[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
imprese non c'e' etica senza politica
- Subject: imprese non c'e' etica senza politica
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Sun, 03 Feb 2002 09:02:25 +0100
dalla stampa Mercoledi' 30.1.2002 Codici di condotta e comportamenti altruistici nel mondo aziendale: risposta a Benessia Imprese, non c’è etica senza politica 30 gennaio 2002 di Gustavo Zagrebelski In un universo umano dominato dalla forza e dall'interesse, tra le tante 'nuove etiche' che negli ultimi decenni hanno fatto la loro apparizione (da ultimo, perfino un'«etica hacker»), un'attenzione particolare si concentra non da oggi sull'etica dell'impresa o, più in generale, degli affari. Angelo Benessia ha richiamato la nostra attenzione sulla discussione in corso, segnalandone la ragione: il timore che lo spirito di un capitalismo ormai padrone del mondo, separato da ogni etica e divenuto pura «volontà animale» di potenza e di arricchimento sia divenuto minaccia per beni e diritti elementari dell'essere umano, come l'ambiente, la salute, la dignità, l'integrità e la vita. Ma può avere un senso concreto, o è una pia illusione, accostare etica e affari? Innanzitutto, farei una distinzione per separare etica e morale. La morale ha a che vedere con il retto agire dell'uomo come tale: non commettere ingiustizie, aiutare i deboli, i derelitti e i perseguitati, ecc. Essa vale per tutti allo stesso modo. L'etica ha invece a che vedere con il retto agire non secondo l'essere membro dell'umanità in generale, ma secondo la funzione particolare che si è chiamati a svolgere nella società. Ci sono perciò tante etiche quante le posizioni e le professioni sociali. Per esempio, c'è l'etica del magistrato, che rende giustizia «senza guardare in faccia nessuno»; dell'avvocato, che difende il cliente senza sabotare la giustizia; dell'uomo d'affari, che fa i propri interessi senza corrompere gli uomini politici; dell'uomo politico, che cura gli interessi dei suoi concittadini senza farsi corrompere dagli uomini d'affari. Appartenendo ad ambiti diversi, tra etica e morale sorgono continuamente conflitti. L'insegnante che aiuta all'esame il ragazzo poco dotato per gli studi agisce moralmente, ma forse non eticamente. L'imprenditore che, dovendo ridurre i suoi occupati, licenzia a iniziare da quelli meno produttivi - donne e anziani, per esempio - tiene un comportamento immorale, ma forse conforme all'etica dell'impresa. L'etica può essere moralmente disgustosa; la morale, eticamente insostenibile. In mancanza di un quadro di riferimento esterno, l'individuo, pur animato, anzi: proprio perché animato dalle migliori intenzioni, con le sue sole forze si perde in conflitti interiori insolubili. Un'etica specificamente propria dell'attività economica risale alle corporazioni medievali. Ernst Troeltsch, il grande storico delle idee del mondo cristiano, ha illustrato questo punto in una celebre opera (Le dottrine sociali delle chiese e dei gruppi cristiani, 1912). Max Weber l'ha sviluppato con riguardo al capitalismo e all'etica calvinista e puritana in un altro, celeberrimo studio (L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, 1904-5), incentrato sul concetto di Beruf - professione, compito, vocazione -, un concetto denso di contenuti etici e riferibile a ogni attività professionale, sia essa, per l'appunto, economica o scientifica e politica (altrettanto famose, le due conferenze su La politica e La scienza come professioni, 1918). Trova espressione, in questo concetto, l'idea che il perfezionamento morale dell'essere umano non sta primariamente, secondo l'ascesi monastica cristiana, nella fuga dal mondo, ma nell'adempimento dei doveri mondani, quali risultano dalla posizione occupata nella vita sociale, ciò che costituisce, precisamente, la «vocazione» di ciascuno. L'etica professionale è dunque l'impegno a onorare questa vocazione - insisto - nella posizione che si occupa entro l'organizzazione della società. Questo punto è capitale. Dimenticare questa specificazione, significa contraddire l'etica della propria professione. Il professore che usa la cattedra a fini politici; il giudice che vuole moralizzare la società con le sue sentenze; l'uomo di chiesa che usa il suo ascendente spirituale per affermarsi nel campo politico; l'uomo di governo che specula sui sentimenti religiosi per fini di governo; ma anche l'uomo di affari che usa la ricchezza per uscire dal suo posto e invadere quello della politica, sono tutti esempi - magari dettati dalle migliori e più morali delle intenzioni - di mancanza di etica professionale. L'etica è dunque limite; è riconoscimento dell'essere parti di un tutto, verso cui si è obbligati a non eccedere. Nel campo dell'economia, il limite era addirittura evidente per i ceti medievali e i capitalisti delle corporazioni calviniste: la concezione sociale cristiana, cattolica o riformata, era la struttura che dava a tutti e a ciascuno il suo giusto «posto» e il suo compito corrispondente. Da allora, tutto è cambiato. Le rivoluzioni politiche borghesi hanno travolto le strutture tradizionali delle società. Nessun limite naturale e vincolante esiste più. L'economia - l'avevano presentito fin dall'inizio i critici delle rivoluzioni - è divenuta progressivamente la forza costitutiva esclusiva delle società umane. Le altre - diritti, culture, religioni - arrancano. L'eroe del nostro tempo non è più il cavaliere senza macchia e senza paura, il dotto umanista, il santo monaco e neppure il commerciante dalla coscienza adamantina, il professionista scrupoloso, l'imprenditore dall'inflessibile stile di vita, alcuni esempi dei quali sono da noi ancora vivi, nella memoria delle valli valdesi e biellesi. L'eroe del nostro tempo è l'uomo emergente del management, quello che sa come «trattare» con i dipendenti, con i clienti e con i politici e gli amministratori: l'uomo d'azione, nella cui bibliotechina troviamo prontuari di sociologia, psicologia, organizzazione aziendali e di analisi di mercato, scritti per aiutare ad avere successo. Il successo: sembra un lascito dell'etica calvinista. E' invece tutt'altra cosa: là era il premio divino di un compito bene eseguito; qui, il soddisfacimento di pulsioni egoistiche (segnalarsi, arricchirsi, impadronirsi, dominare) che l'utilitarismo, la filosofia del nostro tempo, celebra come talenti civili: vizi privati, pubbliche virtù. Oggi l'economia sembra riscoprire i limiti. Dopo avere assoggettato tutto alla sua logica e dopo avere orgogliosamente proclamato la fine della politica, anzi: dopo averla piegata a una propria funzione dipendente, avverte la propria fragilità. Avendo voluto essere tutto, si accorge del rischio di un difetto di fondamento. Questo Prometeo scatenato dall'alleanza di finanza e tecnologia percepisce il rischio in cui opera. Il crollo delle torri gemelle, cui anche Angelo Benessia allude, è stato assunto quasi a simbolo minaccioso e ciò di per sé è un indice di insicurezza da prendere molto sul serio. L'imperativo categorico dello sviluppo, con l'incremento progressivo di produzione e consumi, l'una indotta dagli altri e viceversa, ne mina le basi spirituali. La percezione, ormai diretta nella vita di ogni giorno, degli effetti distruttivi sull'ambiente e la visione degli spaventosi squilibri nella distribuzione delle ricchezze sul pianeta sono fatti che di per sé erodono le basi di consenso verso un sistema economico e i suoi attori, a torto o ragione (non è questo il problema) considerati responsabili di un'insostenibile ex-crescenza. Basta un fatto in fondo periferico, ma capace di colpire simbolicamente lo spirito pubblico, per seminare il panico. In questo contesto, prende nuovo avvio il discorso sui codici etici degli affari. Buon segno, se ciò sta a mostrare una raggiunta consapevolezza circa la necessità di limiti, circa l'esistenza di un nomos più alto delle stesse leggi dell'economia. Perplessità, invece, se le grandi imprese, nazionali e multinazionali, pensassero di risolvere da sé, come problemi di autocoscienza, i problemi che nascono da questa percezione: il barone di Münchhausen, essendo caduto in una pozzanghera, pensava di tirarsene fuori aggrappandosi al suo codino. Non sarebbe che un'operazione di facciata, un allettamento verso il pubblico, al massimo un trattato di pace o una tregua tra imprese, per scongiurare operazioni troppo spericolate. Le questioni che ripropongono il tema dei limiti dell'economia non possono affrontarsi se non fuori dell'economia stessa, in un ambito più comprensivo che, oggi, non può che essere quello della politica. Qui starebbe il vero nucleo di un atteggiamento etico dei soggetti economici: nel riconoscere - della politica - la dignità e la necessaria autonomia.
- Prev by Date: (Fwd) [uma-list] comunicato Partito Umanista
- Next by Date: la partita economica e i rischi per l'europa
- Previous by thread: (Fwd) [uma-list] comunicato Partito Umanista
- Next by thread: la partita economica e i rischi per l'europa
- Indice: