l'euro non e' solo moneta



da repubblica

GIOVEDÌ, 27 DICEMBRE 2001 Stampa questo articolo 
Il presidente della Commissione Ue: dobbiamo restare fedeli al patto di
stabilità anche se talvolta ci pone dei problemi  
  
"L'euro non è solo moneta"  
  
Prodi: con il dollaro un'economia mondiale bipolare  
  
  
  
Nel governo italiano ci sono divergenze ancora non composte nella
maggioranza che lo sostiene. Alla fine, comunque, abbiamo avuto una
politica fedele all'Europa  
Mi fa molto piacere che Rutelli abbia detto che l'Ulivo mi aspetta alla sua
guida. Ma ogni discorso è prematuro: adesso devo pensare ad altro  
"E' una fortuna che la valuta europea arrivi in un momento di rallentamento
della crescita: così non ci sarà inflazione"  
  
 

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BOLOGNA — «Il significato storico dell'euro è costruire un'economia
bipolare nel mondo. I due poli sono il dollaro e 'lui'. Ecco il senso
politico della moneta unica europea. E' un passaggio oltre il quale devono
venirne degli altri. Altrimenti l'euro sarebbe solo un antipasto». Romano
Prodi si confronta con le ambizioni e le ansie della scadenza «epocale» che
fra qualche giorno attraverserà la vita di tutti gli europei. L'euro, a cui
ha guidato l'Italia come presidente del Consiglio e che ora affronta alla
guida della Commissione europea. Parla dell'Europa, del mondo e della
quotidianità della gente comune in un Forum nella redazione bolognese di
Repubblica. L'euro diventa progetto politico. «Il vero pericolo — dice
Prodi — è che noi non stiamo più pensando al modello europeo. Manca la
nostra proposta politica. Negli ultimi dieci anni abbiamo fatto tanti
errori. Ma soprattutto ci siamo fatti dominare dal pensiero unico, da una
monocultura nata dall'America e divenuta progressivamente dominante anche
in Europa. L'America è sempre stata un parametro mitico, con la sua
grandissima mobilità, una forte produttività e un'innovazione senza soste:
virtù pagate con una società più dura. Se le differenze di reddito
aumentano in modo selvaggio anche nell'Europa continentale dove pure
avevamo ben altre tradizioni, se la rincorsa è solo a smantellare il
welfare, se non riusciamo a far capire l'importanza, la diversità di uno
sviluppo sostenibile, allora il modello europeo diventa una predica
astratta. Adesso l'euro e l'allargamento dell'Unione, creando regole nuove
e innnescando un forte meccanismo di identità, ci offrono opportunità che
non avevamo mai avuto in passato».
L'euro come evento trainante? Come vive Romano Prodi questa scadenza?
«Nasce qualcosa che cambierà tutto. L'euro è una virtù infettiva. Lasciamo
stare se la Gran Bretagna entra o non entra, ma quale è la cosa che più ha
colpito Blair in questi giorni? Il fatto che nei nuovi carrelli di alcuni
grandi supermercati alimentari ci sono due fori, uno per l'euro e uno per
la sterlina. Per un politico è un segnale fortissimo. Più delle decisioni
della Banca centrale. L'euro condizionerà la vita non solo dei dodici Pesi
che l'hanno adottato. Certo in un'Unione monetaria in cui non puoi più
svalutare né cambiare i tassi di interesse fra i diversi Stati,
occorreranno nuovi strumenti con cui governare l'economia».
Gli Stati non sembrano molto decisi a mettere in comune gli strumenti di
governo.
«Non mi sembra strano che i governi resistano. I cambiamenti implicano
passaggi di potere, toccano interessi. Tutti sanno, però, che con un'Unione
allargata a 25 Paesi non sarà più utilizzabile il diritto di veto, non si
potranno più avere voti all'unanimità. Si dovrà decidere a maggioranza e i
singoli Stati perderanno un enorme strumento di ricatto. Mi resta solo
l'interrogativo se gli inevitabili progressi avverranno dopo qualche crisi.
Come è successo dopo l'11 settembre: erano diciotto mesi che ad ogni
vertice proponevamo disposizioni sull'arresto, sulla lotta al denaro
sporco, sulla cooperazione giudiziaria europea e ogni volta i progetti
venivano scartati, con la Gran Bretagna in testa a dire no. Poi, dopo il
massacro in America, proprio gli inglesi hanno spinto per far passare
quelle misure. Per l'amor di Dio, quello era uno scenario drammatico e mi
auguro di non vederne altri. Ma se mancherà la saggezza politica, sarà
certamente qualche crisi a spingere verso la creazione degli indispensabili
strumenti di politica economica europea».
Già l'euro non è una 'crisi', una rottura?
«Sì, avvengono cambiamenti che spingono inevitabilmente verso un'identità
europea. Andremo in giro senza cambiar moneta, come gli americani con il
dollaro. C'è un'eco che rimbalza per il mondo. Penso al premier cinese, Zhu
Rhongji, il quale indirizza la politica delle riserve monetarie del suo
Paese verso un euro che progressivamente si equipari al dollaro. Forse
perché spera di guadagnarci, considerando la valuta europea sottostimata.
Ma soprattutto per un scelta politica: perché non non gli piace un mondo
monopolare. Ci sono avvenimenti altrettanto simbolici qui in Europa.
Pensate ai vagoni di marchi macerati per farne fertilizzanti. I tedeschi
non rinunciano al marco, se non per preparare qualcosa di più certo e più
grande».
Ma al cittadino che chiede 'cosa ci guadagno io con l'euro?', cosa risponde?
«Che il grande cambiamento non è un pezzo di carta. E' che i risparmi non
saranno più divorati dall'inflazione e dalle svalutazioni. Come è successo
ai nostri nonni e ai nostri genitori. Questi effetti positivi l'euro li ha
già portati».
E' un guaio che l'euro arrivi in un momento di rallentamento della crescita?
«E' la sua fortuna. Qualche mese fa avevo qualche timore inflazionistico,
oggi l'economia pigra ci aiuta. Non ho nessuna paura di aumenti di prezzi.
Forse arrotonderà qualche barista, ma non c'è spazio per aumenti diffusi».
PadoaSchioppa ed ora lei annunciate trasparenza ed uguaglianza molto
maggiori fra i prezzi nei diversi Paesi. Ma se poi la gente si accorge che
non è vero?
«Ci sono cose che continueranno a costare diversamente, come succede adesso
e come accade negli Usa, fra le Grandi Pianure e New York dove le diversità
sono immense: dalla casa al caffè, dagli immobili ai servizi. Queste
differenze rimarranno. Mentre invece l'acqua minerale, un profumo, un
telefonino, l'automobile, gli occhiali tenderanno verso lo stesso prezzo in
tutta Europa».
Molte aziende non avranno problemi?
«Una quantità enorme. Non puoi scrivere nel listino Germania 12 euro,
Italia 7. Ci sarà un solo listino. E' una 'crisi virtuosa'. Aumenterà la
concorrenza ovunque. Questa imporrà mutamenti veri».
Non si poteva arrotondare a 2000 lire per euro, invece di 1936,27?
«Ci siamo decimalizzati tutti. Per l'Italia l'unica vera sorpresa saranno
le tasche piene di monete. Come accade da tanti anni negli altri Paesi.
Questo finalmente spingerà qualche banca a lanciare anche qui la moneta
elettronica: una scheda tipo quella telefonica, con cui paghi tutte le
piccole cose, dai giornali al caffè. E quando è esaurita, la ricarichi».
Allora perché c'è tanta paura fra la gente?
«Perché alla fine siamo tutti un pò conservatori. Alla lira ci siamo
affezionati, si ha paura del cambiamento, dei fatti di cui non abbiamo mai
avuto esperienza».
Cosa significa l'euro per l'Italia?
«La fine di un periodo storico, l'obbligo di non peccare più. Per questo io
rimango fedele al patto di stabilità e di crescita fra i Paesi della Ue.
Anche se anch'io mi pongo spesso dei problemi».
Quali?
«Da buon keynesiano ho sempre pensato che un bilancio pubblico vada letto
nella prospettiva di un ciclo economico: negli anni cattivi si ha un
deficit, in quelli buoni un risparmio. E Keynes non è morto. Così io sarei
portato intellettualmente a pensare: ' Molliamolo un pò questo patto'.
Invece nell'attuale fase storica è importante rispettarlo in pieno,
utilizzandone tutte le potenzialità, ma rispettandolo».
A proposito d'Italia e dell'atteggiamento sull'Europa del suo governo, il
commissario Monti parla di adolescenza, il banchiere PadoaSchioppa di
apprendistato. E lei?
«Io parlo di divergenze non ancora composte nella maggioranza. Il che, se
volete, è molto simile. Devo dire che finora ha prevalso la politica
filoeuropea. La differenza è che, mentre nella tradizionale politica
italiana non avevi bisogno di mediazioni e su questi temi tutti erano
d'accordo, adesso non è più così. Ci sono tensioni, anche se alla fine
abbiamo avuto una politica fedele all'Europa».
Eccetto sull'Airbus, sul mandato di cattura al di là del formalismo, sulle
Agenzie...
«No, sulle Agenzie è stato un meraviglioso mercato. Il problema anche in
questo caso è il diritto di veto, l'obbligo del voto all'unanimità fra i 15
Paesi e non a maggioranza. Con il veto ti senti Ercole, tu da solo, fermi
tutti».
Non sta emergendo nella stessa opinione pubblica italiana un sentimento
diverso? Dopo gli anni dell'europeismo romantico, ideologico, si allarga un
euro pragmatico 'facciamoci un pò i nostri interessi'?
«E' una grande tentazione. E può darsi che qualche volta un isolamento
egoistico funzioni. Ma dopo poco ci si accorge che in Europa i propri
interessi si difendono meglio con un intelligente gioco di squadra. E poi
ogni posizioni antieuropea in Italia dovrà misurarsi con una robusta
opinione pubblica disposta a puntare i piedi, proprio in nome del vero
interesse nazionale, sapendo quanto il successo del nostro Paese sia legato
all'Europa. E la mia non è retorica».
Fra gli strumenti di politica economica comune vede anche un unico
rappresentante europeo, come Javier Solana per la difesa e la sicurezza?
«Senza dubbio».
Dentro o fuori la Commissione? Solana è fuori e risponde ai governi.
«Dentro la Commissione. Può essere il presidente, come sostiene Jacques
Delors, o può essere il commissario all'Economia. L'essenziale è non avere
in futuro una politica economica frammentata».
E' immaginabile una Banca Centrale Europea che funzioni come la Federal
Reserve americana?
«Sì. Apprezzo e voglio l'autonomia della Bce, non la sua solitudine. Chi ha
come interlocutore? Perché diventi come la Fed, occorre un nuovo equilibrio
tra i poteri economici nell'Unione».
Nell'Europa delle regole comuni per l'economia, vi dovrebbero essere stesse
norme anche per le pensioni?
«No, non devono essere identiche. L'Europa è diversa dagli Usa: è un'unione
in cui coesistono Paesi ad alti livelli di produttività e salari e Paesi a
più bassa produttività e più bassi salari. E' la grandezza della nostra
sfida. Ancor più lo sarà con l'allargamento ad Est. Una moneta unica impone
strumenti di politica economica comune, per evitare che succeda come in
Argentina, dove il peso era legato al dollaro ma la politica economica
andava per conto proprio. Però non impone la convergenza in tutti gli
aspetti. Non credo che la politica fiscale debba essere identica in tutti i
Paesi, se non nei settori dove è essenziale per le regole della
concorrenza, per cui l'Iva e alcune imposte sugli affari non possono
divergere radicalmente. Ma se un Paese vuole avere ospedali gratis e tasse
più elevate e un altro ospedali a pagamento e tasse minori, liberi di
farlo. Per le pensioni è lo stesso. Purchè i sistemi reggano sia nel breve
che nel lungo periodo. E questa la regola della sostenibilità».
Ha citato l'Argentina come esempio negativo. Cosa può e deve fare l'Europa?
«L'Argentina è l'esempio di globalizzazione sbagliata. Ha scelto di aprirsi
ad un processo di globalizzazione formale, in cui però il governo è restato
quel che era e così sono restate le regole dell'economia. Quindi è successo
l'ira di Dio. E' il contrario della globalizzazione democratica in corso
qui in Europa, dove noi ci sforziamo di convergere attraverso regole comuni
liberamente scelte e rigorosamente applicate. Questa esperienza ci spinge
ancora di più ad aiutare l'Argentina, esercitando anche la grande influenza
che l'Europa ha nel Fondo monetario internazionale. Recita una vecchia
battuta: 'Se gli europei mettessero la loro quota insieme, il Fmi dovrebbe
trasferire la sua sede in Europa'. La nostra quota complessiva è più alta
di quella degli Usa».
Ora con l'euro la possono mettere finalmente insieme?
«No, perché è un quota che si esprimerà nella stessa valuta ma che avrà
ancora origine da contribuenti diversi».
Così il Fmi 'resta' a New York, gli Usa non vogliono un governo della
globalizzazione nè salvare Paesi in difficoltà. E non vogliono l'euro.
Perché un'alternativa monetaria è destinata a diventare un'alternativa
politica?
«Il Paese America, la parte non intellettualizzata, non sa nemmeno cosa sia
l'euro. Ma l'elite sta prendendo coscienza, e con molta forza, che qui
nasce una nuova realtà. Con gli Usa è importante costruire un accordo
politico forte sui grandi problemi strategici, ma è anche importante
dimostrare di saper manovrare le leve fondamentali del nostro futuro.
Questo vale per l'euro, per la difesa comune, per il Progetto Galileo sulla
navigazione satellitare. Sono fondamentali per il futuro dell'Europa e non
sono espressione di antiamericanismo. Il più grande amico dell'America
sarebbe un'Europa forte e che si fa rispettare. Naturalmente possono anche
nascere degli scontri ma non certo tali da compromettere la comune amicizia».
Sull'euro, su Galileo, sulla pena di morte?
«Su questi temi qualche volta ti devi scontrare. Però si deve sentire il
senso di una radice comune, anche se quella americana è una società
differente. Non mi preoccupa la diversità: mi preoccupa che non stiamo più
riflettendo sul nostro modello europeo».
Un modello elettoralmente perdente.
«Finchè non cambia la coscienza pubblica. E' interessantissima la corsa di
Blair per porre rimedio alla caduta del welfare e dei servizi pubblici: le
cifre enormi che sta mettendo nella sanità, nelle ferrovie, negli altri
servizi pubblici. E' una sostanziale correzione di rotta, sia nella
politica delle spese che nella politica fiscale. Oggi è quindi assai più
complicato dire quale sia il modello elettorale vincente».
Quest'anno per lei è stato un anno combattuto...
«Il prossimo lo sarà ancora di più. Verranno al nocciolo i punti difficili
dell'allargamento: ecologia, mobilità della manodopera, fondi regionali,
agricoltura...».
Se la presidenza Prodi fa un'Europa a 25 Paesi ha un posto assicurato nella
storia.
«L'euro, l'allargamento, la Convenzione che apre un nuovo capitolo
dell'Unione. Credo che basti per la cronaca. Per la storia non so».
Perché le polemiche nei suoi confronti, allora?
«L'allargamento, la riforma interna della Commissione sono scelte forti che
hanno acuito le tensioni con molti dei miei interlocutori. I cambiamenti si
pagano e io vorrei che non solo la Commissione ma anche le altre
istituzioni facessero lo stesso sforzo di riforma che noi abbiamo fatto.
Poi ci sono anche i miei difetti, le mie responsabilità personali. Negli
ultimi tempi però qualcosa è mutato negli articoli della stampa straniera.
Cominciano a capire che manteniamo le promesse e quando diciamo una cosa è
quella. Inoltre dopo Laeken nessuno ha messo in dubbio che la Commissione
abbia esercitato un ruolo di leadership. E dove non aveva competenze, come
sulle Agenzie, avete visto che putiferio!».
Finale italiano: il governatore Fazio della Banca d'Italia ha detto che per
l'ingresso della lira nell'euro ha sbloccato tutto lui in una notte.
«Questo non me lo ricordo. Credo proprio che abbiamo memorie diverse».
Rutelli ha dichiarato che il centrosinistra, l'Ulivo l'aspettano alla
propria guida.
«Mi fa molto piacere abbia detto queste cose. Ma ogni discorso è
assolutamente prematuro. Adesso devo pensare ad altro».
(a cura di Marco Marozzi)