire stracciata, riscritta o rafforzata. La decisione della Commissione Prodi di emettere per la prima volta un avvertimento («early warning») nei confronti della Germania e del Portogallo, entrambi a rischio di sforare quel mitico 3% di deficit che per anni è stato il tormento dell'Italia, apre un capitolo nuovo e uno scontro politico nel cuore dell'Europa dai risultati imprevedibili. Intanto certifica ciò che di cui tutti si erano accorti da tempo: la grande perdente dell'euro è stata proprio la Germania, il colosso che aveva rinunciato al marco per ottenere il via libera alla sua riunificazione politica. Il rallentamento economico ha colpito più duramente il paese tradizionalmente più virtuoso, il primo della classe, perché l'Euro l'ha spogliato di quel vantaggio competitivo che prima aveva nei confronti degli altri partner europei: grazie alla moneta unica, Francia e Italia hanno chiuso il ciclo dell'inflazione, e ora sono alla pari. Per un paese esportatore come la Germania, in cui la domanda interna è illanguidita da una sorta di stanchezza del benessere, le estreme rigidità sindacali e legislative sono diventate ancora meno tollerabili, costringendolo alla stagnazione della crescita e a più di quattro milioni di disoccupati. Theo Waigel, il ministro delle Finanze tedesco che nel '96 inventò il Patto di Stabilità con le sue salatissime multe per i paesi che sgarrano, al fine di tenere fuori l'indisciplinata Italia, oggi non riesce a credere che vi sia incappato proprio il suo successore, il socialdemocratico Eichel, in un sorprendente contrappasso dantesco. Molto del futuro di Eurolandia e della moneta unica dipendono ora da come la Germania di Schroeder, ferita nell'orgoglio nel pieno di una campagna elettorale tutta in salita contro il democristiano Stoiber, reagirà allo schiaffo di Bruxelles. Se abbozzerà alle caute parole del Commissario Solbes, che ha lanciato l'«avvertimento» ma senza raccomandare alcun cambio di politica fiscale, l'Europa avrà dato prova che una forma di governo comune dell'economia non si applica solo alla piccola Irlanda ma anche ai paesi leader. In fin dei conti, agli stati della federazione americana è proibito entro certi limiti di finanziarsi col deficit. Se invece la Germania reagirà, chiamando a raccolta i governi per far bocciare la proposta della Commissione nel prossimo Ecofin del 12 febbraio, si aprirà una crisi senza precedenti, governi contro Bruxelles, che non potrà non avere effetti sui mercati, attenti osservatori di questo primo, vero «showdown» dell'Euro, già gravemente indebolito dopo l'euroforia di inizio d'anno (meno 2,3%), e di nuovo in corsa verso minimi storici. Schroeder sa che potrebbe vincere facilmente la battaglia: Francia, Italia e Gran Bretagna correrebbero in suo aiuto, impazienti di dare un colpo all'autorità della Commissione e di mettersi al riparo da future analoghe bacchettate. L'intero edificio di Eurolandia andrebbe però ridisegnato, perché avrebbe dimostrato di non reggere alle tensioni che il rallentamento economico ha aperto nelle sue fondamenta: troppo rigide, inflessibili, incapaci di adattarsi alle scosse dell'economia mondiale. Gli ottimisti della Commissione sperano che Berlino tenga fede al suo ruolo di fulcro dell'integrazione europea, e che non mandi tutto all'aria la prima volta che tocca a lei. Si fanno forza dei Trattati, che impongono alla Commissione di esserne guardiana e notaio, di fare ciò che vi è scritto senza discrezionalità politica e senza guardare in faccia a nessuno: «Abbiamo fatto il nostro dovere — dice Prodi — e il nostro dovere è di non curarci delle reazioni che questo provoca». Avvertono che se l'Ecofin la boccerà «si assumerà la sua responsabilità politica, come noi ci siamo assunta la nostra». Scrutano la finora moderata reazione di Berlino traendone buoni auspici. In fin dei conti, la Spd si trova nella condizione in cui si trovò l'Ulivo in campagna elettorale. L'avvertimento di Bruxelles è un colpo alla sua credibilità nella gestione dell'economia, ma è anche uno stop alle ambizioni elettorali di Stoiber, che annuncia di voler tagliare le tasse e aumentare la spesa: in queste condizioni di bilancio, dice Bruxelles, non è possibile. In aggiunta, Schroeder avrebbe un buon argomento per frenare i sindacati, lanciati in onerosi rinnovi contrattuali. Eppure, anche nell'applicazione pignola e notarile dei Trattati, la decisione della Commissione mette a nudo alcune apparenti stranezze e schizofrenie del Patto e delle regole europee. È curioso che alla Germania, cui si lancia un «avvertimento» formale, non si suggerisca poi nessun cambiamento di politica fiscale, mentre all'Italia, promossa a pieni voti, si suggerisca invece di guardare al suo debito ancora troppo alto, alle pensioni ancora non riformate abbastanza, alle misure «una tantum» che l'anno prossimo non avranno gli effetti benefici di quest'anno. Ed è curioso che la Germania si becchi un «avvertimento» perché cresce poco mentre all'Irlanda, l'anno scorso, fu comminata una censura perchè cresceva troppo, accendendo l'inflazione. Queste apparenti contraddizioni mostrano con grande evidenza la difficoltà intrinseca di tenere insieme in una moneta unica dodici stati ed economie diverse, ognuna con la sua storia e il suo governo. Ma proprio quando si applica una qualche forma di governo comune, che dovrebbe essere la risposta, la difficoltà si accresce, e anzi assume caratteri esplosivi. Sul bilancio della Germania si sta insomma giocando una partita che è il cuore della domanda posta alla Convezione Giscard: deve prevalere l'integrazione comunitaria o la sovranità degli stati nazione? Dall'esito della partita tedesca dipenderà anche la piega che prenderà il dibattito sull'efficacia del Patto di Stabilità in tempi di vacche magre: lasciarlo così com'è o cominciare a cambiarlo, a partire dal vertice di Barcellona di marzo, ammorbidendolo un po'? Manco a farlo apposta, ieri la Commissione ha preso un'altra decisione destinata ad aprire forti tensioni nell'edificio comunitario e a mettere in primo piano la complessità del suo più grande progetto politico: l'allargamento a est. Nel definirne i costi, Bruxelles ha dichiarato che i fondi della politica agricola comunitaria che vanno direttamente ai produttori non saranno elargiti alla Polonia e ai nuovi entranti con la stessa generosità con cui sono oggi elargiti a Francia e Germania. I contadini dell'ex impero sovietico vivranno per dieci anni in serie B, ottenendo in partenza solo il 25% di quello che va ai contadini dell'Occidente. I paesi candidati, Varsavia in testa, già si organizzano per resistere a quella che ritengono essere una inaccettabile discriminazione. E così anche il più nobile dei progetti europei dovrà fare i conti col vil denaro, da sempre alfa e omega della ambiziosa ma zoppicante costruzione dell'Europa unita.
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