imprese non c'e' etica senza politica



dalla stampa

    
 Mercoledi' 30.1.2002 
 Codici di condotta e comportamenti altruistici
nel mondo aziendale: risposta a Benessia
Imprese, non c’è etica senza politica

30 gennaio 2002

di Gustavo Zagrebelski 

In un universo umano dominato dalla forza e dall'interesse, tra le tante
'nuove etiche' che negli ultimi decenni hanno fatto la loro apparizione (da
ultimo, perfino un'«etica hacker»), un'attenzione particolare si concentra
non da oggi sull'etica dell'impresa o, più in generale, degli affari. 

Angelo Benessia ha richiamato la nostra attenzione sulla discussione in
corso, segnalandone la ragione: il timore che lo spirito di un capitalismo
ormai padrone del mondo, separato da ogni etica e divenuto pura «volontà
animale» di potenza e di arricchimento sia divenuto minaccia per beni e
diritti elementari dell'essere umano, come l'ambiente, la salute, la
dignità, l'integrità e la vita. 

Ma può avere un senso concreto, o è una pia illusione, accostare etica e
affari? Innanzitutto, farei una distinzione per separare etica e morale. La
morale ha a che vedere con il retto agire dell'uomo come tale: non
commettere ingiustizie, aiutare i deboli, i derelitti e i perseguitati,
ecc. Essa vale per tutti allo stesso modo. 

L'etica ha invece a che vedere con il retto agire non secondo l'essere
membro dell'umanità in generale, ma secondo la funzione particolare che si
è chiamati a svolgere nella società. Ci sono perciò tante etiche quante le
posizioni e le professioni sociali.

Per esempio, c'è l'etica del magistrato, che rende giustizia «senza
guardare in faccia nessuno»; dell'avvocato, che difende il cliente senza
sabotare la giustizia; dell'uomo d'affari, che fa i propri interessi senza
corrompere gli uomini politici; dell'uomo politico, che cura gli interessi
dei suoi concittadini senza farsi corrompere dagli uomini d'affari. 

Appartenendo ad ambiti diversi, tra etica e morale sorgono continuamente
conflitti. L'insegnante che aiuta all'esame il ragazzo poco dotato per gli
studi agisce moralmente, ma forse non eticamente. L'imprenditore che,
dovendo ridurre i suoi occupati, licenzia a iniziare da quelli meno
produttivi - donne e anziani, per esempio - tiene un comportamento
immorale, ma forse conforme all'etica dell'impresa.

L'etica può essere moralmente disgustosa; la morale, eticamente
insostenibile. In mancanza di un quadro di riferimento esterno,
l'individuo, pur animato, anzi: proprio perché animato dalle migliori
intenzioni, con le sue sole forze si perde in conflitti interiori insolubili. 

Un'etica specificamente propria dell'attività economica risale alle
corporazioni medievali. Ernst Troeltsch, il grande storico delle idee del
mondo cristiano, ha illustrato questo punto in una celebre opera (Le
dottrine sociali delle chiese e dei gruppi cristiani, 1912). 

Max Weber l'ha sviluppato con riguardo al capitalismo e all'etica
calvinista e puritana in un altro, celeberrimo studio (L'etica protestante
e lo spirito del capitalismo, 1904-5), incentrato sul concetto di Beruf -
professione, compito, vocazione -, un concetto denso di contenuti etici e
riferibile a ogni attività professionale, sia essa, per l'appunto,
economica o scientifica e politica (altrettanto famose, le due conferenze
su La politica e La scienza come professioni, 1918). 

Trova espressione, in questo concetto, l'idea che il perfezionamento morale
dell'essere umano non sta primariamente, secondo l'ascesi monastica
cristiana, nella fuga dal mondo, ma nell'adempimento dei doveri mondani,
quali risultano dalla posizione occupata nella vita sociale, ciò che
costituisce, precisamente, la «vocazione» di ciascuno.

L'etica professionale è dunque l'impegno a onorare questa vocazione -
insisto - nella posizione che si occupa entro l'organizzazione della
società. Questo punto è capitale. Dimenticare questa specificazione,
significa contraddire l'etica della propria professione.

Il professore che usa la cattedra a fini politici; il giudice che vuole
moralizzare la società con le sue sentenze; l'uomo di chiesa che usa il suo
ascendente spirituale per affermarsi nel campo politico; l'uomo di governo
che specula sui sentimenti religiosi per fini di governo; ma anche l'uomo
di affari che usa la ricchezza per uscire dal suo posto e invadere quello
della politica, sono tutti esempi - magari dettati dalle migliori e più
morali delle intenzioni - di mancanza di etica professionale.

L'etica è dunque limite; è riconoscimento dell'essere parti di un tutto,
verso cui si è obbligati a non eccedere. Nel campo dell'economia, il limite
era addirittura evidente per i ceti medievali e i capitalisti delle
corporazioni calviniste: la concezione sociale cristiana, cattolica o
riformata, era la struttura che dava a tutti e a ciascuno il suo giusto
«posto» e il suo compito corrispondente.

Da allora, tutto è cambiato. Le rivoluzioni politiche borghesi hanno
travolto le strutture tradizionali delle società. Nessun limite naturale e
vincolante esiste più. L'economia - l'avevano presentito fin dall'inizio i
critici delle rivoluzioni - è divenuta progressivamente la forza
costitutiva esclusiva delle società umane. Le altre - diritti, culture,
religioni - arrancano.

L'eroe del nostro tempo non è più il cavaliere senza macchia e senza paura,
il dotto umanista, il santo monaco e neppure il commerciante dalla
coscienza adamantina, il professionista scrupoloso, l'imprenditore
dall'inflessibile stile di vita, alcuni esempi dei quali sono da noi ancora
vivi, nella memoria delle valli valdesi e biellesi. 

L'eroe del nostro tempo è l'uomo emergente del management, quello che sa
come «trattare» con i dipendenti, con i clienti e con i politici e gli
amministratori: l'uomo d'azione, nella cui bibliotechina troviamo prontuari
di sociologia, psicologia, organizzazione aziendali e di analisi di
mercato, scritti per aiutare ad avere successo. 

Il successo: sembra un lascito dell'etica calvinista. E' invece tutt'altra
cosa: là era il premio divino di un compito bene eseguito; qui, il
soddisfacimento di pulsioni egoistiche (segnalarsi, arricchirsi,
impadronirsi, dominare) che l'utilitarismo, la filosofia del nostro tempo,
celebra come talenti civili: vizi privati, pubbliche virtù. 

Oggi l'economia sembra riscoprire i limiti. Dopo avere assoggettato tutto
alla sua logica e dopo avere orgogliosamente proclamato la fine della
politica, anzi: dopo averla piegata a una propria funzione dipendente,
avverte la propria fragilità. Avendo voluto essere tutto, si accorge del
rischio di un difetto di fondamento. Questo Prometeo scatenato
dall'alleanza di finanza e tecnologia percepisce il rischio in cui opera. 

Il crollo delle torri gemelle, cui anche Angelo Benessia allude, è stato
assunto quasi a simbolo minaccioso e ciò di per sé è un indice di
insicurezza da prendere molto sul serio. L'imperativo categorico dello
sviluppo, con l'incremento progressivo di produzione e consumi, l'una
indotta dagli altri e viceversa, ne mina le basi spirituali. 

La percezione, ormai diretta nella vita di ogni giorno, degli effetti
distruttivi sull'ambiente e la visione degli spaventosi squilibri nella
distribuzione delle ricchezze sul pianeta sono fatti che di per sé erodono
le basi di consenso verso un sistema economico e i suoi attori, a torto o
ragione (non è questo il problema) considerati responsabili di
un'insostenibile ex-crescenza. Basta un fatto in fondo periferico, ma
capace di colpire simbolicamente lo spirito pubblico, per seminare il
panico. In questo contesto, prende nuovo avvio il discorso sui codici etici
degli affari. 

Buon segno, se ciò sta a mostrare una raggiunta consapevolezza circa la
necessità di limiti, circa l'esistenza di un nomos più alto delle stesse
leggi dell'economia. Perplessità, invece, se le grandi imprese, nazionali e
multinazionali, pensassero di risolvere da sé, come problemi di
autocoscienza, i problemi che nascono da questa percezione: il barone di
Münchhausen, essendo caduto in una pozzanghera, pensava di tirarsene fuori
aggrappandosi al suo codino. 

Non sarebbe che un'operazione di facciata, un allettamento verso il
pubblico, al massimo un trattato di pace o una tregua tra imprese, per
scongiurare operazioni troppo spericolate. 

Le questioni che ripropongono il tema dei limiti dell'economia non possono
affrontarsi se non fuori dell'economia stessa, in un ambito più comprensivo
che, oggi, non può che essere quello della politica. Qui starebbe il vero
nucleo di un atteggiamento etico dei soggetti economici: nel riconoscere -
della politica - la dignità e la necessaria autonomia.