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l'euro non e' solo moneta
- Subject: l'euro non e' solo moneta
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 27 Dec 2001 20:02:12 +0100
da repubblica GIOVEDÌ, 27 DICEMBRE 2001 Stampa questo articolo Il presidente della Commissione Ue: dobbiamo restare fedeli al patto di stabilità anche se talvolta ci pone dei problemi "L'euro non è solo moneta" Prodi: con il dollaro un'economia mondiale bipolare Nel governo italiano ci sono divergenze ancora non composte nella maggioranza che lo sostiene. Alla fine, comunque, abbiamo avuto una politica fedele all'Europa Mi fa molto piacere che Rutelli abbia detto che l'Ulivo mi aspetta alla sua guida. Ma ogni discorso è prematuro: adesso devo pensare ad altro "E' una fortuna che la valuta europea arrivi in un momento di rallentamento della crescita: così non ci sarà inflazione" ---------------------------------------------------------------------------- ---- BOLOGNA — «Il significato storico dell'euro è costruire un'economia bipolare nel mondo. I due poli sono il dollaro e 'lui'. Ecco il senso politico della moneta unica europea. E' un passaggio oltre il quale devono venirne degli altri. Altrimenti l'euro sarebbe solo un antipasto». Romano Prodi si confronta con le ambizioni e le ansie della scadenza «epocale» che fra qualche giorno attraverserà la vita di tutti gli europei. L'euro, a cui ha guidato l'Italia come presidente del Consiglio e che ora affronta alla guida della Commissione europea. Parla dell'Europa, del mondo e della quotidianità della gente comune in un Forum nella redazione bolognese di Repubblica. L'euro diventa progetto politico. «Il vero pericolo — dice Prodi — è che noi non stiamo più pensando al modello europeo. Manca la nostra proposta politica. Negli ultimi dieci anni abbiamo fatto tanti errori. Ma soprattutto ci siamo fatti dominare dal pensiero unico, da una monocultura nata dall'America e divenuta progressivamente dominante anche in Europa. L'America è sempre stata un parametro mitico, con la sua grandissima mobilità, una forte produttività e un'innovazione senza soste: virtù pagate con una società più dura. Se le differenze di reddito aumentano in modo selvaggio anche nell'Europa continentale dove pure avevamo ben altre tradizioni, se la rincorsa è solo a smantellare il welfare, se non riusciamo a far capire l'importanza, la diversità di uno sviluppo sostenibile, allora il modello europeo diventa una predica astratta. Adesso l'euro e l'allargamento dell'Unione, creando regole nuove e innnescando un forte meccanismo di identità, ci offrono opportunità che non avevamo mai avuto in passato». L'euro come evento trainante? Come vive Romano Prodi questa scadenza? «Nasce qualcosa che cambierà tutto. L'euro è una virtù infettiva. Lasciamo stare se la Gran Bretagna entra o non entra, ma quale è la cosa che più ha colpito Blair in questi giorni? Il fatto che nei nuovi carrelli di alcuni grandi supermercati alimentari ci sono due fori, uno per l'euro e uno per la sterlina. Per un politico è un segnale fortissimo. Più delle decisioni della Banca centrale. L'euro condizionerà la vita non solo dei dodici Pesi che l'hanno adottato. Certo in un'Unione monetaria in cui non puoi più svalutare né cambiare i tassi di interesse fra i diversi Stati, occorreranno nuovi strumenti con cui governare l'economia». Gli Stati non sembrano molto decisi a mettere in comune gli strumenti di governo. «Non mi sembra strano che i governi resistano. I cambiamenti implicano passaggi di potere, toccano interessi. Tutti sanno, però, che con un'Unione allargata a 25 Paesi non sarà più utilizzabile il diritto di veto, non si potranno più avere voti all'unanimità. Si dovrà decidere a maggioranza e i singoli Stati perderanno un enorme strumento di ricatto. Mi resta solo l'interrogativo se gli inevitabili progressi avverranno dopo qualche crisi. Come è successo dopo l'11 settembre: erano diciotto mesi che ad ogni vertice proponevamo disposizioni sull'arresto, sulla lotta al denaro sporco, sulla cooperazione giudiziaria europea e ogni volta i progetti venivano scartati, con la Gran Bretagna in testa a dire no. Poi, dopo il massacro in America, proprio gli inglesi hanno spinto per far passare quelle misure. Per l'amor di Dio, quello era uno scenario drammatico e mi auguro di non vederne altri. Ma se mancherà la saggezza politica, sarà certamente qualche crisi a spingere verso la creazione degli indispensabili strumenti di politica economica europea». Già l'euro non è una 'crisi', una rottura? «Sì, avvengono cambiamenti che spingono inevitabilmente verso un'identità europea. Andremo in giro senza cambiar moneta, come gli americani con il dollaro. C'è un'eco che rimbalza per il mondo. Penso al premier cinese, Zhu Rhongji, il quale indirizza la politica delle riserve monetarie del suo Paese verso un euro che progressivamente si equipari al dollaro. Forse perché spera di guadagnarci, considerando la valuta europea sottostimata. Ma soprattutto per un scelta politica: perché non non gli piace un mondo monopolare. Ci sono avvenimenti altrettanto simbolici qui in Europa. Pensate ai vagoni di marchi macerati per farne fertilizzanti. I tedeschi non rinunciano al marco, se non per preparare qualcosa di più certo e più grande». Ma al cittadino che chiede 'cosa ci guadagno io con l'euro?', cosa risponde? «Che il grande cambiamento non è un pezzo di carta. E' che i risparmi non saranno più divorati dall'inflazione e dalle svalutazioni. Come è successo ai nostri nonni e ai nostri genitori. Questi effetti positivi l'euro li ha già portati». E' un guaio che l'euro arrivi in un momento di rallentamento della crescita? «E' la sua fortuna. Qualche mese fa avevo qualche timore inflazionistico, oggi l'economia pigra ci aiuta. Non ho nessuna paura di aumenti di prezzi. Forse arrotonderà qualche barista, ma non c'è spazio per aumenti diffusi». PadoaSchioppa ed ora lei annunciate trasparenza ed uguaglianza molto maggiori fra i prezzi nei diversi Paesi. Ma se poi la gente si accorge che non è vero? «Ci sono cose che continueranno a costare diversamente, come succede adesso e come accade negli Usa, fra le Grandi Pianure e New York dove le diversità sono immense: dalla casa al caffè, dagli immobili ai servizi. Queste differenze rimarranno. Mentre invece l'acqua minerale, un profumo, un telefonino, l'automobile, gli occhiali tenderanno verso lo stesso prezzo in tutta Europa». Molte aziende non avranno problemi? «Una quantità enorme. Non puoi scrivere nel listino Germania 12 euro, Italia 7. Ci sarà un solo listino. E' una 'crisi virtuosa'. Aumenterà la concorrenza ovunque. Questa imporrà mutamenti veri». Non si poteva arrotondare a 2000 lire per euro, invece di 1936,27? «Ci siamo decimalizzati tutti. Per l'Italia l'unica vera sorpresa saranno le tasche piene di monete. Come accade da tanti anni negli altri Paesi. Questo finalmente spingerà qualche banca a lanciare anche qui la moneta elettronica: una scheda tipo quella telefonica, con cui paghi tutte le piccole cose, dai giornali al caffè. E quando è esaurita, la ricarichi». Allora perché c'è tanta paura fra la gente? «Perché alla fine siamo tutti un pò conservatori. Alla lira ci siamo affezionati, si ha paura del cambiamento, dei fatti di cui non abbiamo mai avuto esperienza». Cosa significa l'euro per l'Italia? «La fine di un periodo storico, l'obbligo di non peccare più. Per questo io rimango fedele al patto di stabilità e di crescita fra i Paesi della Ue. Anche se anch'io mi pongo spesso dei problemi». Quali? «Da buon keynesiano ho sempre pensato che un bilancio pubblico vada letto nella prospettiva di un ciclo economico: negli anni cattivi si ha un deficit, in quelli buoni un risparmio. E Keynes non è morto. Così io sarei portato intellettualmente a pensare: ' Molliamolo un pò questo patto'. Invece nell'attuale fase storica è importante rispettarlo in pieno, utilizzandone tutte le potenzialità, ma rispettandolo». A proposito d'Italia e dell'atteggiamento sull'Europa del suo governo, il commissario Monti parla di adolescenza, il banchiere PadoaSchioppa di apprendistato. E lei? «Io parlo di divergenze non ancora composte nella maggioranza. Il che, se volete, è molto simile. Devo dire che finora ha prevalso la politica filoeuropea. La differenza è che, mentre nella tradizionale politica italiana non avevi bisogno di mediazioni e su questi temi tutti erano d'accordo, adesso non è più così. Ci sono tensioni, anche se alla fine abbiamo avuto una politica fedele all'Europa». Eccetto sull'Airbus, sul mandato di cattura al di là del formalismo, sulle Agenzie... «No, sulle Agenzie è stato un meraviglioso mercato. Il problema anche in questo caso è il diritto di veto, l'obbligo del voto all'unanimità fra i 15 Paesi e non a maggioranza. Con il veto ti senti Ercole, tu da solo, fermi tutti». Non sta emergendo nella stessa opinione pubblica italiana un sentimento diverso? Dopo gli anni dell'europeismo romantico, ideologico, si allarga un euro pragmatico 'facciamoci un pò i nostri interessi'? «E' una grande tentazione. E può darsi che qualche volta un isolamento egoistico funzioni. Ma dopo poco ci si accorge che in Europa i propri interessi si difendono meglio con un intelligente gioco di squadra. E poi ogni posizioni antieuropea in Italia dovrà misurarsi con una robusta opinione pubblica disposta a puntare i piedi, proprio in nome del vero interesse nazionale, sapendo quanto il successo del nostro Paese sia legato all'Europa. E la mia non è retorica». Fra gli strumenti di politica economica comune vede anche un unico rappresentante europeo, come Javier Solana per la difesa e la sicurezza? «Senza dubbio». Dentro o fuori la Commissione? Solana è fuori e risponde ai governi. «Dentro la Commissione. Può essere il presidente, come sostiene Jacques Delors, o può essere il commissario all'Economia. L'essenziale è non avere in futuro una politica economica frammentata». E' immaginabile una Banca Centrale Europea che funzioni come la Federal Reserve americana? «Sì. Apprezzo e voglio l'autonomia della Bce, non la sua solitudine. Chi ha come interlocutore? Perché diventi come la Fed, occorre un nuovo equilibrio tra i poteri economici nell'Unione». Nell'Europa delle regole comuni per l'economia, vi dovrebbero essere stesse norme anche per le pensioni? «No, non devono essere identiche. L'Europa è diversa dagli Usa: è un'unione in cui coesistono Paesi ad alti livelli di produttività e salari e Paesi a più bassa produttività e più bassi salari. E' la grandezza della nostra sfida. Ancor più lo sarà con l'allargamento ad Est. Una moneta unica impone strumenti di politica economica comune, per evitare che succeda come in Argentina, dove il peso era legato al dollaro ma la politica economica andava per conto proprio. Però non impone la convergenza in tutti gli aspetti. Non credo che la politica fiscale debba essere identica in tutti i Paesi, se non nei settori dove è essenziale per le regole della concorrenza, per cui l'Iva e alcune imposte sugli affari non possono divergere radicalmente. Ma se un Paese vuole avere ospedali gratis e tasse più elevate e un altro ospedali a pagamento e tasse minori, liberi di farlo. Per le pensioni è lo stesso. Purchè i sistemi reggano sia nel breve che nel lungo periodo. E questa la regola della sostenibilità». Ha citato l'Argentina come esempio negativo. Cosa può e deve fare l'Europa? «L'Argentina è l'esempio di globalizzazione sbagliata. Ha scelto di aprirsi ad un processo di globalizzazione formale, in cui però il governo è restato quel che era e così sono restate le regole dell'economia. Quindi è successo l'ira di Dio. E' il contrario della globalizzazione democratica in corso qui in Europa, dove noi ci sforziamo di convergere attraverso regole comuni liberamente scelte e rigorosamente applicate. Questa esperienza ci spinge ancora di più ad aiutare l'Argentina, esercitando anche la grande influenza che l'Europa ha nel Fondo monetario internazionale. Recita una vecchia battuta: 'Se gli europei mettessero la loro quota insieme, il Fmi dovrebbe trasferire la sua sede in Europa'. La nostra quota complessiva è più alta di quella degli Usa». Ora con l'euro la possono mettere finalmente insieme? «No, perché è un quota che si esprimerà nella stessa valuta ma che avrà ancora origine da contribuenti diversi». Così il Fmi 'resta' a New York, gli Usa non vogliono un governo della globalizzazione nè salvare Paesi in difficoltà. E non vogliono l'euro. Perché un'alternativa monetaria è destinata a diventare un'alternativa politica? «Il Paese America, la parte non intellettualizzata, non sa nemmeno cosa sia l'euro. Ma l'elite sta prendendo coscienza, e con molta forza, che qui nasce una nuova realtà. Con gli Usa è importante costruire un accordo politico forte sui grandi problemi strategici, ma è anche importante dimostrare di saper manovrare le leve fondamentali del nostro futuro. Questo vale per l'euro, per la difesa comune, per il Progetto Galileo sulla navigazione satellitare. Sono fondamentali per il futuro dell'Europa e non sono espressione di antiamericanismo. Il più grande amico dell'America sarebbe un'Europa forte e che si fa rispettare. Naturalmente possono anche nascere degli scontri ma non certo tali da compromettere la comune amicizia». Sull'euro, su Galileo, sulla pena di morte? «Su questi temi qualche volta ti devi scontrare. Però si deve sentire il senso di una radice comune, anche se quella americana è una società differente. Non mi preoccupa la diversità: mi preoccupa che non stiamo più riflettendo sul nostro modello europeo». Un modello elettoralmente perdente. «Finchè non cambia la coscienza pubblica. E' interessantissima la corsa di Blair per porre rimedio alla caduta del welfare e dei servizi pubblici: le cifre enormi che sta mettendo nella sanità, nelle ferrovie, negli altri servizi pubblici. E' una sostanziale correzione di rotta, sia nella politica delle spese che nella politica fiscale. Oggi è quindi assai più complicato dire quale sia il modello elettorale vincente». Quest'anno per lei è stato un anno combattuto... «Il prossimo lo sarà ancora di più. Verranno al nocciolo i punti difficili dell'allargamento: ecologia, mobilità della manodopera, fondi regionali, agricoltura...». Se la presidenza Prodi fa un'Europa a 25 Paesi ha un posto assicurato nella storia. «L'euro, l'allargamento, la Convenzione che apre un nuovo capitolo dell'Unione. Credo che basti per la cronaca. Per la storia non so». Perché le polemiche nei suoi confronti, allora? «L'allargamento, la riforma interna della Commissione sono scelte forti che hanno acuito le tensioni con molti dei miei interlocutori. I cambiamenti si pagano e io vorrei che non solo la Commissione ma anche le altre istituzioni facessero lo stesso sforzo di riforma che noi abbiamo fatto. Poi ci sono anche i miei difetti, le mie responsabilità personali. Negli ultimi tempi però qualcosa è mutato negli articoli della stampa straniera. Cominciano a capire che manteniamo le promesse e quando diciamo una cosa è quella. Inoltre dopo Laeken nessuno ha messo in dubbio che la Commissione abbia esercitato un ruolo di leadership. E dove non aveva competenze, come sulle Agenzie, avete visto che putiferio!». Finale italiano: il governatore Fazio della Banca d'Italia ha detto che per l'ingresso della lira nell'euro ha sbloccato tutto lui in una notte. «Questo non me lo ricordo. Credo proprio che abbiamo memorie diverse». Rutelli ha dichiarato che il centrosinistra, l'Ulivo l'aspettano alla propria guida. «Mi fa molto piacere abbia detto queste cose. Ma ogni discorso è assolutamente prematuro. Adesso devo pensare ad altro». (a cura di Marco Marozzi)
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